
San Pietro a Majella
Da Napoli a Caivano, al mondo. Il Conservatorio come l’Amerigo Vespucci: viaggia e imbarca talenti e giovani a rischio
Cammini tra i corridoi affrescati e così, quasi per caso, come se fosse un mobile di Ikea sistemato nella casa del vicino, ti imbatti in un leggio in legno antico di Gioacchino Rossini con un biglietto originale sul quale, nel 1841, l’autore del “Barbiere di Siviglia” certificava di aver scritto l’opera dedicata alla regina Semiramide, ispirata da un libretto di Voltaire. Svolti a destra e dietro un angolo c’è un pianoforte a tavolo, un “cembalo” di Michail Kirshnick realizzato a San Pietroburgo e donato al musicista napoletano Giovanni Paesiello da Caterina II, quando nel Settecento la musica napoletana conquistava la Russia e la sua Imperatrice illuminata, amante dell’arte, della cultura e soprattutto della melodia partenopea.
Eppure, lì fuori, a pochi metri, il rumore di fondo è quello di una metropoli moderna e caotica, nella quale i rapper napoletani trionfano a tutto volume nelle auto intrappolate per strada, i Giolier vari, artisti anche loro, a modo loro, musicisti ai quali Rossini avrebbe dedicato urlato “bravi, bravissimi, bravi, bravissimi, a voi fortuna non mancherà, non mancherà!”.
Eh sí, perché la musica è una sola ma il vecchio e il nuovo, nel centro storico di Napoli che nasconde nel suo ventre il Conservatorio di San Pietro a Majella, sono due facce della stessa bugìa. Da prendere a schiaffi e a carezze, come il talento di chi varca il portone del “Regio Conservatorio di musica” in cerca di note e di vita.
Napoli tra tradizione e modernità nel tempio di Roberto De Simone
“Avete letto mai Roberto De Simone, ha fatto un lungo viaggio nella tradizione, e dice che in Italia col passar degli anni, la musica peggiora e non si va più avanti…”, cantava Edoardo Bennato, che in verità il Maestro lo frequentava poco, in quanto “rinnegato”, immune al fascino del passato, a differenza del fratello Eugenio, della sua Nccp e di Patrizio Trampetti, che con il grande musicista napoletano condivisero le straordinarie avventure delle “canzoni popolari” che raccontavano una Napoli antica ma inesplorata anche dal punto di vista musicale.
De Simone, dato per morto dalle cronache ufficiali il 6 aprile scorso, in realtà è vivo, c’è, si manifesta non solo dalle foto incorniciate nelle sale del Conservatorio di San Pietro a Majella, ma anche nella disposizione dei libri che furono i suoi nella stanza della direzione e nella biblioteca, nelle gallerie degli antichi strumenti esposti anche grazie alla sua passione, nelle tante testimonianze di chi ha conosciuto e amato l’autore della “Cantata dei pastori” e della “Gatta Cenerentola”. Tra loro, il Maestro Gaetano Panariello, che oggi dirige quello scrigno musicale incastonato tra i Decumani nel quale, ogni giorno, si fabbrica musica e si forgiano talenti, si celebra il passato e si progettano grandi imprese per il futuro.
“San Pietro a Majella è il più importante Conservatorio d’Italia, per numeri, per dotazione, per rapporto tra insegnanti e allievi, per progetti portati avanti, per storia, per qualità. Noi abbiamo mille studenti con 125 docenti, un record. No, non sono modesto, per il Conservatorio, magari lo sono per me ma non per il Conservatorio…”scherza Panariello, eletto a maggioranza assoluta alla direzione dopo aver studiato, composto e diretto in quelle sale nelle quali aveva incrociato De Simone – direttore per tre anni – dal 1995 al 1998. Tra i fantasmi che si aggirano nei corridoi, tra studenti impegnati a provare o a consultare antichi documenti e docenti con lo sguardo perso negli arazzi e negli arredi antichi, puoi scorgere ancora oggi le ombre di Alessandro Scarlatti, Giovan Battista Pergolesi, Domenico Cimarosa, Giovanni Paisiello Saverio Mercadante, Vincenzo Bellini, Ruggero Leoncavallo, Francesco Cilea, e in epoca più recente, l’eco delle note di Aldo Ciccolini, Salvatore Accardo e Riccardo Muti. Ai giovani studenti quelle foto sulle pareti, i libri, gli spartiti e quegli strumenti antichi esposti, scatenano adrenalina. Il passato che torna, che eccita, che gasa. Più di Geolier, forse.
“I giovani sono il futuro della cultura, ma devono conoscere e rispettare le proprie radici per poter creare qualcosa di autentico e originale” (Roberto De Simone)
Il Conservatorio di San Pietro a Majella al servizio delle periferie
“La nostra forza sta proprio nella capacità di coniugare il patrimonio storico con le nuove forme espressive. Oltre alla formazione classica, abbiamo attivato corsi accademici in Musica elettronica, Musica applicata, Popular music e un dipartimento jazz con cattedre di strumento, canto e teoria. Questo ci consente di formare musicisti completi, capaci di dialogare con il passato e con il presente, e di affrontare il mondo professionale con competenze diversificate e solide radici culturali”, spiega la Ciccarelli.
“Napoli è un palcoscenico naturale dove la tradizione si trasforma in arte viva, un luogo dove passato e presente si fondono continuamente” (Roberto De Simone)
I progetti a cavallo tra musica e sociale sono tanti, spiega la professoressa Ciccarelli- “Abbiamo attivato progetti con le scuole e con i quartieri periferici per rendere la formazione musicale accessibile anche a chi parte da contesti difficili. Offriamo borse di studio, strumenti in comodato, percorsi personalizzati e un accompagnamento costante per gli studenti meritevoli. Crediamo che il talento vada riconosciuto e sostenuto, indipendentemente dalle condizioni di partenza. Il Conservatorio deve essere un luogo aperto, inclusivo e radicato nel tessuto sociale della città. E la politica? C’è un dialogo aperto con il Ministero, con la Regione Campania e con il Comune di Napoli. Tuttavia, serve un impegno più forte e strutturato per rafforzare il sistema dell’alta formazione musicale. I Conservatori sono luoghi di produzione culturale, di alta formazione e di presidio civile. Vanno sostenuti con risorse adeguate, valorizzando il personale, investendo in infrastrutture e riconoscendo pienamente il loro ruolo strategico nel Paese”.
“La vera politica è quella che riconosce e valorizza la cultura popolare, che dà voce alle radici del popolo invece di soffocarle sotto interessi di potere” (Roberto De Simone)