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Bani Walid trafficanti

La spirale dell'orrore

Catturato il boia di Bani Walid: sicario dei trafficanti libici, accusato dell’omicidio di un bambino dopo il tentato stupro

Era il carceriere della "safe house", che di "safe" aveva solo il nome: il 29enne torturava, uccideva e alimentava la spirale di violenza. Ora dovrà rispondere alla giustizia italiana

Cronaca - di Alice Carrazza - 31 Luglio 2025 alle 17:22

Carceriere, torturatore, omicida. Non è un romanzo sull’orrore delle guerre africane, ma un verbale italiano. Il volto dell’uomo che teneva in pugno una delle prigioni informali più temute della Libia è stato localizzato e arrestato dalla polizia tedesca nell’area di Zweibruecken. Ad accompagnare le manette, l’esecuzione di un mandato d’arresto europeo disposto dal gip presso il Tribunale di Palermo. Il 29enne, cittadino somalo, è accusato di far parte di un’associazione per delinquere a carattere transnazionale dedita al sequestro di persona, alla tortura e all’omicidio, connessa al traffico illegale di migranti verso l’Italia.  

L’inferno di Bani Walid, regno del sicario dei trafficanti

Dietro il suo arresto, c’è una storia di violenze atroci raccontata da chi le ha subite sulla propria pelle. Le indagini, avviate nel giugno 2023 e coordinate dalla Direzione distrettuale antimafia del capoluogo siciliano, nascono dalla denuncia di un altro cittadino somalo, sbarcato a Lampedusa il 9 giugno dello scorso anno. È lui a indicare l’indagato come aguzzino di una “safe house” nella località libica di Bani Walid, un campo di prigionia che di “safe” aveva solo il nome. Lì, tra le celle improvvisate, si infliggevano sevizie sistematiche per ordine dei trafficanti.

Il compito dell’indagato era chiaro: “mantenere l’ordine e le direttive impartite dai trafficanti libici anche con violenza ovvero con percosse e torture inferte per indurre i familiari dei migranti somali a versare del denaro, come prezzo preteso per la liberazione e la successiva traversata in mare”. Nessuna interpretazione, nessuna retorica. Bastano le parole del decreto giudiziario per delineare un meccanismo criminale strutturato, feroce, organico.

L’omicidio del bambino e le prove raccolte

Il punto più tragico di questa storia è l’uccisione di un bambino. La vittima era un minorenne somalo che, secondo quanto riferito, si era ribellato a un tentativo di violenza sessuale che l’indagato intendeva filmare per estorcere denaro alla famiglia. La risposta fu un colpo di coltello alla gola. Un’esecuzione sommaria, fredda, priva di esitazioni.

Il racconto del denunciante ha fatto scattare la macchina delle indagini, trovando conferma nelle testimonianze di altri migranti detenuti nello stesso campo. Tutti lo hanno riconosciuto. Non solo per il volto ma per la brutalità delle azioni. Le prove raccolte delineano una figura centrale nella catena del terrore: non un complice qualunque, ma il braccio armato della logica del male.

Un’indagine che attraversa tre Paesi

Dalla Libia alla Germania, passando per l’Italia. La traiettoria dell’accusato è stata ricostruita in ogni suo passaggio, grazie a un lavoro capillare di localizzazione attraverso gli indirizzi Ip associati al suo profilo Facebook. Una collaborazione internazionale efficace ha permesso alla polizia tedesca, in raccordo con il Servizio centrale operativo, la Sisco e la squadra mobile di Palermo, di rintracciarlo e arrestarlo.

Contestualmente alla cattura, è stata eseguita una perquisizione nei suoi confronti in esecuzione dell’ordine d’indagine europeo emesso dalla Dda di Palermo. Un passo che chiude il cerchio, almeno per ora.

Un’organizzazione ancora attiva

Ma l’inchiesta resta aperta. L’associazione criminale che faceva da cornice a questi orrori è tutt’altro che smantellata. “Unitamente a numerosi altri soggetti allo stato non identificati” si legge nel capo d’accusa. Una rete che si estende tra Libia e Italia, con l’Europa come approdo finale.

L’Europa davanti al bivio

Questa vicenda, nelle sue pieghe più drammatiche, ricorda che dietro il volto compassionevole dell’accoglienza si nasconde talvolta quello feroce di chi su quell’accoglienza specula e costruisce imperi di sangue. Chiudere gli occhi di fronte a queste dinamiche significa lasciare campo libero a chi fa del dolore un mestiere.

La giustizia italiana, in questo caso, ha fatto il suo dovere.

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di Alice Carrazza - 31 Luglio 2025