
Il martire scolastico
Dal sei politico alla santificazione mediatica: il caso Marconcini, lo studente che rinnega l’esame per lanciare “il messaggio politico”
Valditara: «Non si prendono in giro gli insegnanti, si rispetta il loro lavoro. Si rispettano i compagni che hanno creduto in quel momento e si sono impegnati, che hanno provato ansia, stress, coltivato speranze»
A diciannove anni si può sbagliare. Anzi, è quasi un dovere. L’importante è non convincersi che ogni errore sia un atto di eroismo. Pietro Marconcini, maturando del liceo scientifico Plinio Seniore di Roma, ha ottenuto 83 centesimi all’esame di Stato. Un risultato rispettabile, specie per chi, come lui stesso racconta, a dicembre era sull’orlo della bocciatura. Ma Pietro, attivo militante comunista, non ha brindato. Ha deciso invece di scrivere al ministro Valditara chiedendo che quel voto venisse ridotto al minimo sindacale: 60. Una forma di protesta, dice, contro il «sistema scolastico alienante, ansiogeno e cieco». Tutto per trasformarsi in una sorta di martire scolastico.
Lo studente di sinistra contro Valditara
Un gesto, condito da una lettera, un video, un appello politico. Un’estetica da palcoscenico ben congegnata, subito incoronata da quella stampa che non perde occasione per trasformare un’ostentazione individualistica in una causa comunitaria. E così Marconcini diventa “l’eroe del contro-voto”, il portabandiera della scuola delle nevrosi e delle lacrime, l’ennesimo giovane “impegnato” che rinuncia al merito per una battaglia di principio. Ma il principio qual è? Che il voto è cattivo, che la competizione è tossica, che l’impegno danneggia la salute mentale. Cioè: che studiare e superare un esame è un trauma da esorcizzare pubblicamente.
«Ho chiesto al ministro dell’Istruzione Valditara di abbassare il mio voto alla maturità», ha annunciato Marconcini in un video diffuso dalla Rete degli studenti medi del Lazio. «L’ho fatto perché credo che un voto non possa valutare cinque anni della mia vita e della mia crescita». Una forma di penitenza? Oppure una mossa calcolata per guadagnare una vetrina che puntualmente viene offerta a chiunque torni utile alle sinistre cause?
Dal liceo alla tribuna politica
Marconcini infatti non è nuovo alle dichiarazioni ad effetto. Tre anni da rappresentante d’istituto, attivismo nelle reti studentesche romane, oggi impegnato nel servizio civile all’Auser. Una famiglia numerosa, quattro fratelli e un passato scolastico non proprio roseo: «A dicembre mi ero ritrovato con parecchie insufficienze. Rischiavo la bocciatura, allora mi sono buttato nello studio, escludendo tutto il resto».
Lo sforzo c’è stato, il recupero anche. Ma proprio quando il traguardo è raggiunto, ecco la crisi esistenziale: «La sera dell’orale sono andato a dormire. Il giorno dopo, con la mente finalmente libera dallo studio, mi sono reso conto che ero caduto nella mentalità che per anni avevo criticato. Per coerenza avrei dovuto rimanere in silenzio anche io all’orale».
Troppo tardi per tornare indietro. Ma sufficiente per salire sul carro della protesta e presentarsi alla stampa come simbolo di dissidenza. «Voglio che il ministro ascolti noi giovani»…
La stampa inchina la penna, l’ideologia detta la linea
La Stampa lo presenta come il volto nuovo di una generazione che contesta. Poco importa se Marconcini sia da anni il primo a scendere col pugno alzato nelle piazze: oggi, se l’onda è quella giusta, la verità può attendere.
Pietro diventa il «paladino» di una protesta che cambia forma ma non sostanza. Dopo gli ammutoliti dell’orale, dopo i «grazie ma non lo voglio sostenere» alla commissione, ora tocca al voto rifiutato ex post. Quasi ormai fosse diventata una challenge su Tiktok.
Il ministro Giuseppe Valditara aveva già chiarito: «Non si prendono in giro gli insegnanti, si rispetta il loro lavoro. Si rispettano i compagni che hanno creduto in quel momento e si sono impegnati, che hanno provato ansia, stress, coltivato speranze. Devo rispettare il loro impegno, non posso farla franca se decido di fare scena muta». Chi ha lavorato, studiato, temuto e sudato per quell’esame non deve essere delegittimato da chi cerca visibilità.
Dalla protesta alle aule universitarie
Pietro, in ogni caso, guarda avanti: studierà psicologia. Ma avverte: «Non smetterò di dire quello che penso anche perché i dati sul disagio dei giovani valgono soprattutto per l’università. Meglio finire l’università sei mesi più tardi che trascorrere tutte le sere piangendo e stando male».
La retorica del disagio resta il perno. Ma forse più utile di una lettera autocelebrativa sarebbe stato un confronto vero con i compagni, con i docenti, costruendo qualcosa di reale. Invece, si preferisce lo scontro simbolico, la denuncia via social, il ruolo del profeta incompreso.
Errori sì, ma no alla strumentalizzazione
A diciannove anni, si ripete, si può sbagliare. Si può cedere alla tentazione del protagonismo ingenuo. Nessuno nasce già adulto. Ma il punto è il meccanismo di certi media che strumentalizzano ogni gesto purché in opposizione al «governo di estrema destra».