
Le barricate di Trieste
Così Almerigo Grilz, il nostro maestro, ci insegnò a difendere il Tricolore e la libertà
Trieste, lì dove finisce l’Adriatico, è una città fascinosa, di una bellezza che segna, ma è pure una città difficile, che sa diventare anche cattiva con i suoi figli che l’hanno più amata. Trieste – così la canta Umberto Saba – ha una scontrosa grazia (…) è come un ragazzaccio aspro e vorace, con gli occhi azzurri e mani troppo grandi per regalare un fiore, come un amore con gelosia. È una città di passioni e grandi amori, ma anche grandi odi, di contrasti, di lotte, di sangue di cielo. È un mito della Patria italiana, la Grande Guerra è per noi di quassù la quarta guerra d’Indipendenza, il 4 novembre è la Vittoria. La “questione Trieste” tiene banco nei dieci anni successivi alla conclusione della seconda guerra: le stragi delle foibe, le rivendicazioni jugoslave, il governo militare angloamericano, la rivolta dei ragazzi di Trieste nel novembre 1953, i sei Caduti di quelle giornate sono gli ultimi martiri del nostro Risorgimento.
Negli anni del dopoguerra la destra triestina, ha un’impronta fortemente nazionale, spesso anche nazionalista (che non è una parolaccia) ed è fortemente radicata in quel lembo estremo d’Italia, che è anche la fine del mondo libero perché subito oltre c’è la cortina di ferro. Il Msi e le sue organizzazioni giovanili guidano tutte le lotte a difesa della terra, della lingua e dell’identità nazionale del confine orientale. Ma esiste anche un’altra Trieste: un partito comunista (PCI-KPI) altrettanto forte, con una grossa componente filo jugoslava, al servizio di Tito e della Jugoslavia; e ci sono anche i filosovietici, primo fra tutti Vittorio Vidali, l’uomo di Stalin dal Messico a Trieste; e poi gli indipendentisti, ed un variegato mondo antinazionale che muta e cambia ma sopravvive ancor oggi.
Il fortino di via Paduina difeso da Almerigo
Almerigo Grilz, classe 1953, cresce in questo brodo di coltura ed emerge presto. Coraggioso, spregiudicato, preparato, intelligente, con il suo Fronte della Gioventù conquisterà scuole, piazze, università, facendo di Trieste un laboratorio ed un modello da imitare. Non è una favola metropolitana quella che si trasmette ancora nel mondo della destra: negli anni ‘70, quando per chi militava a destra la vita era davvero difficile e pericolosa, si veniva da tutt’Italia a vedere Trieste, dove la musica era un’altra… Non glielo hanno mai perdonato ad Almerigo gli antifascisti cattivi, quelli in servizio permanete effettivo…Eppure non fu facile.
Forse, per raccontare un po’ di Almerigo val la pena di partire da qui: è il 29 maggio 1974, in tutta Italia la sinistra scatena violenze contro uomini e sedi del Msi a seguito della strage, subito definita fascista, di piazza della Loggia a Brescia. A Trieste gli estremisti di sinistra scelgono come obiettivo la sede del Fronte della Gioventù, da poco aperta, di via Paduina. Almerigo Grilz ne guida la difesa: un centinaio di manifestanti risale viale xx settembre, inneggiano alle foibe, gridando “uccidere i fascisti non è reato”, “le sedi fasciste si chiudono col fuoco, ma coi i fasci dentro sennò è troppo poco”… bloccano la strada per impedire l’arrivo della polizia, sfondano il portone di ingresso e salgono al secondo piano, dove c’è la sede. Con una colonna di ferro antibora presa in strada cominciano a colpire la porta ad ariete. La porta cede, ma da dentro Almerigo ha fatto creare una barricata con un divano messo di traverso e poi tutto quel che c’è. I giovani missini iniziano a cantare e sfidano i compagni a entrare. Sono una quindicina, di cui quattro ragazze, contro cento. E quando gli assalitori tentano di entrare davvero, li ferma una pioggia di bottiglie, usate come arma di difesa. Cocci e bottigliate, sangue per le scale. Allora gli assalitori buttano il salnitro sul pianerottolo, incendiano la porta che prende fuoco, così come la barricata: cominciano ad entrare le fiamme. Da dentro i ragazzi gettano alcuni secchi d’acqua finché questa viene a mancare, i compagni hanno chiuso la valvola centrale del palazzo. Almerigo dispone tre linee di difesa lungo il corridoio e lui sta davanti. L’ultima è quella delle quattro ragazze. È l’ultima difesa. Ma oltre il crepitio e le urla arriva invece un capitano dei carabinieri con altri a seguito. I compagni sono scappati e sono tornati di sotto, in strada; accoglieranno con urla e insulti i ragazzi del FdG che avevano difeso la loro sede e vengono portati via con due cellulari…Da quel giorno Via Paduina diverrà un fortino inespugnabile, non solo per porta blindata fatta installare subito dopo e le reti antimolotov messe alle finestre; ma è il simbolo della riscossa.
