
La vendetta di Teheran
L’Iran minaccia di chiudere lo stretto di Hormuz: cosa rischia l’Italia. In quel corridoio il 25 per cento di gas e petrolio mondiale
Dopo l’intervento Usa di domenica notte, Teheran potrebbe prendere di mira lo Stretto di Hormuz, snodo nevralgico per l’approvvigionamento globale di petrolio. “Dal mio punto di vista, l’elemento più critico al momento è rappresentato dalla possibilità che l’Iran sotto pressione scelga misure ritorsive ad ampio spettro, incluso il blocco della navigazione nello Stretto di Hormuz o attacchi a Paesi del Golfo”. Questo lo scenario paventato dal generale Luciano Portolano, capo di Stato maggiore della Difesa, ospite dello ‘Speciale in mezz’ora’ su Rai3.
Il parlamento iraniano propone di chiudere lo stretto di Hormuz
Tra gli scenari ipotizzati in queste ore, sarebbe la più pesante per le economie di mezzo mondo, inevitabilmente anche per la nostra. Il Majlis, il Parlamento di Teheran, “è arrivato alla conclusione che lo stretto di Hormuz debba essere chiuso, ma la decisione finale in merito spetta al Consiglio supremo di sicurezza nazionale”, ha detto il generale dei Guardiani della Rivoluzione Esmail Kowsari, che siede nella commissione Sicurezza nazionale del Majlis, in dichiarazioni riportate dall’iraniana Press Tv. Lo stretto di Hormuz, che Teheran minaccia di bloccare nel mezzo dell’escalation con Israele, è una rotta strategica per il trasporto di petrolio e Gnl. ‘Corridoio marittimo’ fra Iran e Oman, collega il Golfo Persico con il Golfo dell’Oman e il Mar arabico. La maggior parte del petrolio e del Gnl esportato da Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Kuwait, Iraq, Qatar e dallo stesso Iran passa da qui.
Perché lo Stretto di Hormuz sarebbe un grave danno anche per l’Italia
Lo Stretto di Hormuz è la stretta imboccatura del Golfo Persico attraverso la quale passa circa il 20% di tutto il petrolio scambiato a livello globale, e nel suo punto più Stretto è largo solo 33 chilometri. Qualsiasi interruzione potrebbe far salire alle stelle i prezzi del petrolio in tutto il mondo e colpire anche le tasche americane. L’Iran vanta una flotta di imbarcazioni d’attacco rapido e migliaia di mine navali che potrebbero potenzialmente rendere lo Stretto impraticabile, almeno per un certo periodo. Potrebbe anche lanciare missili dalla sua lunga costa del Golfo Persico, come hanno fatto i suoi alleati, i ribelli Houthi dello Yemen, nel Mar Rosso.
Gli Stati Uniti, con la loro Quinta Flotta di stanza nel vicino Bahrein, si sono impegnati a lungo a garantire la libertà di navigazione nello Stretto e risponderebbero con forze di gran lunga superiori, ma anche uno scontro militare relativamente breve potrebbe paralizzare il traffico marittimo e spaventare gli investitori, causando un’impennata dei prezzi. Gli Stati Uniti hanno decine di migliaia di soldati di stanza nella regione, comprese basi permanenti in Kuwait, Bahrein, Qatar ed Emirati Arabi Uniti, paesi del Golfo Persico appena oltre il Golfo Persico rispetto all’Iran e molto più vicini di Israele. Queste basi vantano lo stesso tipo di sofisticate difese aeree di Israele, ma avrebbero molto meno tempo di preavviso prima di ondate di missili o sciami di droni armati. L’Iran potrebbe anche scegliere di attaccare importanti impianti petroliferi e di gas in quei paesi. Un attacco con droni contro due importanti siti petroliferi in Arabia Saudita nel 2019 – rivendicato dagli Houthi ma ampiamente attribuito all’Iran – ha seppur brevemente dimezzato la produzione petrolifera del regno.
A rischio anche le forniture di petrolio alla Cina
Come ricorda il Sole 24 ore, con una mossa del genere Teheran non solo scatenerebbe un intervento pressoché certo delle forze navali Usa, che