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Scontro tra reel e realtà. Israele apre un nuovo fronte e dichiara guerra nell’infosfera

La battaglia dell'immaginario

Scontro tra reel e realtà. Israele apre un nuovo fronte e dichiara guerra nell’infosfera

La storia oggi è anche in formato verticale e passa per gli algoritmi, gli hashtag, i video brevi. Le bombe oltre a generare morti e macerie distruggono i rapporti di fiducia, la credibilità internazionale

Esteri - di Andrea Moi - 31 Agosto 2025 alle 07:00

Israele ha aperto un nuovo fronte, quello della comunicazione. Negli ultimi giorni il Governo di Tel Aviv ha dato il via a due campagne per provare a ribaltare la narrazione mediatica.

La prima campagna, condotta dal ministero degli Affari della Diaspora è stata chiamata “rivelare la verità”. Per questa operazione sono stati assoldati influencer, per lo più americani, da portare al valico di Gaza. L’obiettivo è chiaro: creare una contro narrazione per costruire una versione israeliana dei fatti e «mostrare il meccanismo di distribuzione degli aiuti umanitari a Gaza». La seconda campagna, portata avanti direttamente dal canale youtube del Ministero degli affari esteri, arriva qualche giorno dopo e rappresenta “Riprese reali di scene di cibo a Gaza”. Nei video scorrono immagini di ristoranti affollati nella regione che terminano con la frase “C’è cibo a Gaza. Qualsiasi altra affermazione è una bugia”. Il contenuto è stato pubbblicato in sette lingue e in poche ore ha raccolto milioni di visualizzazioni, frutto anche di una probabile sponsorizzazione.

Gli sforzi di Tel Aviv sono conseguenza di una constatazione oggettiva: se infatti sul campo Hamas è stata quasi del tutto sconfitta, Israele sembra aver perso, e di molto, in quello spazio chiamato “infosfera” ossia dove si incontrano le informazioni che navigano tra i media e costruiscono l’immaginario collettivo.

Il problema delle fonti sul fronte

Quella della reputazione mediatica è una questione della quale Israele sembra essersi occupata troppo tardi. Il risultato dell’operazione infatti non è quello sperato. Forse la scelta degli influencer non è stata corretta o forse il fuoco mediatico degli avversari è troppo forte per poter spegnere l’incendio generato in mese di conflitto ma sta di fatto che il tentativo sembra essere caduto nel vuoto. I video fatti circolare in rete non sono esaustivi e si scontrano con un dato difficile da confutare: l’impossibilità di accesso a Gaza dei giornalisti stranieri. Questo elemento fa tremare il castello che tenta di comporre Israele. Il vincolo infatti ha generato un problema ancora più grande per Tel Aviv: le notizie dalla Striscia provengono da fonti indipendenti, tv arabe e media di Hamas. In nessuno dei casi emerge la versione di Israele ed ora provare a recuperare con pochi video sembra complicato.

Unifil, Gaza e reporter sotto il fuoco

La notizia della mossa israeliana arriva a ridosso dell’ennesimo grave episodio che ha visto l’uccisione di 5 reporter nell’ospedale Nasser di Gaza. Uno dei pochi ancora in funzione. Su questo, come su tanti altri casi della Striscia, il governo israeliano ha promesso indagini accurate per verificare l’accaduto. Ma i casi in cui bisogna verificare l’accaduto sono ormai molti e hanno toccato diverse sensibilità. Basti pensare ad altri due episodi simbolo di questa guerra: l’attacco alle stazioni Unifil e il bombardamento della parrocchia di Gaza. Entrambe le occasioni hanno costretto anche chi cercava toni distesi con Israele ad alzare la voce e chiedere un cessate il fuoco immediato.

Geopolitica in rete

Come sostiene Rsi, l’emittente italo/svizzera, la storia oggi è anche in formato verticale e passa per gli algoritmi, gli hashtag, i video brevi. Le bombe oltre a generare morti e macerie distruggono i rapporti di fiducia e la credibilità. Israele infatti si trova sempre più isolata nel contesto internazionale. Se la reazione all’attacco del 7 ottobre poteva trovare l’appoggio di molti governi, ora Tel Aviv si trova in difficoltà nel vedersi tutelata di fronte all’occupazione militare di Gaza, ai nuovi insediamenti in Cisgiordania e alle ripetute violenze perpetrate dai coloni. 

La verità passa anche per i social

Lo scontro tra i reel e la realtà è duro ma la rabbia scaturita dal governo israeliano evidentemente non aveva previsto questa reazione mediatica oppure, non se ne era voluta occupare, troppo presa dal fuoco di rabbia per consumare la vendetta sul 7 ottobre. Eppure è ormai un fatto condiviso che l’immaginario collettivo, composto anche da ciò che viene raccontato sui social, sia un elemento centrale nella costruzione della forza geopolitica. Maestri sono stati gli Usa, seguiti poi dalla Cina e dalla Turchia (con milionari investimenti nel cinema). Israele aveva negli ultimi anni puntato sul suo soft power attraverso la creazione di entusiasmanti serie su netflix. Basti pensare a Fauda, pellicola firmata da un ex dell’antiterrorismo delle IDF. Questo campo, forse altrettanto importante come quello militare, è stato lasciato vuoto e Israele ne sta pagando le conseguenze.

Un futuro difficile

Ora, nella speranza che arrivi presto un cessato il fuoco, non sarà facile per Netanyahu costruire una nuova immagine internazionale. Costretto a convivere coi governi vicini che hanno aspramente criticato le sue azioni militari, il leader del Likud dovrà fare i conti con una geografia difficile. Rinnovare il Patto di Abramo e costruire nuove relazioni con le potenze dell’area sarà sempre più complicato ma, ancora più complicato, sarà provare a ribaltare il giudizio dell’opinione pubblica che ha criticato nelle piazze e sui media le operazioni militari degli ultimi mesi. Israele ha davanti a sé un nuovo fronte di guerra, quello dell’immaginario e qui, a contare, non è la potenza militare. 

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31 Agosto 2025 alle 07:00