Alla conquista dei propri spazi generazionali
Da lì parte la conquista e riconquista di tutte le scuole e dell’università. Almerigo ci diceva “ricordatevi che nulla è impossibile e uno di noi vale almeno 10 di loro, dove non vogliono farci entrare noi entriamo, Con le buone o con le cattive. Fede, coraggio e onore”. La stessa organizzazione del suo Fronte era quasi militare. Pensiero e azione. Per me via Paduina è indimenticabile. Per noi, giovani di allora, più piccoli di lui, di 5 o 10 anni, era il castello delle fiabe. E lui il nostro condottiero. All’ingresso un manifesto con una specie di decalogo di comportamento: “Sii coraggioso, sii leale, non vantarti, non parlare che ogni parola è un piccolo tradimento”.
Il nostro centro librario (“leggete!” ci diceva), l’archivio dove ogni giorno bisognava ritagliare giornali e notizie, i rotoli di manifesti da fare con l’anima ed uno per uno, affinché attaccato il primo uscissero i primi cinque centimetri del successivo (ma ‘ste cose le capisce solo chi le ha fatte). E Almerigo che diceva: “Un buon militante deve averne affissi almeno 1000”. E la sala riunioni, gli scudi di legno a croce celtica, e le frasi ai muri “più la notte è buia e più risplendono le stelle”, “non aver paura d’aver coraggio”… E la sala ciclostile, che prima era quel vecchio Gestetner, a manovella, con la matrice di carta e pennino di ferro, ma poi arrivò quello nuovo con la matrice elettronica”, o almeno cosi la chiamavamo noi. E poi le sere e le notti a sentinelle della sede, le chitarrate e tante, tante altre cose…Ma forse ho divagato, e pure all’imperfetto, e riprendo allora a raccontare del mio capo del Fronte della gioventù.
La battaglia all’Università
È una mattina di febbraio del 1976 all’Università, atrio di Giurisprudenza: gli studenti del Fronte della Libertà hanno quasi completato la raccolta di firme per le elezioni universitarie, ma ecco che “cominciano ad adunarsi le brutte facce della sinistra più estrema e intollerante, megafoni, sciarpe rosse, aspetto sporco e trasandato”. Lascio proseguire il racconto ad Almerigo stesso, traendolo da un suo volantino di allora: “Quando i sovversivi si sentono sufficientemente numerosi (sono un centinaio circa) passano all’azione: due di lor arringano con i megafoni. “Compagni, oggi buttiamo fuori i fascisti! Siamo stufi di Grilz e Morelli! Coraggio oggi buttiamoli fuori!” Gli altri fanno eco “Fuori i fascisti dall’università” , Contro le squadre di Almirante, parole poche sprangate tante!”
Ma non appena passano all’azione, Grilz, Morelli (il suo vice)e altri tre studenti anticomunisti si asserragliano nel bar di giurisprudenza , stretto e angusto. “I militanti del Fronte – scrive Grilz – nonostante l’enorme sproporzione numerica non si lasciano intimidire e reagiscono compatti all’aggressione, Seguono violenti scontri, volano le bottiglie del bar, fra clamori, urla, botti, e fracassai di vetri. Gli attivisti di sinistra si ritirano precipitosamente trascinandosi dietro i feriti e molti di loro grondano sangue”.
