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Mostro di Firenze

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Il Mostro e la scia di sangue che sconvolse Firenze: la verità introvabile, come Jack lo Squartatore

Tra il 1974 e il 1985 otto coppie furono uccise nei dintorni della capitale del Rinascimento. Tra Pacciani e le piste sataniche la verità non sarà mai svelata del tutto

Cronaca - di Mario Campanella - 4 Agosto 2025 alle 12:36

Sono passati 40 anni dall’ultime, duplice delitto, del Mostro di Firenze. E, nonostante arrivino periodicamente novità importanti, c’è una sensazione che rischia di diventare certezza. Come Jack lo Squartatore, l’assassino diventato leggenda, il Mostro rimarrà un enigma irrisolto. Con tutta la catena di omicidi partiti probabilmente il 1968. E in questo dubbio si collocano le tante incertezze.

Il delitto del 1968 e la pista sarda

La notte di mercoledì 21 agosto 1968, all’interno di una Alfa Romeo Giulietta bianca posteggiata presso una strada sterrata vicino al cimitero di Signa, vengono assassinati Antonio Lo Bianco, muratore originario di Palermo di 29 anni, sposato e padre di tre figli, e Barbara Locci, casalinga di 32 anni, originaria di Villasalto, in provincia , entrambi residenti nel cagliaritano.

L’assassino, secondo gli inquirenti il marito di Barbara Locci, si avvicina all’auto ferma e spara complessivamente otto colpi da distanza ravvicinata: quattro colpiscono la donna e quattro l’uomo. Dietro c’è il figlio di Barbara, Natalino Mele. Ha sei anni e l’assassino lo risparmia. Solo in questi giorni si scoprirà che Natalino è figlio di uno dei fratelli Vinci, della famosa pista sarda. Vengono recuperati cinque bossoli di cartucce calibro 22 Long Rifle Winchester con la lettera “H” punzonata sul fondello. Saranno gli stessi bossoli che uccideranno ancora e per undici anni.

Dal 1974 al 1985, il terrore

Dal 1974 al 1985, con lunghi intervalli, otto coppiette saranno uccise. Il comune unico denominatore con il delitto del 1968 sono i bossoli. Per gli inquirenti non c’è dubbio: è la stessa arma.

Per il duplice omicidio del 1968, Stefano Mele, marito di una delle vittime, dopo un’iniziale confessione seguita da alcune ritrattazioni e poi da una nuova confessione, venne condannato in via definitiva dal Tribunale di Perugia, il 12 aprile 1973. Ma Mele non può essere il mostro di Firenze: nel periodo degli omicidi è in carcere.

Gli investigatori interrogarono Mele che tornò ad accusare Francesco Vinci che nell’agosto 1982 era in carcere per maltrattamenti alla moglie. Vinci era stato a suo tempo amante della moglie di Mele e aveva addirittura abbandonato la famiglia per vivere con la donna, venendo denunciato dalla moglie per abbandono del tetto coniugale . Venne pertanto posto in stato di fermo con l’imputazione di maltrattamenti al coniuge, mentre era in carcere, due mesi dopo venne anche accusato di essere il “mostro”; a seguito però di un nuovo omicidio, quello del 1983, ascrivibile al mostro, venne scagionato dall’accusa.

Pietro Pacciani e i compagni di merende

Dopo l’omicidio del 1985, che sarà l’ultimo, il Mostro manda una lettera anonima agghiacciante al sostituto procuratore Silvia Della Monica. Un lembo di seno è inserito nella busta. Le indagini vengono coordinate da Pierluigi Vigna. Ma viene costituita la Sam, la squadra anti mostro, diretta da Ruggero Perugini. Perugini rivolgerà un appello televisivo al “Mostro”. Riceve una lettera anonima e indaga su un contadino, Pietro Pacciani.

Pacciani, partigiano, da giovane aveva ucciso il cenciaiolo Severino Bonini;, sorpreso insieme alla sua fidnzata. Viene condannato ad otto anni.

Per Perugini c’è un aspetto criminologico importante: Pacciani uccide dopo avere visto il lembo del seno della fidanzata esposto. Viene setacciata la sua vita. Vengono controllati i suoi conti correnti con versamenti consistenti in coincidenza di tanti delitti.

Le prove e i dubbi

A casa di Pacciani viene ritrovato un bossolo compatibile con quelli utilizzati negli altri omicidi , un blocco di disegno e un portasapone che gli inquirenti ritengono di proprietà di una vittima tedesca. Viene arrestato  e finisce sotto processo . Condannato in primo grado all’ergastolo, viene accusato di avere agito con due “compagni di merende”, Mario Vanni e Giancarlo Lotti. Vanni ha già segni di demenza pre-senile, Lotti un quoziente d’intelligenza più basso del normale.

La Corte di appello, su richiesta del Pm, assolve Pietro Pacciani e i suoi amici con motivazioni durissime.

L’altezza di Paccaiani e i suoi problemi di salute rendevano impossibile che potesse essere l’autore degli omicidi. La Cassazione annulla l’assoluzione, ma nel frattempo Pacciani muore. Ufficialmente per un arresto cardiaco ma sorgeranno dubbi su alcuni farmaci che avrebbe assunto e che erano contrindicati per le patologie di cui soffriva.

Francesco Bruno e la sua tesi

Consulente di Pacciani è Francesco Bruno, uno dei più importanti criminologi italiani. Il 1985 Bruno redige un parere al Sisde sul profilo del Mostro. Nel tempo matura una convinzione: c’è una pista esoterica dietro ai delitti. E qui si passa a Perugia.

Francesco Narducci, brillante e giovane medico, viene trovato morto a soli 36 anni nell’ottobre del 1985 sul lago Trasimeno.

Narducci, secondo la tesi del poliziotto e scrittore Michele Giuttari, sarebbe stato uno dei capi della misteriosa “setta” che avrebbe commissionato gli omicidi, ma anche questa ipotesi non trovò mai riscontri e l’inchiesta giudiziaria sui presunti mandanti del Mostro di Firenze e sulla morte di Francesco Narducci si concluse con un nulla di fatto.

Cosa rimane dopo tanti anni

Dopo tanti anni rimane una sola certezza: il Mostro non è mai stato trovato. Non è impossibile che sia ancora vivo. Non è certo il legame con il primo omicidio se non quello della stessa pistola che, però, potrebbe essere stata venduta al mercato nero. Dalla cronaca si è passati alla leggenda, proprio come nel caso di Jack lo Squartatore. C’è chi cerca , meritandola, la verità.  Ma errori giudiziari irreparabili, omissioni, superficialità rendono quasi impossibile raggiungere questo  obiettivo. Anche qui è probabile che qualcuno sapesse. E sedici, innocenti ragazzi rimangono in attesa di trovare una risposta.

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