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strage di Southport inchiesta pubblica

Multiculturalismo fallito

Strage di bambine a Southport, al via l’inchiesta pubblica: «Uno dei crimini più orrendi della nostra storia recente»

Sono iniziati a Liverpool i lavori della Commissione indipendente chiamata a fare luce sull'eccidio che un anno fa sconvolse il Regno Unito: tre bimbe uccise e una decina ferita da un giovane di origini ruandesi. Il presidente: «Abbiamo promesso rigore e rapidità»

Cronaca - di Alice Carrazza - 8 Luglio 2025 alle 19:05

È cominciata oggi, nella discrezione di un’aula di tribunale a Liverpool, l’udienza introduttiva della commissione indipendente incaricata di far luce sulla strage di Southport. Un eccidio che, a quasi un anno di distanza, continua a far indignare la Gran Bretagna. Era la fine di luglio 2024 quando Axel Rudakubana, neppure maggiorenne, figlio di rifugiati ruandesi, entrò impugnando un coltello in un centro ricreativo della città nel Nord Inghilterra, dove decine di bambine, tra i cinque e i dieci anni, stavano provando un saggio di danza sulle musiche di Taylor Swift.

Massacro di Southport: via all’inchiesta pubblica

Tre piccole – Alice, Elsie e Bebe – rimasero uccise. Una decina le ferite, insieme a due adulti. Una scena mostruosa, che costrinse l’intero Regno Unito a guardarsi allo specchio. E non senza conseguenze: nelle settimane successive, il Paese fu attraversato da disordini, manifestazioni, proteste di piazza e scontri anti-migranti. I rivoltosi dell’agosto 2024 non furono, come qualcuno frettolosamente insinuò, un rigurgito razzista. Furono il segnale brutale di un equilibrio sociale incrinato, di un multiculturalismo celebrato a parole ma ignorato nella sostanza.

“Uno degli episodi più orrendi della nostra storia recente”

A guidare i lavori della commissione – istituita dalla ministra dell’Interno, Yvette Cooper, sotto pressione per il crescente malcontento popolare e le polemiche che hanno investito anche il governo laburista di Keir Starmer – è stato chiamato sir Adrian Fulford, magistrato di lungo corso, oggi in pensione. Le sue prime parole pesano: «Uno degli episodi criminali più orrendi della nostra storia recente». E ancora: «Abbiamo promesso rigore e rapidità», come richiesto dalle famiglie delle vittime.

Il passato che ritorna

Le ragioni del gesto restano tuttora oscure. Un raptus, si è detto. Ma che genere di rabbia può generare tanto odio in un ragazzo cresciuto in un Paese che si dice civile? La Gran Bretagna, che vent’anni fa fu costretta a fare i conti con la ferocia del terrorismo islamico, oggi si scopre ancora vulnerabile. E ancora una volta – come nel luglio del 2005, quando quattro attentatori nati e cresciuti nel Regno Unito si fecero esplodere sui mezzi pubblici londinesi ferendo 800 persone e uccidendone 52 – l’aggressione arriva dall’interno.

Ieri le vittime di quel 7 luglio, l’11 settembre dei britannici, sono state ricordate con una messa nella cattedrale di St. Paul. Re Carlo ha rivolto un appello alla nazione: «Restiamo saldi contro quelli che vorrebbero dividerci». Ma è proprio la divisione interna, quella più silenziosa, a preoccupare. La Gran Bretagna non ha dimenticato i volti di quei giovani di Leeds – britannici con l’accento dello Yorkshire – radicalizzati di Al Qaeda nelle periferie del benessere.

Prevenzione o illusione?

Da allora, si è tentata la via del contenimento. Il programma Prevent, lanciato per prevenire la radicalizzazione, è diventato un mantra. Ma gli effetti tardano a farsi vedere. A parole si parla di inclusione, nei fatti le faglie aumentano. Le periferie multiculturali sono cresciute, ma con esse anche l’incomprensione, la distanza, l’impunità.

Il multiculturalismo malfunzionante

Oggi il Regno Unito si guarda attorno e non si riconosce. La società “più compiutamente multiculturale d’Europa” – come viene celebrata nei convegni accademici e nei salotti progressisti – è anche quella in cui i cittadini temono a compiere le azioni più comuni, come accompagnare le figlie ad un saggio di danza.

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di Alice Carrazza - 8 Luglio 2025