
Rai e dintorni
Bello Ciao: la lagnosa solitudine di (Sig!)frido Ranucci, scaricato anche dai suoi “compagni” di lamento
Giorni fa, a Napoli, mentre nell’Auditorium del Centro di Produzione Rai i vertici dell’azienda presentavano in pompa magna i nuovi palinsesti, Sigfrido Ranucci indiceva una manifestazione contro la sua stessa azienda. I motivi? almeno tre: il taglio di 4 puntate a Report; l’accordo che stabilizza 127 giornalisti precari (che per Ranucci è un complotto ordito per svuotargli la redazione); e la lettera di monito inviatagli dall’Ad Giampaolo Rossi per la sua propensione a violare le regole aziendali tra cui quella di esternare su giornali e tv concorrenti (spesso contro la stessa Rai) senza chiedere le autorizzazioni previste (cosa che in qualsiasi altra azienda porterebbe al licenziamento in tronco).
Ma la chiamata alle armi del Masaniello dei giornalisti militanti è caduta miseramente nel vuoto. Nel caldo torrido, Ranucci si è ritrovato da solo con 20 aficionados più un paio di fedelissimi Rai, qualche politico d’opposizione come il piddino Stefano Graziano e i 2 consiglieri d’amministrazione di sinistra Roberto Natale e Alessandro Di Maio, più per dovere che per convinzione visto che poi, dopo una bella foto d’ordinanza si sono precipitati dentro a festeggiare con il resto della Rai. Il fallimento della manifestazione la si legge nelle parole scritte da uno dei partecipanti in una chat interna: “Eravamo una ventina di presenti… provate a immaginare le foto senza i cittadini ai quali abbiamo chiesto soccorso”.
Insomma, Ranucci ha convocato la Rai contro la Rai, ma la Rai non se l’è filato. Neppure l’Usigrai, il sindacato dei giornalisti di sinistra duri e puri che con i vertici aziendali ha condiviso l’accordo sui precari e che si è visto sbertucciare pubblicamente da Ranucci per questo. Neppure i Cdr delle testate che hanno votato al 75% a favore dell’accordo che è una boccata d’ossigeno per le redazioni. Neppure i suoi colleghi conduttori di sinistra a cui lui aveva chiesto di uscire fuori a mostrargli solidarietà, i vari Marco Damilano, Riccardo Iacona, Sabrina Giannini, Gepi Cucciari, Peter Gomez, che invece sono rimasti dentro insieme agli oltre 150 talent presenti.
Se voleva dimostrare di essere un corpo estraneo alla Rai, Ranucci c’è riuscito. Il suo vittimismo, il suo ego smisurato e la sua doppia morale iniziano a non essere più graditi: Ranucci è il giornalista che fu assunto nel 1997 senza selezione, per chiamata diretta e che oggi è protetto dal posto fisso e dallo stipendio di 240 mila euro (il tetto massimo pur essendo solo caporedattore) e che si oppone alla stabilizzazione con selezione di 127 precari suoi colleghi. Ranucci è il conduttore che fa una tragedia per 4 puntate tagliate (meno di quante ne abbiano tagliate ad altri) dimenticandosi di dire che Report negli ultimi 2 anni non ha mai avuto tante puntate e tante ore di programmazione. Ranucci è il giornalista che accusa i suoi colleghi di essere al servizio della politica mentre lui è il giornalista Rai più protetto dalla politica, la quale non manca di stracciarsi le vesti appena lo si critica.
Quando sconsolato afferma “la Rai è la mia casa ma non mi sento più nella mia casa” ha forse capito che a sopportarlo più sono proprio i suoi colleghi. “Ho ricevuto molte offerte da fuori…” ripete come un disco rotto, ma lui sa che solo in Rai può continuare ad utilizzare Report come un manganello contro avversari politici e nemici interni dietro la retorica del giornalismo d’inchiesta e la scusa del pluralismo democratico.
Rimane l’immagine di quel volto sudato in un viale deserto, alla ricerca di una telecamera che lo riprendesse o di un taccuino che trascrivesse i suoi deliri, mentre alle sue spalle una malinconica chitarra intonava Bella Ciao.