L’episodio dell’università contribuirà a creare la leggenda di Grilz picchiatore, su cui insistono ancor oggi i suoi detrattori, ma fu legittima difesa e l’uomo, certo, non era uno che si lasciava cacciare. Ci penserà l’ineffabile Rettore Gianpaolo de Ferra a cacciarlo dall’Università espellendolo, nonostante fosse l’aggredito, per due anni, assieme a Paolo Morelli (con il quale – consentitemi il ricordo – iniziai a volare sui deltaplani negli anni ‘80 e fondammo assieme la Fiammadelta). Almerigo non mollerà, riprenderà l’università e si laureerà in Giurisprudenza. Per questi fatti sarà assolto come per tutti gli altri processi che gli cuciranno addosso, e morirà incensurato. Il rettore era cugino dei fratelli Flavio e Claudio de Ferra (fondatori del MSI, che avevano difeso l’Istria in armi fino al maggio del ’45) e non gli rivolgeranno più la parola dandogli del Pilato…
Migliaia di tricolori contro il trattato di Osimo
Ma, nel ’76, la chiave di volta del successo e dell’ascesa del Fronte di Grilz è la rivolta che guida contro il trattato di Osimo (10 novembre 1975) con il quale l’Italia, a trent’anni dalla fine della guerra, cede alla Jugoslavia di Tito la zona B del Territorio Libero di Trieste (cioè l’Istria nord occidentale, con le città di Capodistria, Pirano, Isola, Buie, Umago, Cittanova). È una pagina nera della storia nazionale, un’infamia, un tradimento alla nostra storia, alla nostra memoria, alle sofferenze delle nostre famiglie esuli per rimanere italiani.
Anche Almerigo è figlio di un’istriana di Pirano (la città del Tartini) e Trieste negli anni è diventata la capitale morale dell’esodo giuliano dalmata, oltre ad essere popolata per almeno un terzo da esuli e loro figli. Le strade di Trieste si incendiano, Almerigo guida le occupazioni a scacchiera di tutte le scuole, che vengono impavesate di tricolori, è qualche cosa che non si vede in alcun luogo d’Italia. “Contro Osimo boia chi molla” è il grido della gioventù triestina, si ripetono manifestazioni ad ogni piè sospinto. Ricordi indimenticabili per me e tutti quelli che su quelle strade, in quelle piazze ci sono andati, pieni di rabbia e di fede, che in quelle scuole ci hanno dormito credendo davvero di poter riscrivere pezzetti di storia…
In quei giorni, così scrive Almerigo su “Giovane Destra”, il mensile ciclostilato di quei tempi eroici: “A Trieste, nonostante il boicottaggio di tutte le forze del regime, cresce il consenso dei giovani per la destra. Il fatto che sulle scuole occupate sventoli il tricolore simboleggia la volontà di lotta studentesca e popolare, non di classe o di fazione, contro il sistema della corruzione e del tradimento. Al “Carli” e al “Carducci” i marxisti, ridotti a infima minoranza e completamente emarginati, non hanno saputo far meglio che venire di notte a buttar delle “molotov” nell’illusione di intimidire gli studenti. L’esempio di Trieste dimostra che dove le idee della destra possono essere propagandate (dove cioè si sa trovare la forza di portarle avanti con decisione, respingendo con forza ogni aggressione) esse sfondano e fanno presa a livello giovanile in modo addirittura clamoroso! Rabbia ed esasperazione trovano così un indirizzo positivo di lotta e di alternativa globale e non sfociano nel nichilismo disperato fine a se stesso, che in ultima analisi fa soltanto l’interesse del sistema. Da Trieste a tutta Italia: boia chi molla!”
