
Il punto di vista
Il caso Almasri e la ragion di Stato: da Aldo Moro e Mattarella a Giorgia Meloni
“Adesso le dico un segreto, quando venne in Italia Arafat per i funerali di Berlinguer, nei suoi confronti c’era un ordine di cattura emesso dal giudice Mastelloni. Avevamo paura che ci arrestassero Arafat, e io, allora ero presidente del Senato, lo nascosi insieme ai suoi all’interno dell’allora mio appartamento al Senato, e depistammo i carabinieri che avevano avuto l’ordine dal giudice Mastelloni di eseguire il mandato di cattura. Adesso lo si può dire” (Francesco Cossiga, Report, 27 aprile 2003).
Il segreto di Stato: se il governo lo avesse posto, il caso Almasri, si sarebbe chiuso nel giro di pochi giorni ? Sul piano politico non so, ma su quello giudiziario, di certo sì. Neppure la Corte penale internazionale può forzare lo sbarramento di un istituto che impedisce alla magistratura l’acquisizione e l’utilizzo, anche indiretto, delle notizie sottoposte a segreto. E ciò perché, ha statuito la nostra Corte costituzionale (sentenza n. 86/1977), l’apposizione del segreto di Stato «non può non consistere in una attività ampiamente discrezionale e, più precisamente, di una discrezionalità che supera l’ambito ed i limiti di una discrezionalità puramente amministrativa, in quanto tocca la salus rei publicae» e, inoltre «il giudizio sui mezzi idonei e necessari per garantire la sicurezza dello Stato ha natura squisitamente politica e, quindi, mentre è connaturale agli organi ed alle autorità politiche preposte alla sua tutela, certamente non è consono alla attività del giudice». Il “segreto” sarebbe stata la risposta più pertinente.
Segreto di Stato e volontà di trasparenza
Allora, perché non è stato apposto dalla presidente del Consiglio ? Conoscendo la cultura politica, il senso quasi etico dello Stato, la storia personale di Giorgia Meloni – mia opinione – direi per una trasparenza in eccesso. Come dire: il governo non ha segreti, non ha nulla da nascondere; e io premier opero sempre alla luce del sole e nell’interesse esclusivo del popolo italiano. Io lo capisco: ha di certo pesato sulla presidente la gestione politica di alcuni segreti di Stato, che nelle nostre vicenda nazionali sono stati legati talvolta a fatti inquietanti, alle deviazioni di pubblici apparati. Ma Giorgia Meloni è una premier giovane, democratica, stimata a livello internazionale, del tutto estranea ai buchi neri nel cammino della nostra Repubblica: a lei niente e nessuno può obiettare alcunché che sia fuori dalla legalità costituzionale. Forse le è stata rappresentata la scelta del segreto come un rischio. O come una trappola. Ma la trasparenza assoluta non è una virtù: l’evidenza di tutto a tutti può costituire un pericolo per il bene comune, per la vita stessa della Repubblica e dei suoi cittadini. Gli Stati si tengono in un equilibrio tra procedure pubbliche e non. E ci sono attività che è un errore “esporre” perché potrebbero essere “usate” da poteri ed entità, anche straniere, per proprie finalità, diametralmente opposte alla salus rei publicae alla cui tutela è preposto il segreto. Per non dire dell’uso strumentale da parte di opposizioni interne e media.
L’articolo 52 e la leale collaborazione tra istituzioni
È quel che accade nel caso Almasri? Per il quale il governo ha operato con correttezza e responsabilità, per tutelare un bene supremo che è la sicurezza di tutti: la Meloni (con Nordio) ha agito da statista nel solco di precedenti prassi, sulla linea del magistero di Moro e Craxi, dello stesso Mattarella il quale ha graziato gli agenti americani condannati dai giudici per il caso Abu Omar. Per il generale libico, l’attuale governo ha operato, senza copertura formale di segreto di Stato, ma nella medesima logica della Ragion di Stato che è quella dell’interesse nazionale. E, a fondamento sia del segreto, sia della Ragion di Stato, si impone l’articolo 52 della Costituzione, che richiede al cittadino, ma in particolare a chi è chiamato alla massima funzione di presidente del Consiglio, il “sacro dovere della difesa della Patria”; la differenza tra ieri e oggi è questa: in passato certe decisioni venivano adottate dall’esecutivo in spirito di leale collaborazione con la magistratura.
Il ruolo della magistratura, ieri e oggi
Negli anni Settanta – ma gli esempi potrebbero essere tanti – i terroristi palestinesi, arrestati perché volevano abbattere con un missile terra-aria a Fiumicino l’aereo sul quale viaggiava la premier israeliana Golda Meir, furono espulsi; alcuni di loro furono scarcerati perché l’allora ministro degli Esteri, Aldo Moro, fece pressione sul presidente del tribunale di Roma, facendo concedere ai terroristi la libertà provvisoria, su cauzione di 20 milioni di lire cadauno: le somme furono sborsate dal Sid, il nostro servizio segreto del tempo. Insomma, lo Stato “pagò” lo Stato; furono, quindi, fatti allontanare verso i propri Paesi. E con loro si allontanò un pericolo di ritorsione, con attentati, su territorio italiano. Oggi la magistratura, per una vicenda non dissimile, tiene sotto accusa la premier, il ministro dell’Interno, il sottosegretario ai Servizi e lo stesso “suo” ministro Guardasigilli, un ex magistrato; e mentre il Parlamento discute la riforma della giustizia, sgradita alle toghe, le opposizioni ne reclamano le dimissioni. Vi ho detto tutto.