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Matteo Ricci

Faccia tosta

I cap(Ricci) di Matteo e l’incredibile dichiarazione dopo la sconfitta: “Le Marche non contano nulla”

Il candidato perdente del campo largo addebita la batosta elettorale a nemici immaginari e arriva a ridimensionare l'importanza della sua stessa terra

Politica - di Paolo Desideri - 29 Settembre 2025 alle 19:12

Paolo Sorrentino avrebbe citato la colonna sonora di Parthenope per commentare la parole di Matteo Ricci dopo la pesante sconfitta nelle Marche: era già tutto previsto. O quasi. Perché se era scontato, per prassi e giurisprudenza sintattica, minimizzare la batosta, cosa che a sinistra è parte quadro di un lungo meccanismo di comunicazione, non era mai accaduto che un presidente perdente dicesse che la sua regione, in fondo, non contasse nulla. Eppure Matteo ce l’ha fatta. E non si è fermato qui. Mettendo in gioco come possibile causa della sconfitta i suoi problemi giudiziari, una cosa che Francesco Acquaroli non ha mai tirato in ballo in campagna elettorale.

“In fondo le Marche contano poco “

Ricci ha perso il senso della misura già quando appariva chiara la vittoria di Acquaroli, addebitando all’indagine di Pesaro di ‘Affidopoli’ i motivi dell’insuccesso. Anzi, alla strumentalizzazione politica della sua vicenda giudiziaria. Che non è mai esistita. Nessuno l’ha messa in campo, nessuno ne ha parlato tranne lui.

Ma poi ha deciso di superarsi. Con una sorta di lapsus freudiano ha parlato più da ex vicepresidente Anci e parlamentare europeo che da marchigiano dicendo placidamente che, “in fondo le Marche sono una regione piccola”. Non più l’Ohio italiano. Non contano nulla in sostanza. Detto da un marchigiano fa rabbrividire.

Il candidato migliore il risultato peggiore

Sindaco di Pesaro, numero due di Decaro all’Anci e poi parlamentare europeo: nessuno meglio di Matteo Ricci poteva rappresentare il campo largo. Il candidato migliore che raccoglie, purtroppo per lui, il risultato peggiore. Ma è la narrazione postuma che fa venire i brividi.

La cultura della Var: abbiamo perso per un calcio d’angolo

Matteo Ricci avrebbe dovuto contenersi, evitando di imitare Francesco Boccia. Ridimensionare la sua terra, quella che avrebbe voluto governare, a una sorta di condominio allargato non gli fa onore. Per una storia industriale, produttiva e politica che è più grande della densità demografica regionale. Ma c’è sempre la tentazione irrefrenabile di chiamare continuamente la Var, di dire, dopo avere perso 3-0, che l’arbitro avrebbe dovuto concedere il rigore. O anche un banale calcio d’angolo.

I leader? Si vedono nelle sconfitte

Che Matteo Ricci non fosse un leader lo si sapeva. Perché i leader dimostrano la loro consistenza proprio nelle sconfitte. Nella scala non facilmente decifrabile delle gerarchie di Largo del Nazareno, l’ex sindaco si pone a mezzadria tra un gregarismo costante e la voglia di crescere, soffocata da sé stesso. Ma ha l’occasione anche per smentirci.

Rimanga ad Ancona e rinunci a Bruxelles

Se Matteo Ricci rispettasse le centinaia di migliaia di elettori che lo hanno votato imiterebbe Andrea Orlando (che lo ha fattoin Liguria): rinuncerebbe al seggio europeo e rimarrebbe ad Ancona a fare l’opposizione ad Acquaroli. E’ quello per cui è stato votato ed è il principio essenziale della democrazia. Ma non lo farà. Parlerà al primo Consiglio regionale, accuserà il destino cinico e baro di avergli voltato le spalle, sparerà ad alzo zero su nemici immaginari e poi andrà via. In Belgio. Tanto, per lui, in fondo, le Marche non contano nulla.

 

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di Paolo Desideri - 29 Settembre 2025