
Lo storico via libera
Ponte sullo Stretto, uno schiaffo ai No-tutto: sinistri-gretini, piddini rancorosi, grillini complottisti…
Oggi è un altro giorno. Sì, ma non è un giorno come gli altri: il via libera del Comitato interministeriale per la programmazione economica e lo sviluppo sostenibile sembrerebbe dare finalmente il via libera all’Opera delle opere, quel Ponte sullo Stretto di Messina del quale si parla, senza mai costruirlo, da decenni.
Usiamo il condizionale per scaramanzia: l’esperienza maturata in questi anni è fatta di passi avanti e ripensamenti continui, di deliri ecologisti, di nopontismo d’accatto.
I No-Ponte, appunto, nell’Italia dei blocchi stradali per la TAV e per qualsiasi opera di alta ingegneristica immaginata per una Nazione più moderna e competitiva, sono l’anomalia di sistema che ha trasformato un’opera pubblica fondamentale in un argomento da salotto televisivo ideologizzato.
“A che serve il Ponte, non basta il traghetto”?
Cosa ci troviate di “romantico” o “ecologico” in quell’ammasso di lenta ferraglia che solca lo stretto per traghettare treni e sversare liquami, col fumo nero come bandiera, col bar sempre chiuso, gli arancini con il reflusso incorporato e la macchinetta del caffè guasta, non lo capiremo mai.
È il “kali-yuga della macchina”, altro che resistenza ai piloni e all’assassinio delle specie migratorie di Pizzo Calabro, alla deriva dei continenti e ai terremoti.
In questa follia decadente e passatista l’assioma della “non priorità” del Ponte ha suonato in questi anni come il giro di valzer di Claudia Cardinale e Burt Lancaster nel Gattopardo, con il suo carico di disillusione, teatralità, supponente alterigia, mascherato da bellezza.
Parli di Ponte e i luoghi comuni indossano, come per incanto, tutti la maglietta del NO.
Un gradino sotto il partito del “prima le strade”, per esempio, c’è quello del “col Ponte faranno affari la mafia e la Ndrangheta”.
Ci auguriamo, ma non ne siamo affatto convinti, che i sostenitori a tutti i livelli della tesi “no-ponte” sappiano di sostenere una argomentazione strumentale, quanto meno.
Ragioniamo.
Quello che abbiamo rilevato in questi decenni è stato il monopolio dell’attraversamento dello Stretto, sono state le tariffe vessatorie, l’effetto-tappo nei periodi di esodo e controesodo, la strozzatura del corridoio Palermo-Berlino e la conseguente anti-economicità degli investimenti sull’Alta Velocità in Sicilia, gli aerei a prezzi folli sotto le feste (e non solo), in assenza di altro modo per attraversare lo Stretto: tutte “voci” aggravanti e a loro volta aggravate dall’inerzia infrastrutturale, cause e concause del sottosviluppo al quale siamo stati costretti per decenni; e nel sottosviluppo, non c’è bisogno di sottolinearlo, la criminalità e la cultura mafiosa sguazzano e proliferano.
Non si può fare, “altrimenti la mafia farà gli affari”.
Invece, fino a oggi di affari neppure l’ombra, vero?
L’attraversamento in regime di monopolio, come detto, lo hanno gestito i boy-scout e le damine dell’esercito della salvezza, lo sanno tutti.
Nel frattempo una ristretta oligarchia si è arricchita e si arricchisce a dismisura, con qualche incidente di percorso carcerario, alla faccia dei romantici paesaggi dal traghetto, dei lucciconi degli emigrati, delle rotte migratorie degli uccelli che nidificano a Scilla, dei tiranti che non reggono, delle campate uniche che non campano.
Gli Italiani?
Santi, poeti, navigatori… sismologi, ornitologi e ingegneri strutturisti.
