
La guerra all'informazione
Strage di giornalisti a Gaza, chi era Anas al-Sharif, il corrispondente di Al Jazeera ucciso nel raid israeliano
La condanna internazionale, dall'Ue all'Onu: Le sue ultime parole: "Attacchi inaccettabili. Violazione del diritto internazionale". Le ultime parole del reporter: "Non ho mai esitato a trasmettere la verità così com’è, senza distorsioni né falsificazioni"
Un attacco aereo israeliano ha colpito domenica notte una tenda utilizzata come postazione stampa nei pressi dell’ospedale al-Shifa di Gaza city, uccidendo cinque operatori di Al Jazeera e un giornalista freelance. Tra le vittime, Anas al-Sharif, 28 anni, volto noto nella Striscia, impegnato sin dai primi giorni della guerra a documentare la vita sotto assedio nella Striscia. Con lui sono morti il corrispondente Mohammed Qreiqeh e i cameraman Ibrahim Zaher, Mohammed Noufal e Moamen Aliwa. Anche il freelance Mohammed Al-Khaldi, gravemente ferito, è deceduto poco dopo.
Anas al-Sharif: “L’unica voce rimasta a Gaza”
Nato a Jabalia, nel nord di Gaza, Sharif lavorava per l’emittente qatariota da due anni. Durante il conflitto aveva scelto di restare al nord, rifiutando gli ordini israeliani di evacuazione. Sposato e padre di due bambini, Sham e Salah, aveva potuto incontrare il figlio minore per la prima volta solo a gennaio, dopo quindici mesi di guerra.
Salah Negm, direttore delle news di Al Jazeera English, ricorda: «Ha lavorato per tutta la durata della guerra all’interno di Gaza, riportando quotidianamente la situazione della popolazione e gli attacchi condotti nella Striscia». Mohamed Moawad, caporedattore, lo definisce «l’unica voce rimasta a Gaza».
Raed Fakih, responsabile di Al Jazeera Arabic, lo descrive invece come «coraggioso, dedito e onesto». Racconta che nelle ultime conversazioni Sharif parlava di fame e carestia, di un’esistenza segnata dalle stesse privazioni del resto dei gazawi: «Anche di fronte alla morte ha continuato, perché questa è una storia che va raccontata».
L’accusa di Israele e la replica internazionale
L’esercito israeliano afferma che Sharif fosse «a capo di una cellula terroristica di Hamas» e responsabile di lanci di razzi. Ha diffuso screenshot di documenti che, sostiene, proverebbero la sua affiliazione militare: elenchi di personale, corsi di addestramento, rubriche telefoniche, registri salariali. Oltre a scatti compromettenti con l’ex capo delle milizie Yahya Sinwar.
Le accuse sono respinte da Al Jazeera e da Reporter senza frontiere, che le definisce «infondate» e avverte: «Senza un’azione forte della comunità internazionale… rischiamo di assistere a ulteriori omicidi extragiudiziali di operatori dei media». Sharif aveva già smentito in passato ogni legame con le brigate islamiche e, nei giorni precedenti alla morte, aveva anche criticato apertamente il movimento.
“Necessaria un’indagine indipendente”
Il ministro degli Esteri Antonio Tajani parla di «attacchi inaccettabili» e ribadisce la necessità di «mettere fine alla guerra e riavviare il processo politico». L’Alto rappresentante Ue, Kaja Kallas, sottolinea che «in questi casi è necessario fornire prove chiare, nel rispetto dello stato di diritto, per evitare che i giornalisti vengano presi di mira».
Il segretario generale delle Nazioni unite António Guterres chiede «un’indagine indipendente e imparziale» e ricorda che «gli operatori dei media devono poter svolgere il loro lavoro liberamente, liberi dalla paura».
L’Ufficio Onu per i diritti umani definisce la strage «una grave violazione del diritto internazionale umanitario» e ricorda che dal 7 ottobre 2023 nella Striscia sono stati uccisi almeno 242 reporter. L’organizzazione chiede inoltre «un accesso immediato, sicuro e senza ostacoli a Gaza per tutti i giornalisti».
La lettera d’addio
Sui suoi profili social, Anas al-Sharif ha lasciato un messaggio al mondo: «Non dimenticate Gaza». Poi ha rivolto parole intime ai suoi cari: a Sham, «luce dei miei occhi che non vedrò crescere»; a Salah, «volevo essere il suo sostegno»; e alla moglie Umm Salah Bayan, «che non si spezza, come un ramo d’olivo».
«Ho vissuto il dolore in tutti i suoi dettagli, ho assaporato la sofferenza e la perdita molte volte, eppure non ho mai esitato a trasmettere la verità così com’è, senza distorsioni né falsificazioni», recita ancora la lettera, scritta ad Aprile e affidata ai social. Infine, l’impegno che rivendicava con orgoglio: «Ho mantenuto la mia promessa e non l’ho mai cambiata né tradita».