
Le opere di Henri Guaino
Tutto quello che avreste voluto sapere su De Gaulle e il gollismo e non avete mai osato chiedere (in due libri)
Il generale de Gaulle è nato a Lille, il 22 novembre 1890.
Come il pensiero di un uomo di Stato nato nel XIX secolo potrebbe essere utile ad un francese del XXI secolo che vive nell’ossessione del presente?
Henri Guaino, ex consigliere speciale di Sarkozy, e studioso del gollismo cerca di rispondere a questo quesito con due libri “De Gaulle nel presente” e “De Gaulle, il nome di tutto ciò che ci manca”. Avvalendosi dell’ausilio della Fondazione Charles de Gaulle e dell’editore “Cherche Midi”, Guaino pubblica una raccolta di testi del fondatore della Francia libera e della V Repubblica.
Il generale De Gaulle e il catechismo che non c’è
Il minuzioso lavoro di Guaino non vuole essere l’espressione di una nostalgia e non si pone neanche l’obiettivo di sapere cosa penserebbe o farebbe il generale De Gaulle se fosse ancora vivo. I morti non escono dalle loro tombe per scrivere la storia dei vivi. Ma hanno, a volte, ancora qualcosa da dirgli. Ci sono pensieri e destini esemplari che sono lezioni che non si esauriscono nel tempo.
Il gollismo non fu una religione: non ha un catechismo. Il generale De Gaulle – lo ripeté spesso a quei suoi sostenitori che volevano formulare una dottrina gollista – non ha mai voluto che i suoi pensieri e le sue azioni fossero confinati in un quadro così rigido. Attribuiva troppa importanza alle circostanze e troppo valore alla sua libertà. Del resto, nel corso dei decenni, il pensiero evolve, anche se segue un filo conduttore continuo. Lontano da ogni dogmatismo, il gollismo, è un pensiero vivo che si nutre di prove ed esperienze. Il leader della Francia Libera fu, negli anni ’60, l’artefice della riconciliazione franco-tedesca; fu anche, nel dopoguerra, uno dei principali artefici della decolonizzazione.
Il catechismo avrebbe tradito il significato che il generale De Gaulle voleva dare alle sue azioni. Il libretto rosso del gollismo sul modello di quello di Mao è impensabile.
Il gollismo è una storia che Henri Guaino suddivide in cinque periodi
Il gollismo è una storia che Henri Guaino suddivide in cinque periodi. Il periodo tra le due guerre, durante il quale il colonnello De Gaulle si batté, invano, per la modernizzazione delle dottrine d’impiego dell’esercito francese, proprio come Churchill si batté invano per il riarmo britannico.
Il periodo di guerra con la Francia Libera, la Francia Combattente e la Resistenza.
Il periodo della liberazione e della restaurazione dello Stato e della sovranità francese, che si concluse nel 1946.
Il periodo della lotta politica, il Raggruppamento del Popolo Francese, la traversata del deserto.
Il periodo della Quinta Repubblica, che si concluse con il referendum perso nel 1969 sulla riforma del Senato e sulla riforma regionale.
Cosa rappresentò il generale de Gaulle per la Francia? Senza dubbio uno di quegli uomini provvidenziali di cui la storia francese sembra custodirne il segreto. Nei momenti cruciali, in mezzo ai pericoli più grandi, la Francia si aspetta sempre l’arrivo di una figura tutelare a cui rivolgersi per la salvezza. Questo accade da secoli. La storia è diventata leggenda. Il mito dell’uomo provvidenziale ha conquistato l’immaginario francese. Ma anche i miti hanno un ruolo nella storia. Per secoli, gli storici ci hanno abituato ai due corpi del re: il corpo umano, deperibile, transitorio, e il corpo simbolico, che non muore mai perché incarna la continuità dello Stato; “Il Re è morto, lunga vita al Re”. E Luigi XIV, che sul letto di morte, dichiarò: “Io muoio, ma lo Stato rimarrà per sempre”. Questa continuità simbolica iscriverà nello stesso disegno perseguito con costanza l’azione di tutti i re di Francia fino a Luigi XVI.
