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I giovani e la sfida digitale, uso o abuso? Il paracadute sociale della famiglia e il recupero di un’identità condivisa

Nuove tecnologie

I giovani e la sfida digitale, uso o abuso? Il paracadute sociale della famiglia e il recupero di un’identità condivisa

Cronaca - di Mario Bozzi Sentieri - 21 Luglio 2025 alle 15:44

Nell’ampio e tortuoso processo di trasformazione tecnologica in cui siamo letteralmente immersi, uno spazio del tutto particolare è occupato dalle giovani e giovanissime generazioni. Rispetto al passato il loro approccio verso le nuove tecnologie in apparenza sembra facile, quasi scontato. Al punto che essi vengono spesso definiti come “nativi digitali”, nella misura in cui nascono e crescono in un ambiente pervaso dalla tecnologia, che segna molti aspetti della loro vita, dall’apprendimento alla socializzazione, all’intrattenimento. In realtà la questione è un po’ più complicata, al punto da avere richiesto interventi specifici da parte del ministero dell’Istruzione e del Merito, in ragione del fatto che l’uso eccessivo e non controllato delle nuove tecnologie può portare a problemi di dipendenza, isolamento sociale e difficoltà nella gestione del tempo e delle relazioni scolastiche. Ancora più complesso l’approccio verso le tecnologie digitali ed il loro uso da parte dei minori.

Digitale, abuso e dipendenza da parte dei minori

La maggioranza dei bambini e dei ragazzi usa gli smartphone ogni giorno e per un periodo che è quasi raddoppiato rispetto a dieci anni fa. L’età in cui cominciano a farne uso si è inoltre notevolmente abbassata. Il 70% dei bambini di dieci anni possiede già uno smartphone e i ragazzi di quindici anni trascorrono tra le trenta e le sessanta ore settimanali davanti agli schermi. Il rapporto Ocse How’s Life for Children in the Digital Age? (Com’è la vita dei bambini nell’era digitale?) offre la prima panoramica sistematica e comparativa internazionale su questo fenomeno, delineando un quadro complesso, dove opportunità straordinarie si intrecciano con rischi emergenti e disuguaglianze digitali, che si manifestano fin dalla prima infanzia. Basato sui dati più recenti disponibili a livello internazionale, il report comprende un ricco quadro di indicatori relativi all’accesso e all’uso delle tecnologie digitali da parte dei bambini, alle interazioni sociali online, alle esperienze negative e alle pratiche che aumentano o riducono i rischi, fotografando una generazione che sta crescendo in un territorio inesplorato, dove le regole del gioco vengono riscritte giorno dopo giorno e gli adulti faticano a tenere il passo.

Benessere, sviluppo e futuro dei nativi digitali

Oggi la domanda non è più se i bambini cresceranno immersi nella tecnologia, ma come questa immersione plasmerà il loro sviluppo, il loro benessere e il loro futuro, partendo dal fatto che i bambini di oggi non usano la tecnologia come facevano le generazioni precedenti, ma ci vivono dentro, sviluppando competenze digitali intuitive che spesso superano quelle degli adulti di riferimento. Nel contempo però questa naturalezza nell’uso non si traduce automaticamente in consapevolezza dei rischi o in capacità di autoregolazione. Il rapporto evidenzia come solo il 51% degli studenti quindicenni nei paesi Ocse riferisca di essere in grado di regolare facilmente le impostazioni digitali per proteggere la propria privacy, mentre il 27,6% ammette di condividere intenzionalmente informazioni false sui social network in risposta alle pressioni sociali e alla preoccupazione per la privacy, e il 17% manifesta sintomi di ansia da disconnessione, riferendo disagio o nervosismo quando è lontano dai propri dispositivi digitali. Gli algoritmi progettati per massimizzare il tempo di utilizzo si scontrano con i ritmi biologici naturali dei bambini, creando un conflitto tra l’invasività delle piattaforme e la salute mentale dei minori.

