
Gufare e stroncare non basta
“Facci ridere”, e Pino Insegno fa centro: ma L’Espresso getta un’ombra “sinistra” su ascolti che doppiano Amadeus con leggerezza
Il nuovo programma su Raidue del conduttore, attore e doppiatore finisce nel mirino dei critici radical chic. Ma, in tema di Auditel, che poi fa la differenza, il volto di Viale Mazzini fa più ascolti dell'ex patron di Sanremo, guru dem passato a La Nove (e in caduta libera)
“Facci ridere”, impone il format: e Pino Insegno rispetta richieste e attese (di forma e telespettatori). E fa centro con gli ascolti, checché ne pensi la critica radical chic sempre pronta e lanciare “l’allarme” – e la stoccata – in rosso…
In quella che è una sorta di gerenza che richiama valori e funzione della testata, L’Espresso si definisce «settimanale di politica, cultura ed economia»: ma forse – e il dubbio sorge spontaneo di tanto in tanto – andrebbe aggiunta anche la dicitura di “critica al vetriolo dispensata in pillole su tutto un po’”. E a giustificare la proposta – che avanziamo con tutto il rispetto che la pubblicazione merita, ma con altrettanta motivazione a corredo – basterà sbirciare tra le righe dell’aspra recensione (?) vergata nel numero in edicola oggi dal titolo piuttosto esplicito: “Pino Insegno nella Rai delle barzellette“…
Certo, nell’attuale panorama mediatico italiano, non è raro imbattersi in staffilate vergate dal mainstream più o meno affilate, talvolta anche feroci. Ma c’è un limite oltre il quale la critica costruttiva degenera in attacco preconcetto: e il caso dell’analisi puntuta e spigolosa dedicata al programma condotto da Pino Insegno per Viale Mazzini (e stante lo stuolo di polemiche e allarmi lanciati all’indomani della sua collaborazione con la Rai – forse richiede qualche riflessione nel merito.
Pino Insegno, il suo nuovo programma su Raidue nel mirino dei critici radical chic
Il punto in questione riguarda il programma di Raidue, “Facci Ridere“, condotto dalla storica coppia comica Pinto Insegno e Roberto Ciufoli. Ma le osservazioni che il magazine stila, più che analizzare un prodotto televisivo, sembrano voler infierire con un’acredine quasi gratuita su scaletta, conduttori e protagonisti, palesando una diffidenza che rasenta il pregiudizio ideologico.
«Scampagnata domenicale negli anni Novanta della tv»?: la richiesta del pubblico parla chiaro
L’Espresso, nel suo intento demolitorio, punta su un presunto revanscismo d’annata. Sulla nostalgia mediatica dei tempi che furono, forse alludendo a prima dell’avvento di talent e reality show che potrebbero spiegare una sorta di propensione al ritorno allo “Status quo ante” a cui Facci ridere punterebbe a detta della testata. Così, l’articolo in questione, dipinge il programma come «una scampagnata domenicale negli anni Novanta televisivi mentre sventolano le faccine gialle degli smiles…».
Critiche al vetriolo e un pout-pourrì di banalità
E ancora. «Una gita fuori porta coi panini comprati il giorno prima che lasciano briciole sulla tovaglietta di nonna, un pezzetto qua e l’altro là, un recupero temerario delle barzellette in stile Gigi Sabani di “Stasera mi butto”, un pizzico di Corrida ma senza campanacci, e soprattutto la sua coperta di Linus, ovvero La premiata ditta». Una descrizione che, pur volendo essere colorita e dispregiativa, finisce per tradire una certa superficialità nella comprensione del format.
Sembra che l’articolista de L’Espresso non riesca ad accettare l’idea che un programma televisivo possa puntare sulla leggerezza, sulla comicità semplice e sulla nostalgia di un’epoca televisiva che, per molti, rappresenta ancora un faro di spensieratezza (e ormai un miraggio irraggiungibile). Il tentativo di svilire il lavoro di Pinto Insegno e Roberto Ciufoli, due professionisti che da decenni calpestano i palcoscenici e gli studi televisivi con un’onestà intellettuale e una dedizione rare, appare evidente e ingiusto.
Le considerazioni di rimando
Così come, definire il programma una «discesa vertiginosa di canzoncine e barzellette facilissime, tra signori di Abbiategrasso, il paese dove tutti stanno a dieta e altre facezie da sagra della visciola», denota una scarsa capacità di cogliere le sfumature e il potenziale dell’intrattenimento di un genere che, pur non essendo “intellettualoide” o “di nicchia” stile Capalbio, ha un suo pubblico fedele e meritato. E forse il punto è proprio questo: la solita arricciata di naso snob che fa riferimento a un target di radical kitsch che s’indigna e si accanisce. Quelli che ostentano di non avere un televisore in casa. Che rinnegano di sintonizzarsi su certi reti e determinati programmi. Che fanno fare ascolti a Fazio e compagni, considerati cavalli di razza di una scuderia schierata rigorosamente sul politically correct a oltranza (e tutte le sue possibili declinazioni più o meno spettacolari)…
Il solito, stanco e inadeguato riferimento a “Tele-Meloni”
Ma l’apice dell'”attacco preconcetto” si raggiunge con la chiosa finale, tanto sardonica quanto sfacciatamente mirata: «Alla fine, le malelingue potrebbero eleggere il titolo del programma a sintetica descrizione di Tele Meloni. Ma anche in questo caso la battuta sarebbe troppo facile». Qui la critica televisiva si trasforma in un mero strumento di attacco politico. Un’allusione velenosa che non solo travalica l’ambito meramente televisivo, ma che getta un’ombra (è proprio il caso di dire “sinistra”) su un programma che, piaccia o no, in materia di ascolti – che sono poi quelli che fanno la differenza, Pino Insegno checché ne pensi L’Espresso, fa i suoi dignitosi ascolti (e sempre su cifre che doppiano un altro guru dei dem in caduta libera nell’Auditel come Amadeus)… Finanche con il solo intento di non sedurre platee popolari o lusingare i potenti, ma offrire un momento di svago e allegria.
Pino Insegno, “Facci ridere”: e lui fa centro, ben più del collega Amadeus
E alla fine della fiera (e della saga del disgusto dispensato in pillole di radicalismo critico) ci risulta inaccettabile che un’analisi di un prodotto culturale venga distorta per fini che nulla hanno a che fare con la sua qualità intrinseca, trasformandola in una frecciata politica gratuita e dalla freccia più che puntata… Forse, invece di infierire con tanta veemenza e pregiudizio, L’Espresso dovrebbe ricordare che la televisione è un mezzo di comunicazione di massa per antonomasia. Uno strumento d’intrattenimento e informazione destinato a tutti. E che non ogni format deve rispondere a canoni di “impegno” dettati da una certa élite culturale. A volte, basta semplicemente “farci ridere”, senza secondi fini o velate accuse demagogiche (o antigovernative che dir si voglia)…