
L'editoriale sul Corriere
“Il Pd si è consegnato al M5S”. L’analisi spietata di Paolo Mieli: “Conte lavora per se stesso, altro che unità”
L'ex direttore di via Solferino critica la subalternità del Pd ai pentastellati e la preponderanza dell'"avvocato del popolo" destinato a portare la coalizione a un'altra sconfitta
Paolo Mieli, uno dei giornalisti più importanti del nostro Paese, ma anche uno storico che è stato allievo di Renzo De Felice, scrive sul Corriere un editoriale destinato ad agitare gli spettri che insidiano il centrosinistra. Facendo un’analisi completa e lucida e indicando in Giuseppe Conte l’agit prop che vuole lanciare l’Opa nella coalizione e che detta le regole al Partito Democratico.
Mieli e le ipotesi per il 2027
“Tra meno di due anni-scrive Mieli- si terranno in Italia le elezioni politiche più importanti di questo inizio del terzo millennio. Importanti? Fondamentali, dal momento che il Parlamento che uscirà dalle urne avrà il compito di eleggere il successore di Sergio Mattarella. Successore che, nel caso di vittoria di Giorgia Meloni, potrebbe essere il primo presidente della Repubblica di centrodestra (attualmente, per una serie di motivi anche di carattere internazionale, la personalità che ha maggiori chance è Giancarlo Giorgetti).”.
“Conte gioca bene ma per se stesso”
L’ex direttore del quotidiano di via Solferino fa poi una disamina sui Cinquestelle e sui niet di questi giorni, rispetto alle inchieste in corso a Milano e nelle Marche. “Giuseppe Conte, infatti, si sta rivelando un giocatore eccezionale capace di tenere sulla corda i compagni di strada come non è mai riuscito a nessuno. Soprattutto se si tiene conto dei rapporti di forza tra i due partiti (il Pd, stando ai sondaggi, ha quasi il doppio dei consensi della formazione che appartenne a Beppe Grillo). Solo nella giornata di ieri, Conte ha dato luce gialla a Matteo Ricci come candidato nelle Marche dopo averlo sottoposto alle sofferenze e alle umiliazioni di un esame spietato, Poi ha chiesto le dimissioni di Beppe Sala da sindaco di Milano imputandogli un far west edilizio prima ancora che i magistrati abbiano accertato sue eventuali responsabilità. Quindi ha dichiarato che correre, in Toscana, assieme a Eugenio Giani è per lui un “sacrificio notevole” e che comunque “decideranno i territori” (formula che nel linguaggio della sinistra significa tenersi le mani libere).
“L’alleanza organica impossibile”
“Infine,(Conte)-prosegue l’articolo- ha affermato di non essere disponibile a nessun ‘mercimonio’ in Campania dove il governatore uscente, Vincenzo De Luca, non ha nascosto la propria disistima nei confronti di Roberto Fico, ex presidente pentastellato della Camera e, al momento, candidato ufficiale della sinistra. Per poi concludere — parliamo sempre di Conte — sostenendo che un’alleanza ‘organica con il resto della sinistra è, allo stato delle cose, impossibile’.
Il Pd? Deglutisce tutto in silenzio
L’editorialista del Corriere attacca il partito guidato Elly Schlein, per la subordinazione totela nei confronti dei pentastellati. “I poveri piddini hanno deglutito il tutto. Devono aver introiettato un complesso di inferiorità che li induce a sentirsi costretti a rincorrere i seguaci di Conte su ogni terreno: si autoimpongono di ritrattare quel che avevano detto sulla “divisione delle carriere dei magistrati, di attenuare i precedenti giudizi su Vladimir Putin e Donald Trump, di rinunciare a ogni sfumatura nel giudizio sulla crisi di Gaza, di incolpare di ogni male quell’Ursula von der Leyen che pure hanno votato“.
La strategia del Pd è tutta sbagliata
Paolo Mieli continua la sua disamina accusando il Partito Democratico di dualità. “Il tutto avviene mentre, sull’altro versante, provano a costruire un’improvvisata formazione centrista a cui dovrebbe essere affidato l’ingrato compito di riequilibrare lo sbilanciamento a sinistra di cui si è detto. Impresa ardua, destinata presumibilmente a concludersi con un nulla di fatto e, in extremis, con la supplica a Carlo Calenda di entrare a far parte della compagine che si contrapporrà alla Meloni”.
Pd e Cinquestelle saranno ancora divisi?
Paolo Mieli cita Aldo Cazzullo nel suo pezzo e parla della possibile, nuova divisione tra Pd e Cinquestelle alle politiche del 2027. “Giorni fa su queste pagine, rispondendo al lettore Enzo Bernasconi, Aldo Cazzullo si è mostrato oltremodo perplesso circa la possibilità che, date tali premesse, Pd e M5S possano correre assieme alle prossime elezioni politiche. A meno che il partito di Schlein scavalchi quello della Meloni e sia in grado di dettar legge come accade nel centrodestra (dove le divisioni non sono minori di quelli che affliggono il fronte progressista). Gli argomenti di Cazzullo erano tutti, dal primo all’ultimo, oltremodo condivisibili e convincenti. Eppure, è difficile immaginare che i partiti del centro e della sinistra, nel maggio del 2027, si candidino divisi come fecero nel settembre del 2022. E si immolino in questo modo ad una più che probabile sconfitta. Il Parlamento che sarà eletto nel ‘27, ripetiamo, avrà il compito di scegliere il nuovo capo dello Stato”.
La debolezza di Schlein
“Forse gioverebbe che Schlein sapesse integrare in tempi rapidi il gruppo dirigente del suo partito-scrive Paolo Mieli-. Con personalità (prevalentemente femminili) più forti, più simili a lei quantomeno per determinazione, pur eventualmente con opinioni diverse dalle sue. Gioverebbe altresì che Conte, dimostrata la sua indiscutibile abilità, rinunciasse a vincere qualche mano della complicata partita in atto. Lasciasse a Bonelli e Fratoianni il compito di rappresentare la sinistra-sinistra e tornasse ad essere il duttile capo di governo che seppe accettare più di un compromesso”.
Conte si prepari a perdere ancora
Il finale dell’editoriale di Mieli sembra un memorabile epitaffio per il leader dei Cinquestelle: “Quel che è certo è che, a furia di mettere nel sacco i Ricci, i Sala, i Giani e forse anche i De Luca, farà (forse) aumentare i voti del movimento di cui si è conquistato l’eredità, ma si ritroverà alla prossima legislatura sui banchi dell’opposizione. A festeggiare, assieme ai compagni di cordata, quello che, a questo punto, passerebbe alla storia come il decennio meloniano.