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Cogne consegnata alla cronaca per la morte del piccolo Samuele: quando Annamaria Franzoni divise l’Italia

Nel gennaio del 2002 in Val d'Aosta la morte del piccolo Samuele. La mamma, condannata in via definitiva e oggi libera, continuerà a negare di essere stata l'autrice dell'omicidio del bambino

Cronaca - di Mario Campanella - 2 Luglio 2025 alle 17:02

Tra i delitti italiani più famosi quello di Cogne, benché processualmente risoltosi con l’individuazione del colpevole, lascia ancora una traccia di dubbi. Per il fatto che ad uccidere Samuele Lorenzi, di appena tre anni, sia stata la madre, Annamaria Franzoni e soprattutto perché la donna, che oggi ha espiato la pena, non ha mai confessato di essere l’autrice dell’infanticidio. Che tenne l’Italia con il fiato sospeso tra idee bizzarre, complotti, controtesi, continue trasmissioni televisive.

Il delitto di Cogne

Samuele Lorenzi fu ucciso in una villetta di Cogne in Val d’Aosta, il 30 gennaio del 2002. Fu Annamaria Franzoni a chiamare, alle 8,30 del mattino, il 118, dicendo che il suo bambino, “vomitava sangue”. Prima, la signora aveva contattato il suo medico di famiglia che aveva sospettato un aneurisma cerebrale. E su questo punto torneremo in seguito.

I soccorritori sopraggiunti in elicottero constatarono che le ferite sul corpo della vittima erano frutto di un atto violento e avvisarono i carabinieri, che effettuarono i primi sopralluoghi. Il piccolo fu dichiarato morto alle ore 9:55. L’autopsia stabilì come causa del decesso almeno diciassette colpi sferrati con un corpo contundente.

“Ne facciamo un altro?”

Furono proprio i carabinieri a registrare un’incredibile frase detta da Annamaria al marito, Stefano, durante il trasporto del bimbo in ospedale. “Ne facciamo un altro?  Facciamo un altro figlio?”, frasi ovviamente fuori contesto in un momento drammatico. e sempre a un carabiniere attonito successivamente “la bimba”, come veniva chiamata in famiglia la Franzoni, dirà: “Speriamo che sia stato ucciso”.

Le indagini

Da subito la procura valdostana mise al centro dell’indagine la Franzoni. Era da sola in casa con Samuele, in un posto sperduto, lontano dal centro abitato e difficile per chiunque da raggiungere. Dalle intercettazioni uscirono frasi ambigue, “Non so cosa mi è successo.. scusa cosa gli è successo”, in una conversazione con un’amica.  Dalle indagini emerse che la Franzoni era l’unica persona che avrebbe potuto commettere l’omicidio all’ora indicata. L’utilizzo del luminol consentì di trovare numerose tracce di sangue sul pigiama di Annamaria.

La tesi e la calunnia

La difesa insistette dapprima con la tesi dell’aneurisma cerebrale. La teoria dell’aneurisma cerebrale con violenti crisi epilettiche venne in seguito ripresa, valutata e approfondita da un neurologo italiano, Giovanni Migliaccio, che sosteneva l’assoluta innocenza della Franzoni e attribuiva la morte del bambino ad un problema congenito, piuttosto che ad una aggressione. Questa tesi però non ottenne mai riscontro. Il difensore della Franzoni, Carlo Taormina, indicò in un vicino di casa, poi risultato del tutto estraneo, l’autore dell’omicidio. Per questa che si rivelerà una calunnia, la Franzoni fu condannata a un anno e 4 mesi con la successiva prescrizione del reato.

Le perizie psichiatriche su Cogne

Le perizie psichiatriche su Annamaria Franzoni furono diverse e coinvolsero i luminari Ugo Fornari, Renato Ariatti, De Fazio. Diverse le rilevazioni che però non concessero alcuna infermità, parziale o totale, alla mamma di Samuele. Ultime perizie attribuirono a Franzoni una personalità affetta da nevrosi isterica, cioè portata a teatralità e a simulazione, incapace di elaborare in modo maturo le problematiche della quotidianità.

