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Dio è morto, Marx è morto e la borghesia sta poco bene: si limita ad ostentare soldi per dimostrare di esistere

Il mondo che cambia

Dio è morto, Marx è morto e la borghesia sta poco bene: si limita ad ostentare soldi per dimostrare di esistere

Cultura - di Mario Bozzi Sentieri - 8 Settembre 2025 alle 10:39

Dio è morto, Marx è morto e la borghesia sta poco bene. La causa di questa malattia sta nella sua sostanziale decadenza sociale ed esistenziale: dopo avere vampirizzato l’aristocrazia, la borghesia ha giocato negli ultimi tempi  al ribasso (il quieto vivere, il conformismo, l’edonismo, il “presentismo”, cioè la mancanza di ampi orizzonti) smarrendo le sue storiche ragioni d’essere ed  impoverendo il suo capitale culturale ed etico.
 Nei  Miserabili , Victor Hugo definiva i borghesi come la “parte del popolo soddisfatta”: una definizione suggestiva ed efficace, che ha avuto diverse declinazioni, ben oltre l’idea marx-engelsiana, secondo cui “per borghesia si intende la classe dei capitalisti moderni che sono proprietari dei mezzi della produzione sociale e impiegano lavoro salariato”.
Werner Sombart, negli Anni trenta del ‘900, aveva denunciato le distorsioni di un’economia di mercato senza regole, d’ impronta borghese, costruita sulla supremazia del profitto sulle ragioni e le necessità dei popoli e delle nazioni.
La declinazione ultima è quella consumatoria, legata al potere del denaro, all’acquisto di beni, all’ostentazione del lusso. Unita ad essa quella culturale, determinata dalla trionfante visione della vita e del mondo, di marca utilitaristica. Poi, ancora, la faccia politica, segnata dal formalismo democratico, a base egalitaria, e dallo status.
La borghesia consumista fa dell’apparire la sua bandiera. Lo si è visto questa estate: 100.000 l’affitto di uno yacht per una settimana, 10.000 per una settimana in masseria, 20.000 il costo di una bottiglia di vino al top. Soggiornare una settimana ad agosto in Italia, che sia in un hotel prestigioso, in uno chalet di charme in montagna o in una villa con una splendida vista sul mare, è arrivato a costare cifre da capogiro. Ed  il mondo borghese l’ha fatta letteralmente da padrone.
Qui – sia chiaro – non si vuole criticare il diritto a spendere i propri denari. L’economia del lusso ha un suo valore produttivo ed occupazionale che va tutelato. Ciò che qui contestiamo è l’assolutismo consumatorio, che si fa status symbol, in grado di intaccare i portafogli ma insieme una dimensione etica che è sempre appartenuta alla borghesia e che ora sembra essersi persa.
Storicamente la borghesia propriamente detta era il ceto dei diritti, ma soprattutto dei doveri. Era la paladina della famiglia. Credeva nella Patria e ad essa arrivava ad immolare i propri figli, trovando così una nuova legittimità sociale  e politica (dalle guerre risorgimentali al primo conflitto mondiale, dal fascismo alla Ricostruzione). Era una borghesia “etica” e colta, in cui il culto del lavoro e dell’intrapresa si sposava con il ruolo pubblico, secondo una visione nazionale del sacrificio. Faceva tendenza nel senso più alto del termine. Veniva imitata più che invidiata come nelle sue odierne ostentazioni.
Oggi, sempre più spesso, il borghese  parla “al singolare”, in ragione di un’ identità  che esaurisce nella sfera individualista l’essenza dell’essere moderno. Riduzionismo e particolarismo ne sono i corollari esistenziali: un riduzionismo dai forti tratti consumistici, un particolarismo economicistico ed un relativismo etico che paiono essere diventati le ragioni ultime ed essenziali del finalismo borghese, surrogato dal ceto medio.
La borghesia – diceva  Georges Sorel – ha due facce. La prima è quella della stanchezza e della decadenza, priva di slanci, appagata nell’ avere esaurito il suo ruolo storico.
L’altra è quella vigorosa e ricca di volontà, “razza dei capi audaci” infiammati dalla passione del successo. Le sorti del mondo, assediato dalla decadenza, si giocavano – secondo Sorel –  nella possibilità che le forze in campo (il proletariato e la borghesia) dispiegassero il loro spirito combattivo.
Da “Réflexions sur la violence” (1908) di tempo ne è passato. I contesti sono mutati e così i rapporti tra le forze sociali. A cercare ragioni suggestive per misurarsi adeguatamente rispetto alla crisi contemporanea certi guizzi soreliani continuano tuttavia a mantenere invariato il loro fascino, soprattutto laddove invitano ad incalzare la borghesia, a richiamarla ai propri doveri, ad essere meno “vigliacca” rispetto alle emergenze dell’ora presente.
Fino a ieri l’ha salvata, a fasi alterne, la propria autostima, fondata sul benessere domestico e sull’idea che questo fosse sufficiente non solo a legittimarla, ma a garantirle anche una visione universale. All’interno di un sistema chiuso, autoreferenziale, a base professionale, la borghesia si è difesa alzando i ponti levatoi del proprio egoismo, incapace però di guardare che cosa si profilava all’orizzonte, quali scenari nuovi venivano a delinearsi, quali rischi per la sua sopravvivenza. Priva di idee in grado di contenere le mutazioni socio-economiche ed antropologiche del tempo della globalizzazione, la lumpen borghesia si è illusa che la condivisione degli orizzonti offerti dal relativismo etico potesse   essere sufficiente a rilegittimare il suo potere e che l’ostentazione economica fosse in grado di riaffermarlo a livello di opinione diffusa.
Ma produrre e consumare (particolarmente in modo così ostentato) non basta per essere all’altezza delle proprie responsabilità storiche. Ostentare un potere economico non basta.  Soprattutto non è sufficiente a fare crescere una cultura all’altezza delle sfide odierne e di quelle che verranno e a motivare nuovi classi dirigenti.
Con il conseguente arretramento rispetto ai più grandi interessi (nazionali) in gioco e alle sfide del futuro. Tutto questo perché a venire meno è anche il legame collettivo, il vincolo profondo fatto di cultura vissuta, di un destino comune, di “segni” (oltre che di leggi), di passioni (oltre che di regole) di idee (oltre che di lusso).  E allora non c’è più una Storia da costruire. Ci sono certo le tante piccole storie individuali. Troppo poco per affrontare le grandi questioni epocali che ci stanno di fronte.
Da ricostruire, al di là delle politiche fiscali, della riorganizzazione dello Stato, delle infrastrutture ci sono quei vincoli sociali, a partire dai corpi sociali e dalle comunità di lavoro, che sono le fondamenta per un’organica riassunzione di responsabilità. Oltre i bassi orizzonti di un individualismo borghese consumatorio che sembra avere poco da dire per costruire un nuovo immaginario collettivo.

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di Mario Bozzi Sentieri - 8 Settembre 2025