Ansia, stress familiare, assenza di fiducia, isolamento sociale

I risultati sono bene evidenti a livello scolastico (con un aumento esponenziale dei cosiddetti insegnanti “di sostegno”) e non solo: ansia, stress familiare, assenza di fiducia con adulti di riferimento, dipendenza da contenuti digitali, isolamento sociale, calo del rendimento scolastico, difficoltà di concentrazione, e trascuratezza delle responsabilità scolastiche. Un cambio di paradigma nell’approccio alle politiche per l’infanzia digitale è perciò necessario. Non solo focalizzandosi sul divieto o sulla limitazione tout court, ma perseguendo un approccio ampio e partecipativo in grado di coinvolgere tutti gli attori del sistema: fornitori di servizi digitali, professionisti della salute, educatori, esperti, genitori e, cosa fondamentale, gli stessi bambini.

La necessità di un quadro normativo standard e condiviso

Le politiche pubbliche devono fornire un quadro normativo condiviso e standard di sicurezza transnazionali, le aziende tecnologiche devono incorporare la protezione dell’infanzia nei loro modelli di business, gli educatori devono sviluppare nuove competenze per accompagnare i bambini nella loro crescita digitale e i genitori devono essere supportati nell’acquisizione delle conoscenze necessarie per guidare i propri figli. D’altro canto accompagnare i bambini in una crescita sana nell’era digitale non significa semplicemente ridurre il tempo trascorso davanti agli schermi, ma garantire loro tempo, spazio e strumenti adeguati per abitare con consapevolezza quel mondo in cui già vivono. Ciò implica investire in un’educazione digitale che vada oltre le competenze tecniche, integrando pensiero critico, alfabetizzazione emotiva e capacità di autoregolazione; significa progettare tecnologie che rispettino i ritmi e i bisogni dello sviluppo infantile, anziché sfruttarli a fini commerciali e creare ambienti — fisici e virtuali — dove sia possibile esplorare, sbagliare e imparare in sicurezza senza perdere il contatto con sé stessi e con gli altri. Orientare e prevenire è necessario. Anche reprimere.

Combattere l’analfabetismo culturale

Ma ancora di più è urgente andare alle radici del problema, che nasce da quello che è stato definito un tipo complesso di “analfabetismo culturale”, fatto di diritti e di doveri non rispettati, di mancanza di responsabilità e di autocontrollo, soprattutto di esempi diretti e positivi non avuti. A cominciare dalla famiglia e dall’indebolirsi del suo ruolo, depotenziato nelle sue ragioni di fondo e nei suoi stessi componenti, sotto i colpi di un relativismo diffuso e dalla conseguente perdita delle sue ragioni fondanti. In una società senza madri e senza padri, dove i rispettivi ruoli si perdono e si sbiadiscono, a pagarne le prime conseguenze sono i figli, privi di riferimenti certi, di indirizzi, di “valori protettivi”. Perciò il rischio è il “liberi tutti”, con le conseguenze che vediamo nella povertà di modelli educativi-familiari a cui le istituzioni possono rispondere solo parzialmente. Al fondo c’è un relativismo etico sulle cui conseguenze in pochi sembrano essere coscienti. Soprattutto il cittadino non è allertato. Non ci sono campagne informative che lo mettano sull’avviso.

Indottrinamento inconsapevole che aumenta l’assuefazione

Al contrario, egli è quotidianamente sottoposto ad una costante opera di indottrinamento inconsapevole, in grado di rendere dolce il processo di depotenziamento collettivo, di resa, di assuefazione. E tutto questo senza che le conseguenze concrete di tale deriva siano ben chiare. Senza che i costi sociali e personali di certe scelte siano chiaramente indicati. Al fondo c’è una domanda inespressa di ricostruzione sociale con cui, prima o poi, bisognerà confrontarsi.

Una ricostruzione che passa attraverso il recupero del valore della famiglia, il senso di un’identità sociale condivisa, il miglioramento della vivibilità urbana (ivi compreso il rapporto con le nuove tecnologie) e quello che Konrad Lorenz, agli inizi degli Anni Settanta del ‘900 (in Gli otto peccati capitali della nostra civiltà) individuava come “l’accumularsi della tradizione” quale base di ogni sviluppo culturale e della formazione di valori insostituibili e degni di rispetto. Da qui, anche da qui, occorre partire per rispondere ai processi, tecnologici e non solo, di trasformazione, cercando di recuperare il senso di una cultura che altrimenti – per dirla sempre con Lorenz – “può estinguersi come la fiamma di una candela”. Con quali risultati è già oggi bene evidente.

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di Mario Bozzi Sentieri - 21 Luglio 2025