
Non siamo a mani vuote
Dazi Usa, i fondamentali dell’Italia reggono, ma serve prudenza: nessuna ritorsione, ora serietà
Mentre Washington alza la posta sui dazi verso l’Europa, l’Italia affronta il tavolo negoziale in una posizione che, seppur non brillante, resta solida. La cautela resta d’obbligo, ma non la timidezza: ora serve responsabilità, non retorica antiamericana. I fondamentali economici reggono, almeno per ora. Nel pieno della nuova ondata protezionistica americana, l’Italia non arriva al confronto con le mani vuote. Nonostante la stagnazione strutturale, i principali indicatori macroeconomici mostrano un sistema che, se ben guidato, può assorbire un eventuale shock da dazi.
Il Pil è cresciuto dello 0,6% nel primo semestre del 2025, superando le previsioni che indicavano una crescita piatta. L’inflazione, pur rientrata sotto il 2%, ha favorito un lieve aumento del potere d’acquisto interno, sostenendo i consumi. L’export, nonostante la pressione sul comparto meccanico e agroalimentare, ha mostrato una resilienza sorprendente, con una crescita dell’1,3% nei primi cinque mesi dell’anno, trainata dal mercato mediorientale e da nuove aperture in Africa orientale. Il debito pubblico resta il tallone d’Achille, ma la credibilità fiscale (grazie anche al contenimento della spesa corrente e all’uso intelligente del Pnrr) ha evitato tempeste speculative. Il differenziale Btp-Bund è stabile sotto i 150 punti base, segno che i mercati non vedono rischi immediati per la nostra solvibilità.
India e Giappone: dazi evitati, ma a quale prezzo?
Le esperienze di India e Giappone con la diplomazia commerciale statunitense offrono spunti utili, ma non illusioni. L’India, dopo mesi di tensioni sui dazi all’acciaio e sull’agricoltura, ha ottenuto una parziale revoca delle tariffe solo accettando limiti più stringenti sull’export tech e rivedendo in chiave filoamericana le sue regole sugli investimenti esteri. Il Giappone, invece, ha scelto un approccio di basso profilo, basato su concessioni nel settore automotive e un rafforzamento delle esercitazioni militari congiunte. Il risultato è stato un congelamento delle minacce tariffarie, ma al prezzo di un maggiore allineamento strategico a Washington, anche a scapito dell’autonomia regionale. Per l’Italia non sarà diverso: l’uscita indolore da una crisi commerciale con gli USA richiede diplomazia, competenza e, se necessario, compromessi intelligenti. Niente fughe in avanti né nazionalismo commerciale di corto respiro.
Ritorsioni? Un errore da non ripetere. Il caso Cina insegna
L’idea di rispondere con “ritorsioni simmetriche” a eventuali dazi americani, come proposto da alcuni esponenti della sinistra radicale e da frange populiste trasversali, sarebbe un errore strategico. Abbiamo già visto che cosa significa una guerra commerciale vera: nel 2019, quando l’Ue si schierò duramente contro i dazi Usa su Airbus e agì con misure ritorsive, il prezzo lo pagarono le nostre Pmi esportatrici nel food, nel vino e nella moda. Più recentemente, la Cina ha risposto in modo durissimo ai dazi europei sulle auto elettriche, e tra i Paesi più esposti alla ritorsione c’è proprio l’Italia, che importa tecnologia industriale e materie prime critiche. Il protezionismo fine a sé stesso, soprattutto se declinato in chiave punitiva, è incompatibile con la struttura produttiva italiana: aperta, frammentata e integrata nella catena del valore globale. Non è con la vendetta commerciale che si difende l’interesse nazionale.
Niente avventure, niente illusioni: restiamo credibili
La posta in gioco in questa trattativa non è solo l’export italiano, ma la nostra credibilità come partner economico e geopolitico. Finché la partita con gli Stati Uniti non sarà chiusa, l’Italia deve evitare ogni deragliamento fiscale, ogni tentazione di spesa assistenziale e ogni messaggio ambiguo ai mercati. Serve rigore, serietà e uno sforzo di coesione nazionale. Senza cedere alla retorica antiamericana né all’illusione di potersi sfilare da un confronto che va giocato con sangue freddo. L’Italia può farcela, ma solo se resta un Paese affidabile. In economia, come nella politica estera, oggi più che mai.