“La Francia è una persona”, diceva Jules Michelet
La Francia, vecchio paese monarchico, secondo De Gaulle, ha bisogno di incarnazione. Ha bisogno di riconoscersi nelle persone. “La Francia è una persona”, diceva Jules Michelet. La Francia ha un culto per la figura provvidenziale: quella che le ricorda periodicamente che la sua storia non è finita, che ha ancora un destino che raccoglie le sue forze. La cultura politica francese è inscindibile dalla figura del sovrano e da quella del salvatore.
Quando la Rivoluzione si esaurì nel disordine del Direttorio, dopo tanto spargimento di sangue, omicidi e guerre civili, emerse Bonaparte. Quando la Grande Guerra fu sul punto di essere persa, la Nazione, scoraggiata ed esausta, si rivolse a Clemenceau, un repubblicano vandeano. Quando la Francia crollò nel 1940, si affidò al vincitore di Verdun. Ma il maresciallo Pétain, che nel maggio 1917 era stato l’uomo delle circostanze, non era più l’uomo della Provvidenza, ma l’uomo dell’abbandono. Colui che la Provvidenza aveva scelto questa volta era un semplice generale di brigata, che, a Londra il 18 giugno, alla BBC, dichiarò: “La fiamma della Resistenza francese non deve spegnersi e non si spegnerà”. Per cinque anni incarnò la Resistenza francese e la continuità della Repubblica. Dopo la liberazione scongiurò il rischio di una guerra civile e se ne andò quando tornò il regime dei partiti che lui giudicava contrario agli interessi della Nazione. Nel 1958, quando la Francia è sull’orlo di una guerra civile e del fallimento, è nuovamente l’uomo della situazione.
La grandeur della Francia incarnata da De Gaulle
De Gaulle appartiene a quella serie di personaggi che hanno dato volti, a volte immaginari, in cui la Francia ha riconosciuto i tratti della sua grandeur. Il francese del XXI secolo crede ancora nella figura provvidenziale che gli permetterà di superare le prove che deve affrontare? Considerata l’importanza dell’elezione del Presidente della Repubblica a suffragio universale, istituita dal generale De Gaulle nel 1962, considerate le passioni e la mobilitazione elettorale che suscita, anche dopo tante delusioni, quale altra elezione democratica è in grado di registrare un tasso di partecipazione superiore al 75% degli elettori? Ci sono buoni motivi per pensare che l’attesa dell’uomo provvidenziale non appartenga del tutto a un’epoca così remota.
Non chiese mai nulla per sé, ma tutto per il prestigio della Francia
De Gaulle ha 50 anni nel giugno del 1940, quando il crollo della Francia lo portò sui libri di storia. Eccolo lì, al servizio esclusivo di una causa più grande di lui. Il suo orgoglio, il suo rigore, non erano più suoi, ma quelli di una Francia troppo debole per essere umile: l’orgoglio di chi non ha nulla, l’orgoglio di una Francia privata di tutto.
Per tutta la vita, i suoi avversari avrebbero criticato questo orgoglio. Orgoglioso della Francia? Certamente. Orgoglioso di sé stesso? Tutto dipende dal significato del termine. Nell’aprile del 1946, Edmond Michelet, ministro delle Forze Armate, inviò una lettera al generale, che aveva appena lasciato il potere, chiedendogli come risolvere “la sua situazione nell’esercito”, lasciando intendere che avrebbe potuto essere elevato al rango di Maresciallo di Francia. Il generale rispose: “Dal 18 giugno 1940, data in cui sono uscito dagli schemi per intraprendere un percorso piuttosto eccezionale, gli eventi che si sono verificati sono stati di tale natura e portata che sarebbe impossibile regolarizzare una situazione assolutamente senza precedenti”. Umiltà o orgoglio supremo di chi pensa che ciò che ha fatto sia troppo grande perché una qualsiasi onorificenza possa essere commisurata al servizio reso alla Nazione? In ogni caso, non chiese mai nulla per sé, ma tutto per il prestigio della Francia e dello Stato. La sua gloria non ebbe bisogno di un mausoleo: gli bastò la modesta tomba nel piccolo cimitero di Colombey-les-Deux-Eglises.
