
Il dado è tratto, ma...
Israele si spacca: Netanyahu spinge per l’occupazione totale di Gaza. L’Idf si oppone, sale la tensione ai vertici
Non era mai successo prima: un governo israeliano vota all’unanimità la rimozione del proprio procuratore generale, mentre il primo ministro invoca le maniere forti, ignorando l’opposizione dei vertici militari. Le Forze di difesa si preparano a ridurre le truppe, mentre Bibi chiede l’esatto opposto
La linea è tracciata. «Il dado», a detta di un consigliere vicino al primo ministro, «è tratto»: Benjamin Netanyahu vuole il controllo assoluto della Striscia. Non più quello parziale evacuate da Hamas, ma una rioccupazione militare sistematica, da Rafah a Gaza city. Estesa, integrale, forse irreversibile. Il piano è emerso durante colloqui riservati con i ministri di Israele. La stampa israeliana, come Ynet, riporta le parole usate: «Puntiamo all’occupazione totale».
Netanyahu vs Idf : “Chi non vuole l’occupazione di Gaza si dimetta”
Ma l’entusiasmo del premier trova una trincea imprevista: lo stato maggiore dell’esercito israeliano. Il generale Eyal Zamir, capo dell’Idf, avrebbe espresso forti riserve. Tutte rispedite al mittente: «Se non è d’accordo, dovrebbe dimettersi», avrebbe detto una fonte della cerchia di Netanyahu. Zamir ha annullato il suo viaggio a Washington, ufficialmente «per la gravità della situazione ostaggi». Ma la realtà parla di una frattura interna, se non una voragine tra poteri, che si allarga ogni ora.
Le divisioni incide nel potere militare
Attualmente l’Idf controlla circa il 75% della Striscia. Il restante 25% è un mosaico esplosivo di quartieri rovinati, roccaforti di Hamas e aree civili. L’occupazione totale richiederebbe anni. E potrebbe condannare gli ostaggi a morte certa.
Zamir non è solo. Con lui: il capo del Mossad David Barnea, il consigliere per la sicurezza nazionale Tzachi Hanegbi, l’ex generale Nitzan Alon e il negoziatore dello Shin Bet noto come “Mem”. Anche il ministro degli Esteri Gideon Sa’ar e il leader del partito degli ultraortodossi Shas Aryeh Deri si oppongono.
Sul fronte opposto, i “falchi”: Ron Dermer, Itamar Ben Gvir, Bezalel Smotrich, il generale Roman Gofman e il segretario di gabinetto Yossi Fuchs. Per loro, Gaza deve essere riconquistata. Punto.
Il Consiglio di guerra e le accuse del figlio di Bibi
Oggi Netanyahu riunirà un nucleo ristretto del Consiglio di sicurezza: il ministro della Difesa Israel Katz, lo stesso generale Zamir, il ministro per gli Affari strategici Dermer e Itzik Cohen, capo della direzione Operazioni dell’Idf. In ballo: le “opzioni operative” per il futuro della guerra.
Ma fuori dalle stanze riservate il fuoco è già scoppiato. Yair Netanyahu, figlio del premier, accusa Zamir di guidare «una rivolta e un tentativo di colpo di Stato militare». Tutto nasce da un tweet del giornalista Yossi Yehoshua: «Se Netanyahu vuole davvero conquistare Gaza, deve presentarsi al Paese, dichiarare i costi in vite umane e assumersene la responsabilità». La replica? «Se la persona che vi ha dettato il tweet è chi tutti pensiamo che sia, questa è una ribellione da repubblica delle banane dell’America Centrale degli anni ’70. È totalmente criminale».
Dissensi pubblici, soldati disorientati
Yair Lapid, leader dell’opposizione, ha condannato la spettacolarizzazione del dissenso. «Anch’io ho avuto scontri coi vertici. Ma quelle discussioni dovevano restare riservate. La loro pubblicazione mina la fiducia dei soldati e crea rischi operativi».
Ma il danno è fatto. I giornali parlano apertamente di possibile annessione. Alcuni ministri non lo escludono. Il campo si polarizza: contenere Hamas o cancellarlo.
Washington cambia approccio: basta accordi a pezzi
Gli Stati Uniti invece si muovono su un altro piano. L’inviato del presidente per il Medio Oriente Steve Witkoff ha dichiarato alle famiglie degli ostaggi: «Trump vuole un accordo globale». Obiettivi: rilascio completo degli ostaggi, disarmo di Hamas, smilitarizzazione della Striscia.
«Non ci saranno più accordi a pezzi», ha detto un funzionario. Israele è scettico: secondo Haaretz, quotidiano della sinistra liberale israeliana, Hamas non accetterà mai queste condizioni.
Le cifre della guerra
Dal 7 ottobre 2023, Hamas ha ucciso circa 1.200 israeliani e rapito oltre 250 persone. Le Forze di difesa sostengono di aver eliminato 20.000 miliziani entro gennaio, più 1.600 durante l’attacco iniziale.
Il bilancio palestinese, sempre filtrato dal gruppo armato nella Striscia, supera i 60.000 morti o dispersi. Molti di questi, vittime civili costrette a fare da scudo umano proprio ai terroristi.
I caduti tra le schiere israeliane sono 459, tra cui due poliziotti e tre appaltatori civili.
Ostaggi allo stremo e aiuti nella Striscia
Nel frattempo, le milizie mostrano video di ostaggi denutriti costretti a scavare le proprie fosse. L’Onu ha convocato una sessione straordinaria, su richiesta dell’ambasciatore israeliano Danny Danon: «Hamas continua i suoi atti barbarici ora dopo ora».
Lo Stato ebraico, intanto, ha riaperto dopo dieci mesi l’ingresso di beni al settore privato di Gaza, ma solo tramite un rigido meccanismo di supervisione.
La sfida alla giustizia: Netanyahu contro la procuratrice
Nel mezzo del caos militare, il governo ha votato all’unanimità per licenziare la procuratrice generale Gali Baharav-Miara, che guida l’accusa nel processo contro Netanyahu. La Corte Suprema ha bloccato tutto. «La decisione non entrerà in vigore finché la Corte non si pronuncerà». Baharav-Miara ha scritto: «È una decisione senza precedenti. Aprirà la strada a licenziamenti politici e comprometterà le indagini, incluso il processo al primo ministro». Netanyahu è accusato di aver ricevuto oltre 200.000 dollari in regali e di aver favorito un magnate delle telecomunicazioni in cambio di copertura mediatica. Il processo, iniziato quattro anni fa, è ancora in corso. Si è intrecciato prima con le proteste di piazza contro la riforma della Giustizia, poi con il conflitto esteso.