L’arma contundente, la testa che scoppia, il panico

La mattina dell’omicidio Annamaria aveva avuto una crisi di panico. Aveva telefonato alla guardia medica. L’arma letale che uccise Samuele non fu mai ritrovata. Secondo l’accusa la Franzoni sospettava che il bambino potesse avere una malformazione e che la sua testa potesse “scoppiare”.

I nomi dei figli biblici, Prodi, i complotti e Bruno Vespa

L’omicidio di Cogne bloccò mediaticamente l’Italia per diversi mesi. Porta a porta, con Bruno Vespa, se ne occupò praticamente ogni giorno, con il famoso plastico della villetta e la presenza fissa del criminologo Franco Bruno. L’opinione pubblica in un primo tempo si divise tra innocentisti e colpevolisti. E il complottismo non poteva mancare. Si disse e si scrisse che la Franzoni era la nipote della moglie di Romano Prodi (notizia falsa) e che da questa avrebbe ricevuto una sorta di protezione. Si disse che la stessa Franzoni appartenesse a qualche setta religiosa visto che i due figli si chiamavano Davide e Samuele. A questi si aggiungerà Gioele, altro nome biblico, che fu concepito davvero pochi mesi dopo la morte del fratellino e che nacque il 2003.

I processi, le condanne, l’uscita dal carcere

Franzoni scelse il rito abbreviato che le consentì di evitare l’ergastolo. Condannata in primo grado a 30 anni, la pena fu ridotta a sedici successivamente in Appello con la concessione delle attenuanti generiche e confermata dalla Cassazione. Nel 2018 la donna, per la buona condotta in carcere e l’indulto, è tornata definitivamente libera.

Quel dubbio irrazionale che rimane vivo

La dinamica dell’omicidio, l’impossibilità per un estraneo di commettere il delitto nella villa (avrebbe avuto al massimo otto minuti di tempo a disposizione), le tracce di sangue sul pigiama, la calunnia al vicino di casa, l’assenza di un movente per un assassino esterno, non lasciano dubbi sulla colpevolezza di Annamaria Franzoni. Ma rimane uno spiraglio di incertezza dettato dalla sua incrollabile versione, raccontata in un libro, “La verità”. Possibile che abbia resistito tutto questo tempo senza avere il bisogno di confessare? Le stesse intercettazioni, per quanto importanti, non colgono mai, seppure indirettamente, un’ammissione di colpa, un attimo di cedimento. Come se questa bugia fosse una verità consapevole.

Il possibile crepuscolo della coscienza

Annamaria Franzoni oggi è una donna tranquilla. Madre di due figli ormai grandi. Per quanto si riteneva che potesse recidivare il delitto, sia in carcere, che in comunità, il suo comportamento è stato impeccabile. A distanza di anni le ipotesi su quella tragica mattinata del 20 gennaio 2022 sono due. O che abbia ucciso Samuele perché pensava che avesse davvero una malformazione irreversibile, oppure che abbia potuto avere uno stato crepuscolare di coscienza. Questa condizione riguarda uno stato della propria coscienza che rende il soggetto in grado di compiere azioni anche complesse, ma senza rendersi conto di ciò che accade intorno a lui, come se fosse disorientato. Una diagnosi confermata da Franco Freilone, Ivan Galliani, Giambattista Traverso e Gaetano De Leo, i periti della Corte d’Assise: Annamaria Franzoni il giorno del delitto era in uno «stato crepuscolare orientato», una sorta di sospensione della coscienza motivata dall’ansia. L’amnesia psicogena non è una condizione impossibile, ancorché rara. Uccidere senza averne coscienza. Eppure, nonostante tutto, rimane quel dubbio infimo, impossibile ma quasi, che fosse innocente. Aldo Semerari, il più grande psicopatologo forense italiano, un giorno a questo proposito disse in un’udienza: “Qualcuno potrebbe escludere con certezza assoluta che domani non sorgerà il sole?”.

 

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