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Uno studio ha ricostruito il Dna di 214 germi preistorici e mappato 37mila anni di malattie

Mappati 37000 anni di malattie

Il primo “covid” risale a 6.500 anni fa: lo studio sui germi preistorici svela quando gli animali hanno iniziato a contagiare l’uomo

La ricerca ha analizzato il Dna di 1300 uomini preistorici e ricostruito quello di 214 germi antichi. Ma guarda al futuro: «Molte delle malattie infettive emergenti avranno origine negli animali, conoscere le mutazioni passate aiuta a perfezionare i vaccini»

Scienza - di Redazione - 10 Luglio 2025 alle 10:40

Risale a 6.500 anni fa il primo caso di zoonosi ovvero di una malattia che si è trasmessa dagli animali all’uomo, come il Covid. È una delle scoperte correlate a uno studio di un team di scienziati che ha recuperato il Dna antico di 214 germi che hanno infettato uomini preistorici dell’Eurasia, mappando 37mila anni di storia delle malattie, dalla quale emerge che le zoonosi iniziarono poi a diffondersi con maggiore forza 5mila anni fa. Lo studio si connota come un atlante dell’evoluzione dell’uomo e degli ospiti invisibili che lo hanno colonizzato nei secoli ed è il più ampio condotto finora, come spiegato dagli autori, guidati da Eske Willerslev, professore dell’università di Copenaghen e dell’università di Cambridge.

Ricostruito il Dna di 214 germi antichi e mappati 37mila anni di storia delle malattie

La ricerca è stata pubblicata sulla prestigiosa rivista scientifica Nature. I ricercatori hanno analizzato il Dna di oltre 1.300 uomini preistorici, alcuni risalenti fino a 37mila anni fa. Le ossa e i denti antichi hanno fornito una visione unica sullo sviluppo di malattie causate da batteri, virus e parassiti. I risultati suggeriscono che la stretta convivenza tra esseri umani e animali domestici, nonché le migrazioni su larga scala dei pastori della steppa pontica, hanno avuto un ruolo decisivo nella diffusione di queste malattie.

Il ruolo delle infezioni nell’evoluzione sociale

«Sospettavamo da tempo che la transizione all’agricoltura e all’allevamento avesse aperto le porte a una nuova era» di infezioni, «ora il Dna ci mostra che ciò è avvenuto almeno 6.500 anni fa», ha spiegato Willerslev. «Queste infezioni non si sono limitate a causare malattie, ma potrebbero aver contribuito al collasso demografico, alle migrazioni e all’adattamento genetico», ha aggiunto il professore.

Perché conoscere i meccanismi preistorici aiuta la ricerca medica

I risultati potrebbero essere significativi anche per lo sviluppo di vaccini e per comprendere come le malattie si sviluppano e mutano nel tempo. «Se capiamo cos’è successo in passato, possiamo prepararci per il futuro, in cui si prevede che molte delle nuove malattie infettive emergenti avranno origine negli animali», ha detto poi Martin Sikora, professore associato e primo autore dello studio, che ha ricevuto un finanziamento della Fondazione Lundbeck.

Ancora secondo Willerslev, infatti, «è probabile che le mutazioni che hanno avuto successo in passato si ripresentino. Questa conoscenza è importante per i vaccini futuri, poiché ci permette di verificare se quelli attuali forniscono una copertura sufficiente o se sia necessario svilupparne di nuovi a causa delle mutazioni».

Trovato il primo batterio della peste: risale a 5.500 anni fa

Fra i 214 germi preistorici individuati dai ricercatori è stata scoperta anche la più antica traccia genetica al mondo del batterio della peste, Yersinia pestis: era in un campione risalente a 5.500 anni fa. Una scoperta definita «notevole» dai ricercatori, soprattutto se si pensa alle stime secondo cui la peste avrebbe ucciso tra un quarto e la metà della popolazione europea durante il Medioevo.

Lo studio sulle proteine preistoriche, estratte da un dente di rinoceronte

Un’altra ricerca pubblicata su Nature ed emerso in questi giorni si è concentrato invece sulle proteine preistoriche, databili a oltre 20 milioni di anni fa, che rivoluzionano gli studi sull’evoluzione.

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di Redazione - 10 Luglio 2025