
Crepuscolo liberal
Da Vice a Freeda analisi di un fallimento “Woke”. La grande ritirata dell’universo progressista dai social
Da Vice a Freeda, il mondo woke sta fallendo. Due importanti brand internazionali hanno dovuto chiudere. Paventano questioni economiche ma a farli fallire sono state le scelte poltiche.
Società - di Andrea Moi - 6 Luglio 2025 alle 07:00
Nella puntata di Radio Atreju, il podcast lanciato da qualche mese sui canali della manifestazione, Giuseppe Cruciani descrive così il mondo woke: “Nel ricco Occidente, dove si fa colazione al bar, potendo scegliere tra la brioche salata e quella col pistacchio, siamo ben pasciuti e quindi dobbiamo trovare qualcosa da fare, qualche diritto da inventare. C’è tanto tempo libero e in molti non hanno i bisogni primari. In particolare, c’è un mondo composto da ricchi che si è voluto inventare che alcuni film sono discriminatori. Vedi cosa hanno detto su Mary Poppins razzista, il bacio di Biancaneve non consensuale” e così via.
La colonizzazione culturale del mainstream
Le parole del conduttore de La Zanzara sembrano la perfetta descrizione di quello che in questi anni hanno rappresentato due contenitori del mainstream progressista: Freeda e Vice. Il primo, un progetto editoriale nato in Italia direttamente sui social, riscosse successo sull’onda del nuovo femminismo e del movimento Meetoo. Il secondo, braccio italiano dell’azienda canadese, mischiava attualità, musica e tendenze underground. Entrambi i canali veicolavano contenuti costruiti per diventare virali, indignare e importare la neo cultura lib progressista Made in Usa. Un’operazione di colonizzazione culturale che non ha dato i suoi frutti.
La caduta di Freeda
Il progetto, nato nel 2017, sta ufficialmente fallendo. I canali social non vengono aggiornati e la società Ag Media, proprietaria del brand, ha presentato al tribunale di Milano la richiesta dell’apertura della procedura di liquidazione. Freeda, nata dall’osmosi della parola “Freedom” e “Frida Kalo”, ha rappresentato per anni la casa virtuale del nuovo mondo femminista in salsa occidentale. Lotta al patriarcato, gender gap, mascolinità tossica erano i temi cari al canale color fucsia. Una sensibilità rivolta all’altra metà dell’universo che ad un certo punto ha smesso di fare breccia. Si è inceppato il meccanismo digitale, secondo alcuni commentatori, a causa di scelte di business azzardate. Il lancio di un brand di trucchi (Superfluid) andato male, eccessiva pubblicità nei post e una serie di investimenti economici che non si sono rivelati fruttuosi. Eppure noi crediamo che le cose stiano diversamente è che il tema centrale del fallimento sia da ricondurre a quello che ha rivelato un ex dipendente di Fredda al Post “«Nel 2016 di una visione pop femminista italiana c’era bisogno, ma nel corso degli anni il pensiero si è chiaramente evoluto, e Freeda non è riuscita a riformulare la propria voce, a trovare un nuovo pubblico o un nuovo modo di fare contenuti contemporanei».
Incapaci di leggere la realtà
Cavalcare l’indignazione è facile ma la realtà presenta il conto. Sotto la coltre della rabbia virale in molti hanno visto in Freeda, come in altri progetti mainstream, dei contenitori ideologizzati incapaci di muovere una critica integrale al sistema, ottimi strumenti per aizzare una generica protesta nei confronti di un mondo con cui, per forza di cose, ci si deve relazionare. La demonizzazione dell’universo maschile, bianco, etero, cis ha nauseato. Colpevolizzare intere categorie è stato uno sbaglio imperdonabile, figlio delle peggiori stereotipizzazioni che pagine come Freeda, sembravano condannare. L’incapacità di leggere il mondo nella sua complessità, nelle sue trasformazioni, ha fatto fallire Freeda. L’echo-chamber progressista non ha visto che fuori dalla sua bolla ribolliva la veracità della vita dove il lavoro, l’immigrazione, l’Ia, la sicurezza superavano in termini di peso ed interesse i capricci del mondo della ztl.
Vice e il giornalismo acchiappa click
Un altro famoso fallimento del mondo mainstream è stato quello dell’azienda canadese Vice che nel 2023, riscontrando eccessive difficoltà finanziarie, ha optato per la chiusura. Il suo ramo italiano, massicciamente presente sui social è stato per una decina d’anni capace di raccogliere attualità e cultura underground raccontando nuove tendenze musicali, mode e tutto lo scibile su costume, abitudini e linguaggio delle nuove generazioni. Vice ha effettivamente rappresentato un esperimento interessante, capace di leggere e riportare fenomeni sociali borderline nascosti agli occhi dei media tradizionali. Ricordiamo, ad esempio, il reportage sul calcio storico fiorentino, quello fatto dentro i territori dell’ISIS, il reportage sulla scena Hip Hop italiana e internazionale. Se fino a poco tempo fa volevamo cercare il significato di un nuovo termine dello slang giovanile, sicuramente su Vice l’avremmo trovato. Ma col passare degli anni queste qualità si sono trasformate. Vice, nella sua versione italiana, s’è trasformata in Fanpage, col suo carico di moralismo da strapazzo e caccia alle streghe del mondo identitario. La fasciofobia (incurabile patologia del mondo progressista mainstream) s’è insinuata nella redazione e il pubblico s’è stufato. Troppa ipocrisia, troppo bacchettonismo da un progetto che si era presentato come libertino, capace di leggere il mondo nella sua complessità. E poi il lento scivolare nel trash acchiappaclick con articoli come “Perché gli uomini cambiano così raramente le lenzuola del letto; Come fare sesso con un uomo grasso; Come Capitan Harlock è diventato un’icona fascista” (Sic!)
Non ammetteranno gli sbagli
Possiamo scommetterci: sia Vice che Freeda non saranno in grado di ammettere gli sbagli. Ad averli fatti fallire sono state principalmente le scelte politiche. Hanno tentato di creare conflitto, polarizzare, aizzare le donne contro gli uomini, mostrificare il variegato elettorato di destra. Hanno fallito.
di Andrea Moi