De Gaulle, il generale diventato monarca
Monarca, il generale De Gaulle? Certamente sì, perché la storia di Francia gli insegna che la sovranità francese, per rimanere viva, ha bisogno di essere incarnata. Monarca repubblicano, senza corona, senza diritto divino, senza eredità, che incarna, a sua volta, dal 1940 al 1944, la Resistenza nazionale come Giovanna d’Arco nel 1429, Lazare Carnot nel 1793, Gambetta nel 1870, Clemenceau nel 1917; nel 1944 e nel 1945, incarna la riconciliazione nazionale, come Enrico IV dopo le guerre di religione e Bonaparte dopo la Rivoluzione; dal 1958 al 1969, l’autorità dello Stato, come Filippo il Bello, Richelieu, Mazzarino e Luigi XIV di fronte al feudalesimo. Sta alla Costituzione della Quinta Repubblica come Napoleone sta al Codice civile e all’economia dei Trent’Anni gloriosi come Colbert sta a quella del Grand Siècle. Il gollismo è la Francia Libera, più la Liberazione, più la Quinta Repubblica. Il destino unico di un uomo che ha avuto diversi incontri con la storia.
Un uomo che ne trae una grande lezione politica: la necessità del contatto diretto con il popolo, la convinzione che la sovranità risieda solo nel popolo. Ne trae anche una lezione morale: la consapevolezza che la storia gli ha conferito una particolare legittimità per incarnare questa sovranità e che questa legittimità gli crea solo doveri e nessun diritto.
De Gaulle, inflessibile, non esita a trarre le conseguenze dalla sconfitta sul referendum sulla regionalizzazione e sulla riforma del Senato. Il NO vince con il 52.41% dei voti, il 27 aprile 1969. La fiducia è infranta e il giorno dopo con un semplice comunicato annuncia il suo ritiro; “Cesso di esercitare le mie funzioni di Presidente della Repubblica. Questa decisione prende effetto oggi a mezzogiorno”. Rientra a Colombay dove la morte lo sorprese, il 9 novembre 1970.
L’attualità del gollismo spiegata da Henri Guaino
Per Guaino il tempo è passato ma l’attualità del gollismo è maggiore oggi di quanto non lo sia stata per oltre mezzo secolo.
Nato da una tenace resistenza al crollo dello Stato, della Nazione e della Repubblica, ispirato da questa idea dell’uomo che Malraux riassume in questa folgorante formula: “Solo lo schiavo dice sempre di sì”, il gollismo appare come una delle grandi lezioni intellettuali e morali capaci di ispirare una politica all’altezza delle grandi sfide del XXI secolo. Non è forse giunto il momento di contrapporre al laissez-faire, alla deindustrializzazione, alla concorrenza sleale, alla disintegrazione della società, dell’economia, e al disordine, che continuano a guadagnare terreno un’autorità e un volontarismo gollista? La politica può essere altro che un mediocre gioco di potere e uno statista molto più di un politicante?
La differenza tra un politico e un politicante
De Gaulle, non è il titolo di un nuovo catalogo di promesse che non saranno mantenute, è il nome che oggi molti francesi attribuiscono alle virtù che distinguono l’uomo di Stato dal politicante, in un’epoca in cui i politicanti pullulano e gli uomini di Stato si fanno sempre più rari, nonostante la situazione attuale della Francia richiederebbe il contrario. De Gaulle non è il nome di un programma elettorale. Lo statista, secondo De Gaulle, non ha cataloghi da vendere ma i francesi sapevano una cosa con precisione e cioè che De Gaulle non facesse altro che il suo dovere verso la Nazione.
In tutto ciò che il gollismo ci racconta nella storia, c’è il fatto che la politica ci pone sempre di fronte a delle scelte e che ci sono due soluzioni: eludere o decidere. La prima è quella dei politicanti. La seconda quella degli statisti. La prima si accontenta di giocare con le parole. La seconda inizia prendendo sul serio le parole e le proprie responsabilità. Il gollismo è la storia di uno statista che ha preso sul serio le parole e le proprie responsabilità. De Gaulle…è il nome di tutto ciò che manca alla Francia.