
Il libro
“Alla mia patria ovunque essa sia” di Filippo La Porta: il manuale di chi non ama la cultura e la storia italiana
L’ideologia rischia di fare danni irreparabili, perché spesso impone pensieri che rischiano di lesionare l’identità dell’uomo e di una comunità. “Alla mia patria ovunque essa sia” di Filippo La Porta, giornalista per Repubblica e Left, parte con lo scopo di definire il concetto di patria e nel libro la definisce come “una cosa bellissima”. Nonostante ciò, sembra che all’autore piacciano tutte gli Stati, meno che l’Italia e addirittura parla del tricolore come di un simbolo per cui prova antipatia, visto che per la sua generazione rappresenta uno spauracchi del neofascismo. Un assunto grottesco, visto che la nostra bandiera non è stata voluta esclusivamente da uomini di destra, ma anche dai rivoluzionari di sinistra che durante il Risorgimento hanno pagato con la vita il desiderio di essere italiani.
Cita spesso Simone Weil e sembra essere impaurito dal nazionalismo, oltre che ossessionato dalla xenofobia, come se l’amor patrio centrasse qualcosa con il razzismo. Ma non solo, perché Filippo La Porta cerca di sconfiggere il globalismo spronando alla costruzione di “piccole patrie interiori”, tralasciando l’importanza della patria e della nazione. Ma le derive economiche e politiche si combattono ripartendo dalle radici e dalla valorizzazione di un Paese, altrimenti si rischia di combattere per una nuova Unione…sovietica.
Alla mia patria ovunque essa sia: un libro che non esiste
Nel libro è piuttosto evidente un senso di risentimento nei confronti di tutto quello che piace agli italiani. Solo per fare un esempio: in un passaggio La Porta confessa di aver tifato contro la nazionale di calcio italiana, vedendola come un’arma di distrazione per il popolo. Insomma, sembra quasi che voglia censurare persino lo sport per arrivare verso l’utopia sociale, cancellando identità e tradizioni. Quest’ultime sono tra i suoi peggiori nemici, a quanto pare, visto che secondo l’autore l’identità si sceglie e le tradizioni si consolidano col tempo.
E invece non è affatto così, perché un italiano che si veste da “Tupamaro” o “Guardia rossa”, come faceva La Porta da giovane, dimostra di non aver studiato abbastanza i crimini commessi dal comunismo e dai suoi finti rivoluzionari. Dunque l’identità è un concetto che risiede nelle origini, nello studio della propria cultura e nel riconoscimento dei concetti di patria e nazione. Quanto alla tradizione, questa nasce dagli avvenimenti storici più importanti ed è essa stessa il dispositivo per “continuare”, nel bene e nel male. Perché mai, poi, bisognerebbe cancellare le usanze popolari in favore di una realtà “meticcia” come la definisce l’autore? La risposta è che non bisognerebbe farlo: a maggior ragione se ciò si pone come “rigetto” di chi c’è stato prima di noi e che con grande orgoglio ha difeso l’Italia, i suoi costumi e la sua eccezionalità.
Certi uomini vogliono solo veder bruciare il mondo
“Sostituzione culturale” è il termine esatto per definire le finalità del libro di La Porta. Le sue analisi ricordano tanto le parole del maggiordomo Alfred nel film “Batman – il cavaliere oscuro” diretto da Christopher Nolan: “Certi uomini vogliono solo veder bruciare il mondo”. Ebbene, con o senza l’approvazione dello scrittore de “Alla mia patria ovunque essa sia”, l’Italia continuerà ad esistere. Perché il nostro Paese non ha mai nascosto gioia e sofferenza, ma soprattutto ha dimostrato di potersi rialzare anche quando tutto sembrava perduto.