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Santa Rosa Viterbo

Tradizione, identità e fede

Evviva Santa Rosa! Viterbo in festa per il trasporto della Macchina, mentre cresce l’attesa per la parata dei big. Ecco chi ci sarà

«È l’inizio di una giornata straordinaria, fatta di tradizione, di fede – naturalmente – e di una partecipazione popolare che anima la città per tutto l’anno», dichiara Mauro Rotelli. «Ci aspettiamo – e ci auguriamo – una notte memorabile»

Cronaca - di Alice Carrazza - 3 Settembre 2025 alle 15:30

C’è un momento, nella notte del 3 settembre, in cui tutto tace. Il respiro collettivo si trattiene, come se la città intera si preparasse a toccare il cielo. È in quell’istante – preciso, potente – che Viterbo si solleva su se stessa, si fa altare e spettacolo, radice e visione. La Macchina parte. E da quel momento non è più solo trasporto: è rito, è prova, è fede che si fa corpo.

Non c’è motore, non c’è ruota. Solo spalle nude, braccia serrate e schiene piegate dalla devozione. Centotredici uomini, i Facchini, portano in alto 51,8 quintali di storia e ingegno, distribuiti su una struttura alta ventotto metri, in un cammino lungo il cuore del centro. Undici di loro sono al loro primo battesimo. Ma nessuno è lì per caso.

Dies Natalis: la fede che si fa luce

L’edizione 2025 è un’edizione giubilare. In una Tuscia spesso dimenticata dalle grandi cronache, oggi invece i riflettori si accendono. Lo sguardo è alla Macchina – creatura barocca di luce e verticalità progettata dall’architetto Raffaele Ascenzi – si chiama “Dies Natalis“, come il giorno della nascita spirituale di Rosa. È un inno alla speranza e alla pace. Ma senza slogan: qui la pace non è bandiera, piuttosto è impegno.

Il vescovo di Viterbo, monsignor Orazio Francesco Piazza, lo ha detto chiaramente: «La gloria di Rosa è nella dedizione ai più bisognosi». Ogni passo del trasporto diventa gesto politico, nel senso più nobile e alto del termine: è un popolo che mostra di saper ancora distinguere il sacro dal profano, la memoria dal folklore, il sacrificio dalla vanità.

Una città in ginocchio davanti alla sua Santa

In tanti in pellegrinaggio: sono arrivati in 3.500, soprattutto giovani, accolti tra famiglie, parrocchie e strutture locali. E la provincia, lungi dal restare in ombra, si è fatta conoscere in fiere internazionali da Berlino a Miami, da Madrid a Londra. La Macchina di Santa Rosa, simbolo identitario e segno vivente di una civiltà ancora capace di credere, è ormai ambasciatrice di una tradizione che resiste all’indifferenza globale.

E la politica lo sa. Stasera, infatti, Palazzo della Provincia accoglierà il ministro degli Esteri e vicepremier Antonio Tajani, la vicepresidente del Parlamento europeo Antonella Sberna, i senatori Maurizio Gasparri e Stefania Craxi, i deputati Francesco Battistoni, Alessandro Battilocchio e Mauro Rotelli. È stato proprio lui, figura fiera e radicata nel territorio, a sottolineare l’importanza del momento: «Siamo ora al tradizionale incontro tra i Facchini e le autorità al Teatro dell’Unione. È l’inizio di una giornata straordinaria, fatta di tradizione, di fede – naturalmente – e di una partecipazione popolare che anima la città per tutto l’anno». E con visibile emozione ha aggiunto: «Quest’anno è davvero speciale. Ieri abbiamo assistito al corteo storico, un evento toccante: la processione ha attraversato le vie della città non solo con la reliquia del cuore, ma con l’intero corpo incorrotto della Santa».

L’attesa, insomma, è palpabile: «Ci aspettiamo – e ci auguriamo – un trasporto memorabile della Macchina di Santa Rosa».

Rosa, la ragazza che sfidò l’Impero

Ma chi era Rosa? Una ragazza nata nel 1233 da famiglia povera, con una malformazione che avrebbe dovuto condannarla a morte precoce. E invece no. Rosa visse diciotto anni senza mai farsi piegare dalla malattia. Non poté entrare tra le Clarisse, così scelse di entrare nella storia.

Camminava per la città con una croce al collo, predicando contro l’Imperatore Federico II, nemico ai tempi del potere spirituale. Fu esiliata, ma non si zittì. A Soriano nel Cimino predisse poi la morte dell’imperatore. Tornata a Vitorchiano, restituì la vista a una donna cieca e convertì un’eretica bavarese.

Morì, infine, il 6 giugno 1251, poco più che adolescente. Nessun monastero la accolse da viva. Lo fece da morta, sette anni dopo, quando Papa Alessandro IV – più volte visitato in sogno da Rosa – ordinò la traslazione del suo corpo incorrotto alla Chiesa delle Clarisse. E fu allora che nacque il mito. Il corpo intatto fu portato in processione sopra un baldacchino, sorretto da uomini scelti. Quel gesto, nato come semplice atto di rispetto e devozione, si trasformò in rituale, assumendo valore civico e artistico. Il baldacchino divenne struttura, la struttura divenne torre, e quella torre è diventata la Macchina.

Dal silenzio della terra al trionfo della Macchina

Tuttavia, Rosa non è mai stata canonizzata, ma è nel Martirologio dal 1583. Santa o beata, poco importa. Per Viterbo, è già molto di più: è simbolo, è madre, è battito.

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di Alice Carrazza - 3 Settembre 2025