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Linee costituenti per un’Europa “potenza”: come superare la crisi sociale, energetica e tecnologica con uno Stato federale

Tra crisi del welfare, corsa alle risorse e gap tecnologico: serve un’Europa-Stato per affrontare le potenze globali. Questo, quanto emerge dal convegno organizzato dal Centro Studi Kultureuropa

Cultura - di Francesco Ingravalle - 22 Giugno 2025 alle 07:00

“Ci sono ancora molte aurore
che non hanno rifulso”
(citazione dal Rigveda premessa da Nietzsche a Aurora, 1881)

Un fantasma si aggira per l’Europa: è l’Europa stessa, in cerca di autori. Autori che non possono essere singoli individui, né gruppi più o meno organizzati; ma forze storiche in movimento nello scenario incerto della “post-globalizzazione”. Forze storiche, forze sociali che il Convegno del 22 febbraio 2025 si propone di chiamare a raccolta nel segno del massimo realismo.

Un’Europa in ritirata strategica

“Abbiamo perso la guerra dell’approvvigionamento energetico, abbiamo perso posizioni in Africa, in Medio-Oriente e nel Pacifico, siamo stati rallentati forse in modo irrecuperabile nella corsa all’autonomia dei chip e delle terre rare: ora stiamo assistendo alla perdita di influenza anche all’interno della stessa Europa, con il riproporsi delle logiche di Yalta e della possibile spartizione in sfere di influenza”: così scrive Carlomanno Adinolfi  in Europa Idea Forza. Si fa sempre più probabile l’idea di Europa come periferia dell’Occidente americano. Però, “per competere con la Cina, l’Occidente a guida americana ha comunque bisogno dell’Europa”.

Una singolarità europea come risveglio titanico

Oltre cinquant’anni fa Adriano Romualdi, nel libro Ordine Nuovo, scrisse: “L’alleanza militare con l’America rappresenta per gli Stati d’Europa l’ultima possibilità di impedire il definitivo accordo russo-americano ai nostri danni. Gli stessi interessi economici americani costituiscono pur sempre una garanzia contro una Yalta 1970”.

Un altro scenario potrebbe nascere sfruttando e cavalcando le dinamiche innescate dalle nuove politiche americane sostenute da un’ottica in cui convergono darwinismo sociale, “brutalità protestante” e “messianismo veterotestamentario”. Potrebbe essere, questo, uno stimolo psicologico per configurare una “singolarità europea”, un “risveglio titanico e prometeico”, animato da un mito “come forza mobilitante”.

La crisi della rappresentanza e il bisogno di partecipazione

Parlare di una nuova Europa, di una Europa politica significa, anche, parlare di “cittadinanza europea”; parlarne implica che ci si confronti con il problema della crisi della rappresentanza, della crisi dell’anima della politica, ovvero della “costante e crescente sfiducia che i cittadini di tutte le Nazioni europee mostrano per le istituzioni” indagando sulle nostre istituzioni formative. Così Ferdinando Viola e Sergio Filacchioni pongono il problema nell’intervento Cittadinanza come partecipazione politica. La sfida europea per una scuola sociale e identitaria.

L’atomizzazione sociale e il ruolo dello Stato

La percezione del voto come inutile, la scarsa centralità degli organi politici rispetto alle istituzioni economiche caratterizzano il panorama europeo. La causa profonda di questa realtà è la natura utopica della democrazia liberale di tipo delegato. Oggi i cittadini tendono a interessarsi il meno possibile alla politica, “tanto da delegarla a un parlamentare, per poter incanalare le proprie energie nella vita privata”.

Il liberalismo sembra essersi, così, concretizzato nella piena atomizzazione e privatizzazione del vissuto sociale. Ma, da un punto di vista normativo, lo Stato “o è organico, o non è”. E l’Europa ha bisogno di una dimensione statale, fondata su nuove modalità decisionali.

