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Bayrou Francia blocchiamo tutto

Il giorno della verità

La Francia è una polveriera: Bayrou lo sa. Macron pure. E la piazza si scalda: “Blocchiamo tutto”

«Le forze politiche sono in guerra le une contro le altre», lo ammetto lo stesso primo ministro che oggi sarà messo alla ghigliottina. Mercoledì per le strade si scatenerà il caos

Esteri - di Alice Carrazza - 8 Settembre 2025 alle 13:52

Parigi brucia. Ma questa volta non sono le banlieue a innescare l’incendio. È il centro del potere a vacillare, mentre la Francia si prepara a una settimana che profuma di resa dei conti. Il Paese non è semplicemente spaccato: è lacerato. «Le forze politiche sono in guerra le une contro le altre», ha dichiarato senza giri di parole il primo ministro François Bayrou in un’intervista concessa a Brut. Un’ammissione che pesa come un verdetto: il governo è già all’agonia, prima ancora del voto di fiducia previsto per oggi pomeriggio. Un voto che, secondo l’opinione diffusa, richiederebbe «un miracolo» per essere superato. Nel pomeriggio, la ghigliottina lo aspetta. Bayrou lo sa. Macron anche. E il popolo lo urla.

La République sotto assedio

Il sipario sulla leadership centrista sembra destinato a calare alle 19, quando l’Assemblea nazionale decreterà con ogni probabilità la fine dell’esecutivo. Sarebbe il quarto governo a cadere in meno di un anno e mezzo. Ma, a differenza dei precedenti, stavolta l’instabilità istituzionale si somma a una tensione sociale fuori controllo. Mercoledì 10 settembre, infatti, il movimento “Bloquons tout” — letteralmente “Blocchiamo tutto” — chiama alla paralisi totale. L’appello corre sui social, rimbalza dalle campagne ai sobborghi, dalle università alle raffinerie. Una parola d’ordine: paralizzare il Paese.

Il ritorno dei Gilet, senza gilet

Chi sperava che i gilet gialli fossero un’eccezione storica ha sottovalutato la memoria del popolo francese. Non ci sono leader riconosciuti, né partiti egemoni a guidare l’ondata. Le opposizioni provano a cavalcarla, ma nessuno può davvero intestarsene il merito. Neanche Marine Le Pen. Stavolta la rabbia è sorda, orizzontale, metastatica. Una miscela di rivendicazioni divergenti – sovranisti e neoruralisti, cattolici tradizionalisti e gli stessi giovani macroniani che nel lontano 2016 portarono Monsieur le Président all’Eliseo– uniti da un denominatore comune: l’odio verso un’élite che non rappresenta più nessuno, e che continua a governare nel vuoto. Tra questi ci sono anche i giovani macroniani che lo por

Macron, ormai ridotto a un monarca senza corte, osserva la Rèpublique sfuggirgli di mano. Con un gradimento al 15%, secondo l’ultimo sondaggio di Le Figaro, tiene formalmente il potere solo grazie all’artificio di una costituzione presidenzialista. Il suo entourage si affretta a precisare che «sciogliere il Parlamento non è per ora l’auspicio del presidente», ma che tale opzione resta «una sua prerogativa costituzionale che non esclude a priori». Sfumature da avvocati, mentre la piazza chiede chiarezza, non cavilli.

Lo Stato si prepara alla guerra. Interna

Il primo a capirlo è stato Bruno Retailleau. Ministro dell’Interno con il pugno saldo e lo sguardo lungo, ha inviato giovedì un telegramma a tutti i prefetti. Il tono è perentorio: «Ogni tentativo di bloccare infrastrutture essenziali per la vita della Nazione dovrà essere impedito preventivamente e, se del caso, oggetto di uno sblocco sistematico nel più breve tempo possibile». Nessuna indulgenza, nessuna zona franca. Gli uomini in divisa riceveranno l’ordine di intervenire su ogni fronte: centrali elettriche, depositi petroliferi, aeroporti, scuole. Anche i licei, avverte il ministro, «sono nel mirino».

Ma Retailleau : «Nessun danneggiamento di edifici pubblici, in generale, e ancor più se emblematici, potrà essere tollerato». E ancora: «Procedere, tramite le forze di sicurezza interna, all’interpellanza sistematica degli autori, affinché siano deferiti all’autorità giudiziaria».

Macron nel mirino: lo spettro della “destituzione”

Nel palazzo presidenziale si respira un clima da fine impero. Bayrou, prossimo all’uscita di scena, è solo il parafulmine. Il vero obiettivo è Macron. Lo ha detto chiaramente Jean-Luc Mélenchon, leader della sinistra radicale, pronto a presentare una mozione di destituzione. Dall’altro lato dell’emiciclo campeggia invece l’idea di Jordan Bardella come primo ministro. E Le Pen rilancia: «Sacrificherei tutti i mandati della terra» pur di portare il Rassemblement national a Matignon.

Nel mezzo, i Républicains si spaccano anche sulla possibilità di sostenere un governo socialista, con Laurent Wauquiez che non lo esclude e Retailleau che lo considera un tradimento. E i socialisti? Sognano un governo loro, ma nessuno li prende sul serio: «Non farebbero che continuare la politica di Macron».

Il sistema è imploso. La Francia vive una transizione profonda: la rappresentanza non rappresenta più nessuno. I partiti si muovono come relitti alla deriva. Il popolo, intanto, prepara l’assedio.

10 settembre: l’autunno caldo comincia in anticipo

L’epicentro della protesta sarà mercoledì. Gli attivisti si coordinano su Telegram, le mappe dei blocchi circolano da giorni. Radar stradali, sedi del potere, siti produttivi saranno i bersagli. Il 63% dei francesi è dalla loro, il 58% è d’accordo con i blocchi.

Macron resiste, come un giocatore che ha perso la mano ma continua a bluffare. Ma il tavolo sta saltando. La Francia non chiede solo un nuovo premier: chiede un nuovo patto.

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di Alice Carrazza - 8 Settembre 2025