
Napoli
L’Ucraina non è sola: l’asse conservatore rilancia su giustizia, sicurezza e progetto di ricostruzione del Paese
Difesa europea, tribunale per i crimini russi e ritorno dei bambini deportati, l’Ecr party al fianco di Kiev: è europea deve entrare nell'Unione
A Napoli, a chiudere i Conservative Awareness Days, il quarto ed ultimo panel ha spostato l’attenzione sulla sfida più grande che ci attende: la ricostruzione ucraina. “Sicurezza, sovranità e ricostruzione” era il titolo. Ma ciò che si è delineato, grazie agli interventi lucidi e appassionati dei relatori, è stato qualcosa di più profondo: una chiamata all’onore.
Ricostruire l’Ucraina
Moderato dalla giornalista Federica Pascale (Tg5), l’incontro ha visto susseguirsi voci autorevoli, come quelle del viceministro degli Affari esteri Edmondo Cirielli, del segretario generale di Ecr party Antonio Giordano, passando per l’ex presidente della Croazia Kolinda Grabar-Kitarović, la parlamentare slovacca Beata Jurik, e il parlamentare lituano Žygimantas Pavilionis. Nessuna retorica da cerimoniale diplomatico: il tono è stato franco, a tratti tagliente. E non poteva essere altrimenti.
Cirielli: “La democrazia non è scontata, si difende con la deterrenza”
“I nostri Paesi non investono in armamenti per aggredire, ma per difendersi da chi considera la libertà una minaccia sistemica”, ha esordito Cirielli. Ma il punto è politico prima che militare. I regimi autoritari, come spiega il viceministro, non tollerano l’esempio delle democrazie: non perché queste vogliano esportare valori, ma perché semplicemente esistono. E questo basta a renderle nemiche.
Cirielli non ha risparmiato nemmeno le sinistre occidentali: colpevoli, secondo lui, di aver destabilizzato il mondo illudendosi di trasformare regimi con l’arma dei diritti umani. Il risultato? I dittatori si sono armati. Le democrazie, al contrario, devono farlo per tempo e con razionalità, creando un esercito europeo che eviti sprechi, concentri le risorse e restituisca sicurezza senza illusioni.
Ma il suo intervento si è spinto oltre l’analisi geopolitica. Ha toccato anche l’economia reale, quella delle imprese strategiche italiane, e il capitale umano: “La difesa tiene in Italia un bacino immenso di ingegneri. Senza Leonardo e Fincantieri, sarebbero già tutti fuggiti all’estero”.
Giordano: “Trump eletto perché gli americani volevano che il loro interesse nazionale tornasse centrale”
Il deputato Antonio Giordano ha portato a Napoli la consapevolezza accumulata nelle tante trasferte americane. “Trump non è un autocrate. È stato eletto dalla maggioranza degli elettori americani”, ha detto senza se e senza ma Giordano. E ha spiegato: “Volenti o nolenti, è il presidente degli Stati Uniti e rappresenta la volontà del suo popolo. Gli americani volevano qualcuno che agisse, erano stanchi di un’inerzia confusa, priva di una direzione chiara”.
“Gli americani si erano stancati di sentir parlare solo di progetti, di sogni irrealistici. Volevano concretezza” e, aggiunge, “l’interesse nazionale di nuovo al centro”. Non necessariamente un interesse economico, ma una scelta netta. “Come ci hanno detto alla Casa Bianca: “Dovete scegliere se siete dalla parte di chi ama il proprio Stato o di chi non lo ama”. Questo è il loro confine. Non tutti gli Stati, non la pace nel mondo, non sogni per tutti. Ma scelte concrete, che si realizzano”.
Grabar-Kitarović: “Ricostruzione è giustizia”
L’ex presidente croata Kolinda Grabar-Kitarović ha riportato al centro del dibattito una verità: ricostruire un Paese non significa solo rifare i ponti, ma restituire dignità. E la dignità passa per la giustizia. “Perdonare la Russia? No. Le vittime meritano giustizia, e in fretta”.
Con parole ferme, ha chiesto poi l’appoggio politico dei presenti al Tribunale speciale, già promosso da Kiev con il Consiglio d’Europa. E ha lanciato un secondo appello: il ritorno dei bambini deportati in Russia. Ha cercato responsabilità.
Pavilionis: “Siamo europei da secoli, non da quando c’è Bruxelles”
L’intervento del lituano Žygimantas Pavilionis è stato un viaggio nella memoria storica, e insieme una dichiarazione di guerra all’ipocrisia. “Io c’ero quando i carri armati sovietici uccidevano i miei amici”, ha detto, sottolineando che “l’Ucraina deve entrare nell’Unione europea non per pietà, ma perché ne fa parte da secoli. Un passato di libertà condivisa che non può essere riscritto da Mosca. Siamo europei da sempre, non da quando c’è Bruxelles”.