Il “pensiero-meridiano” esaltato da Cassano (non parliamo del calciatore) in un suo celebre saggio, seppur culturalmente rilevante, si è rivelato una iattura utile a generare alibi, dietro i quali hanno proliferato sciacalli e avvoltoi, insieme a politici poco avveduti e poco coraggiosi, quando non in malafede.
Quanti inguaribili romantici, insularisti, fieri della propria alterigia, imboscati nella schiera dei portatori di interessi che hanno castrato l’idea rivoluzionaria di una Sicilia più vicina alle Capitali europee e finalmente competitiva, proprio a partire dalle infrastrutture.
Buoni ultimi, in questo delirio disfattista e qualunquista, proprio a ridosso di una “buona notizia”, si potrebbero analizzare ancora una volta i fatti.
Strasburgo-Parigi (490 chilometri) si percorre in un’ora e 50 minuti.
E noi fermi, pressoché immobili, per i no-tutto dovremmo prendere idealmente solo i treni per Tozeur: nel frattempo quelli veloci di mano e di pensiero continueranno a sfilarci i portafogli, saluteremo col fazzoletto l’ennesimo cervello in fuga, ma in compenso la nostra coscienza sarà pulita come dopo un candeggio.
Qualche tempo fa ci inventammo anche i treni lenti, per deliziare i turisti.
Una cosa bella, romantica, fascinosa, elegante, creata per riutilizzare i vecchi vagoni e trasformarli in una attrazione.
L’unica cosa audace, col senno di poi, è stato farlo su un’Isola che da decenni viaggia su convogli lentissimi e attraversa “romanticamente” lo Stretto in 3/4 ore, nei periodi di esodo, in più di due sempre, col treno e coi vagoni fatti a pezzi, stipati sui traghetti e ricomposti dopo l’autopsia.
Adesso siamo tutti a bocca aperta, quasi increduli, dopo la delibera del CIPESS presentata come una svolta epocale; ce lo auguriamo, certo, proprio mentre in tutto il mondo i ponti si costruiscono senza parlarne, nelle zone più sismiche e instabili del Pianeta.
E va bene così.
Fatelo adesso, alzate quei piloni, tagliate queste maledette catene, aprite i cantieri.
Costruite ponti, come fecero i Romani quando la materia prima era solo la pietra, e qualcuno si ricorderà di voi come novelli modernizzatori; altrimenti, qualora abbiano ragione quelli che pensano che ci siano ancora margini per non farlo, sarete stati solo l’ennesima “ammuina” di questa orribile storia infinita.
E avrete dato ragione a questa alleanza frankestein fra ultras ambientalisti, piddini rosiconi, grillini col complotto in canna e proprietari di seconde case a Messina.
É ora di mettere la parola fine a una storia di mobilità musealizzata, naftalinica, esasperante, reazionaria, quella sì, mafiosa.
Forse a qualche tardo epigono dell’elogio della lentezza e della decrescita infelice piacerà anche così, per continuare ad annusare la nafta da un oblò e scoprire le bellezze mozzafiato della Sicilia, circondato da eterne incompiute e da sogni mai realizzati.
A molti di noi piacerebbero, invece, una Sicilia e una Calabria (e un’Italia) marinettiane, futuriste, irriverenti, lanciate a bomba sui binari, un’Italia che demolisca il vecchio e ricostruisca dalle proprie ceneri, che esalti la moderna civiltà della macchina, la bellezza e l’ebbrezza della velocità.
Ecco, saremmo un po’ stufi del dibattito ideologico e del romanticismo imbalsamatore, così come del pensiero meridiano: Catania-Palermo la faremmo volentieri a 200 all’ora, tanto per iniziare, come ci piacerebbe arrivare a Roma in 5 ore, su un ammasso di ferraglia sospeso nel vuoto sul Ponte a campata unica più grande del Mondo.
In fondo noi Pontisti siamo soltanto gente con un Frecciarossa al posto del cuore.
“La magnificienza del mondo si è arricchita di una bellezza nuova: la bellezza della velocità” (Filippo Tommaso Marinetti)