
Visioni
Da Pirenne al Piano Mattei: una mentalità mediterranea per restituire all’Italia il ruolo di creatrice di storia
In un’ottica mediterranea, la funzione dell’Italia è per geografia quella di cardine attorno al quale far ruotare i diversi interessi. Per politica e cultura, le tocca il compito ancora più arduo
Henri Pirenne (1862-1935) fu un medievista belga; la sua opera “Maometto e Carlo Magno”, uscita postuma nel 1937, ha segnato un momento determinante non solo nella storiografia, ma nell’idea stessa di Mediterraneo come ancora oggi lo concepiamo.
La tesi del Pirenne si può così riassumere: il Mediterraneo prima di Roma, e il Mare Nostrum romano, costituirono per millenni un’unità culturale, pur in mezzo a nette diversità etniche e a frequenti conflitti politici e militari. Il greco della koinè diàlektos era la lingua veicolare dall’India alla Spagna; Cartagine fu alleata di Roma dal 509 al 264; dopo le guerre, ricostruita da Caio Gracco, fu la seconda città dell’Impero per economia e cultura e… vizi.
Diciamo, per brevità, che in tutto il Mare c’era la stessa mentalità; e tanto più quando i popoli, al netto di scismi ed eresie, divennero cristiani. La conquista araba dell’Asia e dell’Africa, e, per indicare una data, quella della Spagna tra il 711 e il 714; e di gran parte dell’Anatolia, di Creta, della Sicilia; e il tentativo d’invasione della Francia stroncato a Poitiers nel 732; e la minaccia turca respinta dalle flotte cattoliche a Malta nel 1565 e a Lepanto nel 1571; e per terra a Vienna nel 1683, e la pirateria, questi fatti segnarono una cesura tra le due sponde, che politicamente durò fino al colonialismo francese, a iniziare dal 1830, di Algeria, Tunisia e Marocco; italiano in Libia nel 1911; dominio inglese in Egitto. Cesura secolare non solo e non tanto politica, bensì di religione e di civiltà, e di dinamiche economiche e sociali.
Dai primi decenni del XX secolo, il mondo musulmano si è messo in movimento. Non vogliamo raccontarne le intricate vicende, e descriviamo la situazione. La Turchia è abitata da turchi… e non è una banale tautologia, perché, con Ataturk, ha rinunciato all’universalismo del sultano-califfo-cesare, ed è uno Stato compatto entro gli attuali confini, con potenza militare e modernità di economia. L’Egitto, con qualche ricorrente scossone interno, è uno Stato arabo laico. L’Algeria e il Marocco non presentano, che si sappia, debolezze politiche. La Tunisia, al netto di fantasticate “primavere” arabe d’esportazione della democrazia, comunque si regge. Si poteva dire lo stesso della Libia prima dell’immotivata devastazione francese e statunitense, che ha causato l’attuale anarchia. Qualcosa del genere sta accadendo in Siria. Quanto alla Terra Santa, e frenando simpatie e ideologie, è persino difficile esprimere un giudizio su quanto è accaduto, e non dal 2023, dico dal 1917, e accade tuttora; e mentre scriviamo, con inattese complicazioni.
Guardando alla sponda mediterranea nord e al mondo che, almeno ai tempi del Pirenne, avremmo chiamato cristiano, per la forma, fanno parte della stessa Europa Unita: Portogallo, Spagna, Francia, Italia, Croazia, Slovenia, Grecia, Cipro; anche se dell’unità dell’Unione siamo sempre meno convinti. Fanno anche parte della Nato assieme alla Turchia; ma la Nato ha una natura difensiva, e non di politica organica; e la politica, se mai, la fa l’egemone, cioè gli Usa.
Cosa si può fare, nel Mediterraneo? Dovrebbe apparire molto semplice: un’Europa a due poli, quello settentrionale, o, se volete, carolingio; e quello meridionale, quindi mediterraneo. Carolingio è quel mondo dei Franchi occidentali (Francia e di lingua francese) e dei Franchi orientali (Germania, divenuta però presto tedesca): alla fine, il Pirenne era belga, quindi nato in mezzo all’Impero! L’Italia, dal climaterico 962, fu, almeno pro forma, un’appendice della Germania e dell’Impero; ma non mancò una politica mediterranea, con i Normanni del Sud; Venezia; Genova… e qualche momento dopo l’unificazione, fino alla sconfitta del 1943. Da allora, l’Italia ufficiale ha dovuto condurre quasi clandestinamente la sua politica con il mondo arabo; ma l’ha condotta. Non sarebbe ora di farlo in modo esplicito?
Il Piano Mattei ha un’enunciazione simbolica: l’Eni di Mattei si distingueva nettamente dalle Sette sorelle del petrolio, perché queste non solo, è banale, sfruttavano le risorse africane e asiatiche, ma lo facevano con una precisa ideologia: tenere i popoli nell’emarginazione, e le classi dirigenti a fare le scimmie dell’Occidente. Enrico Mattei mirava all’alleanza tra pari, e non solo nell’economia. Che sia morto il 27 ottobre 1962, è l’unica notizia certa e credibile! Sarebbe facile applicare la prassi del “cui prodest”; e ci fermiamo.
Una politica mediterranea dell’Italia è nelle intenzioni del governo Meloni, e ciò è ben noto. Occorre anche una cultura che accompagni la politica. Una notizia è interessante: a Malta si stanno muovendo per riconoscere all’italiano la dignità di terza lingua ufficiale; del resto era lingua di cultura fino al 1934, quando gli allora dominanti imposero l’inglese. Malta è stata italiana, secondo tutti i significati di questo termine: romana, normanna, siciliana in feudo all’Ordine. Da calabrese, ricordo la presenza attivissima nell’isola del pittore e architetto Mattia Preti (1613-99). Da nazionalista, ci farei un pensierino di natura istituzionale. E non sarebbe il caso di ricordare Carmelo Borg Pisani, irredentista maltese, come commemoriamo Sauro e Battisti? O un film?
La politica culturale è culturale, non lamentazione di luoghi comuni politicamente corretti. Sentirsi mediterranei non significa smarrire le identità, e nemmeno, anzi tanto meno, andare in cerca di un comune denominatore minimo, molto minimo e quasi zero. Significa concepire un progetto di economie parallele e connesse (ecco il “piano Mattei”); e, almeno in prospettiva, organismi d’intesa, e di difesa. Senza inseguire utopie, possiamo ricordare i millenni di prima della tesi del Pirenne, quando capitava che gli imperatori venissero da Leptis Magna, e sant’Agostino visse a Cartagine e a Milano per divenire vescovo di Ippona: e tutto in latino, la lingua delle leggi.
In un’ottica mediterranea, la funzione dell’Italia è, per geografia, quella di cardine attorno al quale far ruotare i diversi interessi. Per politica e cultura, le tocca un compito molto arduo, da creatrice di storia. Urge una cultura nel senso più alto del termine, combattendo, e proprio con le armi della cultura, il piagnisteo populista e che non è popolare, tanto meno nazionalpopolare. Occorrono film e romanzi, e una mentalità ottimistica e positiva.
E Carlo? Il suo Impero, stando alla forma, durò niente di meno che dall’anno 800 al 1806; per la sostanza, è tutt’altra vicenda; e, morto il Magno, assai, assai più breve; e i tentativi di rifarlo fallirono; senza scordare le infinite guerre tra Francia e Stati tedeschi o la Germania tutta assieme. Questo per la storia, conoscere la quale può essere utile anche a mitigare certe renane prosopopee; e recuperare, in Italia, una mentalità mediterranea.