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Capuozzo: «Fossi morto con la telecamera in mano Almerigo sarebbe stato il primo a rendermi onore…»

L'intervista

Capuozzo: «Fossi morto con la telecamera in mano Almerigo sarebbe stato il primo a rendermi onore…»

Toni Capuozzo ripercorre la passione di Amerigo Grilz per il giornalismo e il «rispetto» professionale ostracizzato da chi, per pregiudizio ideologico, non ha riconosciuto, per troppi anni, i meriti del grande inviato caduto in servizio

Speciali - di Fernando Massimo Adonia - 4 Luglio 2025 alle 08:54

Giornalismo, nient’altro se non il giornalismo. Con il «rispetto» dovuto a chi non c’è più. Almerigo Grilz è caduto sul campo documentando le atrocità della guerra in Mozambico. Era il 1987 ed è stato il primo reporter italiano, dalla fine della Seconda guerra mondiale, a morire nel corso di un conflitto. Dopo un lungo oblio, il film Albatross di Giulio Base ne ricostruisce la storia e le passioni. Ed è Giancarlo Giannini a interpretare Vito, personaggio di fantasia liberamente ispirato a un altro giornalista che di guerre ne ha raccontate parecchie, Toni Capuozzo. Anche lui figlio del Nordest, nonché presidente della giuria del Premio che ne porta il nome, si batte da anni affinché gli organi del giornalismo italiano riconoscano che Grilz è stato prima di tutto un «collega» e non soltanto l’uomo che da ragazzo ha ricoperto ruoli di responsabilità nel Fronte della Gioventù.

Capuozzo, partiamo ovviamente da Grilz: che giornalista era?

«È stato certamente un buon giornalista, curiosamente però nessuno se lo chiede. Si pensa ad altro. Ma lo è stato, eccome. Era un giornalista di mercato internazionale, che ha scritto soprattutto per le testate estere. Un reporter a tempo pieno. Mi indigna che il giornalismo italiano non sia ancora riuscito a considerarlo uno dei suoi».

Cos’è che non riesce a sopportare?

«La bontà di un giornalista la giudichi dai suoi articoli e dai suoi servizi, non dal suo passato politico. A meno che non sia stato un terrorista o si sia macchiato di reati riprovevoli come la pedofilia. Bisogna saper superare gli steccati ideologici. Di fronte alla morte non si può non avere rispetto».

Lei ha militato in Lotta continua, ma la pensa in maniera differente da Assostampa, che l’anno scorso ha preso le distanze dal Premio Grilz. Come mai?

«Quando morì, non ho avuto un momento di dubbio: per me era morto un giornalista con la telecamera in mano. Non mi interessava quello che avesse fatto da giovane, per chi avesse votato o a quali manifestazioni avesse partecipato. Probabilmente, da ragazzi, abbiamo fatto addirittura a botte. Non glielo so dire. So solo una cosa…»

Prego.

«Capisco che, giustamente, i suoi amici ne rivendichino la militanza politica; per me però le cose stanno in modo profondamente diverso: so con certezza che se fossi morto facendo il mio lavoro lui sarebbe stato il primo a dire “Onore a Toni Capuozzo”. Insomma, chi siamo noi per sindacare le idee politiche di Maria Grazia Cutuli o Ilaria Alpi? Sarebbe come entrare nella vita privata di una persona. Sono cose che non ci devono interessare».

Lei ha definito Grilz «l’inviato ignoto», quali sentimenti ci sono dietro questa espressione?

«L’amarezza per il fatto che un giornalista caduto sul campo non venisse considerato tale dall’Ordine, dal sindacato e da tutta la consorteria. Abbiamo avuto un morto in famiglia, ma la famiglia non lo ha voluto riconoscere. Così facendo, però, il giornalismo ha rischiato di perdere una delle sue tante sfaccettature».

Cosa intende?

«Fortunatamente, anche se non è più come una volta, il giornalismo continua a essere una professione non massificata, in cui è il taglio personale di chi scrive – sentimenti, personalità, etc. – a rendere un pezzo unico.  La vicenda di Grilz non può essere cancellata dalla storia del giornalismo italiano. Sarebbe come decidere di rinunciare a uno strumento dell’orchestra, di metterlo all’indice. Come fanno i talebani, del resto, che non a caso vietano la musica».

Ritiene che il film Albatross possa contribuire affinché una vicenda importante del giornalismo italiano sia consegnata al grande pubblico?

«Quella di Grilz è certamente una storia di passione. Non ho ancora visto il film, ma sono certo che la tecnica cinematografica possa servire a comunicare degnamente i valori che lo animavano nella professione. A volte, nel giudicare le cose, il grande pubblico sa essere più maturo delle piccole parrocchie politiche, immerse in una guerra civile buffa perché permanente. Dubito che la sinistra saprà venirne fuori, lo stesso vale per una parte della destra che ne rivendica la memoria».

Capuozzo, prima di lasciarla, che emozione è saper che Giancarlo Giannini, in un certo qual modo, le ha prestato il volto?

«È un attore che ho sempre amato, un volto familiare. E sono felice che il piccolo ruolo che ho giocato all’interno di una storia da rispettare sia stato interpretato da un grande attore. Troppo onore, insomma».

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di Fernando Massimo Adonia - 4 Luglio 2025