La sinistra teme l’egemonia del “Fronte” triestino…
A rileggere oggi, queste righe possono anche destare qualche impressione perché vi è una indubbia carica rivoluziona, tipica degli anni ’70, ma, come si vede, è tutta orientata in positivo, in termini valoriali ed antinichilisti. E quell’esperienza triestina fa talmente paura, soprattutto a sinistra, che diventa un caso nazionale. Il “Quotidiano dei Lavoratori”, giornale dell’ultrasinistra, mette preoccupato in copertina e a tutta pagina “Il caso Trieste, dove la destra è egemone”.. mi rileggo i volantini di Lotta continua: “Trieste costituisce uno dei centri più importanti di questo piano fascista, prima con la provocatoria campagna sulla Zona B , ora con una rinnovata campagna anticomunista; i fascisti stanno tentando di conquistare la grossa fetta di tradizionale elettorato reazionario di Trieste. O ancora “Avanguardia Operaia : “È oggi in atto una crescita numerica e militare del Fronte della Gioventù che minaccia l’agibilità politica della sinistra”. E, infine, il “Manifesto” vede con timore in quella destra i “nuovi slogan, dal contenuto alternativo o addirittura rivoluzionario, No alla DC, no alla corruzione, no alla disoccupazione, diritto allo studio, alternativa di generazione, no al comunismo. Le parole d’ordine della destra si inseriscono nell’incapacità del movimento degli studenti di dare sostanza e concretezza ai discorsi della lotta per l’occupazione e per la trasformazione della scuola”. La sede di Via Paduina e la forza della destra triestina fanno paura davvero, ma non solo alla sinistra, ed ecco che, nel gennaio ’78 (in piena epoca di leggi eccezionali antiterrorismo) viene chiusa d’autorità attraverso la famigerata “legge sui covi”: sarebbe stata un covo fascista e si sarebbe tentata la ricostituzione del disciolto partito fascista.
«La repressione non fermò Almerigo e tutti noi»
Ma la tesi non regge e dopo qualche giorno il provvedimento decade. Così commenta Almerigo in un numero speciale di “Giovane destra”: “Cossiga sconfitto e beffato: la sede di Via Paduina riaperta. Nessun magistrato triestino se l’è sentita di rendersi complice della provocatoria manovra del Ministero degli interni: il provvedimento poliziesco di soppressione della sede del Fronte della Gioventù di Via Paduina era tanto scopertamente repressivo ed ingiustificato, da non potere essere avallato.. La chiusura del “covo” mirava quindi soltanto a compiacere il PCI, che da mesi ormai la chiedeva a Cossiga, e ad impedire le diffusione di idee anticonformiste, scomode al regime. Adesso i locali in cui si è organizzata la lotta contro il trattato di Osimo e la resistenza al comunismo sono restituiti alla battaglia in difesa della libertà. Ne sapremo fare buon uso!”
Il “covo”-castello di Via Paduina è protagonista di un fumetto che Almerigo disegna in quegli anni. Lui ha una capacità innata: scrive e disegna maledettamente bene. Ha una fantasia straordinaria ed una capacità narrativa assai rara. All’epoca non esistevano le intelligenze artificiali, ma nemmeno i pc o il banale “Word”. Tutto è fatto rigorosamente a mano. Per cui ogni volantino o giornale è interamente scritto a stampatello e farcito di disegni e vignette. Il suo stile, con caratteri inconfondibili, viene battezzato “Grilzico”.
Militante, artista e poliedrico
La sua raccolta delle “Storie della Foresta Nera”, pubblicate mensilmente a fumetti è un’opera d’arte. È ambientata nell’”Italia dei secoli bui, dove ogni autorità è scomparsa, la barbarie dilaga, città e borghi sono in balia di bande di briganti, la cultura è sommersa dalla trivialità e dall’ignoranza, i governanti sono pavidi e corrotti”; esiste però un ordine cavalleresco che si batte contro la corruzione e la barbarie (e sono i cavalieri della fiamma) e Tergeste (Trieste) è uno dei punti di forza dell’ordine che dispone del famoso castello detto di “Via Paduina”. Ed allora i barbari e i loro capi, il vile Andreottus, il malefico Berlinguerius, oltre il confine il mefitico Titus…
Anche se scrive e disegna assai bene e non gli manca certo l’eloquio, Almerigo è convinto che si debba parlare con i mezzi della modernità, che offre quel tempo. E allora sperimenta foto, film e video, inventa il “Centro Nazionale Audiovisivo”, CNA: Almirante gli regala una cinepresa con cui farà i suoi primi reportage: C’è un sua foto, tra l’erba, in no so quale posto remoto del mondo, in cui si vede sulla cinepresa la sigla CNA attaccata in letterine plastiche autoadesive. Tutta roba di quei tempi.
