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Albatross, un biopic onesto e “differente”. Vola oltre i pregiudizi della critica militante

L'intervento

Albatross, un biopic onesto e “differente”. Vola oltre i pregiudizi della critica militante

Raccontare Grilz significa raccontare una generazione dimenticata, quella dei ragazzi “figli di un Dio minore”, come qualcuno ha scritto, solo perché scelsero di militare nel Fronte della Gioventù. La sua è la memoria di un uomo che ha amato la verità più della sua stessa vita

Cultura - di Federico Mollicone - 15 Luglio 2025 alle 09:15

C’è un tempo in cui la cultura dovrebbe essere uno spazio di verità, di riconciliazione e di maturità comunitaria. E poi c’è un tempo, come quello che viviamo, in cui anche un film come Albatross, piccolo capolavoro di misura e memoria, diventa terreno di scontro ideologico. Eppure, questo film, che ha avuto il coraggio di raccontare la vita e la morte di Almerigo Grilz, è una pagina che doveva essere scritta, fosse anche solo per ridare dignità a una storia italiana a lungo sepolta sotto il peso della rimozione ideologica.

Un film che racconta una “vocazione”

Albatross – lo diciamo subito – non è un’opera pensata per le sofisticate platee da festival, né per salotti intellettuali dove le etichette contano più dei contenuti. È un film che nasce per la televisione, e lo si percepisce chiaramente nella sua costruzione narrativa, nel ritmo, nella fotografia. Una scelta consapevole, quella degli autori, per rendere accessibile a un pubblico ampio e trasversale una figura come quella di Grilz. Non c’è nessuna pretesa autoriale, nessun virtuosismo fine a se stesso, ma solo la volontà di raccontare – con onestà e rigore – la vicenda di un uomo che ha pagato con la vita la fedeltà a una vocazione: quella di raccontare le guerre lontane con gli occhi di chi le attraversa. Inoltre, al contrario di pellicole come “Confidenza” con Elio Germano e le colonne sonore di Thom Yorke (costato 6 milioni e mezzo – con oltre 2,7 milioni di fondi ministeriali – e incassato solo 1,5 milioni), il film ha avuto a disposizione un budget particolarmente ridotto.

Critica? No, pregiudizio militante

Fanno quindi sorridere – e verrebbe da usare l’ironia tagliente di Guccini – quei “critici severi” alla Marco Giusti, che hanno stroncato il film con argomenti più politici che cinematografici. I loro giudizi sembrano più una rivalsa ideologica che una vera analisi del valore filmico. E d’altronde, fa specie leggere le stesse penne lodare opere come I predatori, il film d’esordio – davvero brutto, fatto salvo che per alcune interpretazioni come quella di Giulia Petrini – di Pietro Castellitto, celebrato come una sorta di “capolavoro” della nuova generazione, ma che altro non è che una farsa caricaturale: i buoni sono tutti di sinistra, moralmente superiori e politicamente corretti; i cattivi, ovviamente, fascisti, camorristi e misogini.

Ancora più singolare, poi, la difesa da parte di Giusti in occasione della seconda fatica del “compagno” Castellitto, “Enea”. Inizialmente, il film fu reputato dal critico talmente brutto da mettere in discussione il proseguimento della carriera del giovane rampollo, per poi ricredersi, tempo dopo, definendo l’opera come il principio di “una commedia borghese diversa da quella che abbiamo conosciuto il secolo scorso”. Insomma, quando si tratta di tutelare le nuove promesse del “circolino”, il botteghino e il successo in sala non contano.

Raccontare “l’altra” gioventù

Ma torniamo a Albatross. Il film ha un merito che vale più di mille premi: ha riportato alla luce la storia di Almerigo Grilz, militante sì, ma anche – e soprattutto – giornalista di guerra, uomo libero, testimone diretto dei conflitti che hanno insanguinato il mondo negli anni Ottanta. Raccontare Grilz significa raccontare una generazione dimenticata, quella dei ragazzi “figli di un Dio minore”, come qualcuno ha scritto, solo perché scelsero di militare nel Fronte della Gioventù, l’organizzazione giovanile di un partito parlamentare perfettamente inserito nella legalità democratica.

E proprio per questo, è stato per me un onore consegnare la Medaglia della Camera dei Deputati ai rappresentanti della famiglia di Almerigo e ai giornalisti Fausto Biloslavo e Gian Micalessin, che con Grilz condivisero non solo l’avventura giovanile, ma anche la scelta coraggiosa di raccontare il mondo con lo sguardo in prima linea. Un riconoscimento doveroso a chi ha scritto, con coraggio, una pagina di giornalismo vero, al di là delle etichette e degli schieramenti.

Albatross rompe uno schema (e un tabù)

Il cinema italiano ha dedicato decine di film, molti dei quali acclamati e premiati, ai militanti delle Brigate Rosse, di Prima Linea, ai protagonisti della lotta armata di sinistra. Storie raccontate quasi sempre con toni drammaticamente elogiativi, indulgenti, quando non apertamente celebrativi. In queste narrazioni, il giovane estremista è spesso vittima delle circostanze, idealista smarrito, combattente per una causa “più grande”. Sono stati raccontati come anime tormentate, mai come responsabili del sangue e del terrore che hanno seminato. A Grilz, fino a oggi, era toccato il silenzio. Albatross rompe finalmente questo schema. E lo fa senza urlare, senza ideologizzare, senza voler riscrivere la storia.

Non possiamo non citare, infine, due omaggi che restituiscono profondità al ricordo di Grilz. Il primo è quello di Toni Capuozzo, che più volte ha scritto che Grilz non era un ideologo, ma un reporter, morto facendo quello che amava: raccontare la verità, senza filtri, con la cinepresa come unico scudo. Il secondo, ancora più toccante, è venuto dal Cardinale Matteo Zuppi, presidente della CEI, che ne ha parlato pubblicamente come di “un giovane uomo capace di vedere l’umanità anche nei conflitti, di restituire volti dove altri vedevano solo bandiere”.

La miseria di chi scambia la memorie con le barricate

In mezzo alla miseria intellettuale di chi ancora divide la memoria in “buoni” e “cattivi” in base al colore della militanza politica, brillano parole come queste. Brilla l’onestà di chi sa che ricordare Almerigo Grilz non significa fare apologia, ma semplicemente restituire giustizia a una storia italiana. Una storia che fa parte del nostro patrimonio, che piaccia o no. In una Nazione che ha imparato a fare pace con molte delle sue ferite, è tempo di accettare anche questa: la memoria di un uomo che ha amato la verità più della sua stessa vita. Albatross ce lo restituisce.

Ed è per questo che, alla fine della proiezione, ho capito che questo film ha già vinto dove contava davvero: nel cuore di chi sa che il coraggio non ha colore politico. Ha il suono di una voce che torna, controvento, a raccontarci chi siamo stati. E vola, come un albatros, libero nel cielo. Finalmente libero.

 

Presidente della Commissione Cultura della Camera dei Deputati

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