Il richiamo del giornalismo di guerra
Almerigo si laurea, diviene consigliere comunale, ha varie cariche nazionali nel FdG e nel Msi ma pian piano sposta la sua attenzione verso il giornalismo di guerra: è la sua vocazione e se ne va sempre più di frequente e sempre più lontano. Ma non ci lascia mai. L’ultima volta che l’ho visto è stato il giorno prima che partisse per il suo ultimo viaggio. Chiese a me, a cui aveva affidato il suo Fronte della Gioventù, di aprirgli la sede di Via Paduina per farla vedere al suo amico Lord Michael Cecil, con cui stava andando in Mozambico.
Il ricordo forse più nitido e bello che ho di quegli ultimi tempi – ed è in quel quadro di battaglie per la nostra italianità – è di una mattina d’inverno, saranno state le 5 ed era ancora buio, in cui venne a svegliarmi in una scuola che avevamo occupato contro il bilinguismo a Trieste. Era giallo come un limone, appena arrivato dall’Afghanistan, e con l’epatite addosso, presa bevendo chissà che con i mujahideen insorti contro gli occupatori sovietici. Ci abbracciammo e poi uscimmo a “riveder le stelle” cantando le “nostre” canzoni per le strade deserte di Trieste. Fuori sventolavano i nostri tricolori, le bandiere di quell’Italia che qui ha un significato più forte e più dolce che altrove.
Un maestro per tutti noi
Almerigo Grilz rimane per me e per chi ha avuto la fortuna di essergli fratello di lotte, una delle figure più belle della giovane destra italiana. Coraggioso e idealista, portava con sé un carisma non comune, uno sguardo magnetico, una volontà di ferro, una solida cultura politica, la capacità della guida e dell’esempio. A noi, i “giovani nazionali” di allora, ha insegnato soprattutto il coraggio, la rigorosa coerenza dell’agire con il dire, la caparbietà nel difendere oltre tutto e sopra a tutto, la dignità delle idee, della tradizioni, della memoria, della nostra identità italiana …Nella città che segnava il confine con la cortina di ferro ha cavalcato le battaglie di un nazionalismo moderno e determinato e di un anticomunismo intransigente e irriducibile. Non ha avuto la fortuna di vedere cadere il Muro di Berlino, fatto che profeticamente ripeteva sempre essere vicino…
Una via contro i faziosi odiatori
Quando, a Trieste, la faziosità cieca e cattiva dei comunisti dell’Ordine dei giornalisti, nonostante Almerigo fosse stato il primo reporter caduto sul campo dalla fine della seconda guerra mondiale, gli negò una lapide in memoria perchè “fascista”, quella che ha dedicato poi ai tanti – onore a loro – venuti dopo, mi feci promotore dell’intitolazione di una via ad Almerigo. Ero assessore alla cultura di Trieste a quel tempo e quando portai la proposta in Giunta non volava una mosca: il Sindaco, Roberto Di Piazza, mi disse. “È giusto, facciamolo”. Ci abbracciammo. La inaugurammo il 19 maggio del 2002, nel 15’ anno dalla sua scomparsa, in quell’angolo di Africa, lontana, in un’aura di leggenda. E’ all’ingresso di Trieste, finito il lungomare, sotto un castelletto, come sarebbe piaciuto a lui.
Sono felice di aver lasciato quel segno per sempre nella mia città, che amo e odio, perché è dolce e bella, ma è anche cattiva. Ad Almerigo dedicai quel giorno una frase che vale ancora e per sempre. È di duemila anni fa, dal “De Rerum Natura” di Lucrezio: “E quindi trionfò la vivida forza del suo animo, e si spinse lontano, oltre le mura fiammeggianti del mondo e percorse con il cuore e la mente l’immenso universo”.
Ps: i testi e le citazioni sono tratte dai volantini e dai giornali di quegli anni, che tengo ordinatamente rilegati. Mi insegnò Almerigo a farlo, perché faceva così: mi portò al convento delle monache di clausura, dove c’era la suora rilegatrice. In cambio le portavamo un’offerta e ci diceva “Dio vi benedica”.