Una tradizione di partecipazione

Il processo decisionale dovrebbe essere “la sintesi qualitativa delle funzioni, a cui ciascuno dovrebbe poter attivamente partecipare per coinvolgere il popolo nella sovranità”. Un dover essere “assolutamente ben radicato nella tradizione europea”. Una tradizione che è sempre consistita nel “continuo superamento delle opposizioni” sulla base del “noi” che, come ha affermato Gentile, sta alla base dell’ “Io”.

Perché questo principio possa dispiegarsi pienamente occorre “l’abbandono dell’ideologia della rappresentanza” liberale e la costruzione di una nuova forma di partecipazione politica. Occorre formare cittadini e non soltanto consumatori. Ma non sono le costituzioni a fondare la realtà dei popoli: “nei giovani devono essere suscitati i Valori: coraggio, bellezza, natura”.

La scuola come fucina di cittadini attivi

La nuova scuola non può che mettere capo alla figura dell’ “intellettuale attivo, in armi, fisicamente impegnato”. Quindi “allo sport deve essere data una centralità formativa proprio nella scuola, per la sua capacità di socializzare e valorizzare gli studenti, per la sua capacità di far emergere quelle “qualità del carattere” che stanno “più in alto di quelle di un astratto intelletto o di una vana creatività artistica”.

Giovani, debito e crisi demografica

Se questo è l’obiettivo della trasformazione auspicata nella realtà europea, quali sono i ceti sociali di riferimento per forze che si muovano in questa realtà? Di questo tratta Marco Massarini partendo da questa diagnosi: “L’Europa rimane in una situazione economicamente stagnante e demograficamente preoccupante”. In effetti, “un bambino nato in Europa nel 2025 potrà godere dello stesso benessere e della stessa ricchezza di cui godeva suo nonno nato negli anni Cinquanta?” No. Non potrà. Questo bambino avrà già un debito pesante da ripagare nel corso della vita lasciatogli in eredità dalle generazioni precedenti e, di fatto, sostiene l’Autore, dovrà pagare la pensione ai suoi genitori e ai suoi nonni.

Le cause del progressivo impoverimento

La fascia più debole, in Europa, è quella dei giovani, indipendentemente dal reddito che percepiscono. Il progressivo impoverimento generale della popolazione europea ha diverse cause: “La pessima gestione della questione energetica e un fanatismo per l’ideologia “Green”, oltreché l’ideologia “Woke” da parte della classe dirigente europea”. Ma uno dei fattori più rilevanti è di carattere monetario; oggi, infatti, “il denaro di uso comune è progettato per perdere valore ogni anno che passa”.

Sicché “conservare valore nel tempo […] è diventato un compito molto più complesso, che richiede di investire, di assumersi dei rischi, di avere comprensione dei mercati finanziari e di studiare molto: cose che solo l’élite riesce realmente a padroneggiare”.

Regolamentazione e imprenditorialità soffocata

Inoltre, la classe politica europea tende a soffocare lo spirito imprenditoriale attraverso un’eccessiva regolamentazione e un “mercato dei capitali di rischio poco sviluppato e frammentato”. Il sistema finanziario europeo è completamente sbilanciato sugli istituti bancari e sull’espansione del debito. Di fronte alle infinite richieste dei regolatori non si registra un significativo accesso di grandi investitori.

Inoltre sono numerose le aziende europee che decidono di quotarsi nelle borse americane”. Ne concludiamo che senza capitalismo non eccessivamente regolato ben difficilmente l’economia europea potrebbe fare da base a uno Stato federale europeo (istruttiva, sotto questo profilo, la storia della federazione degli stati Uniti d’America, fin dalle sue origini).

Il declino del Welfare europeo

Nella vicenda dello Stato all’interno della storia europea novecentesca il Welfare è stato un fattore di notevole compattezza sociale. A Welfare e redistribuzione del reddito è dedicato l’intervento di Francesco Guarente, Gianluca Passera ed Ettore Rivabella.

I salari lordi italiani dal 1992 al 2022 sono contraddistinti per una forte stagnazione; più della metà delle famiglie “ha avuto un risparmio nullo e […] questa quota sale al 70 % per le famiglie appartenenti al quinto più basso della distribuzione del reddito e scende al 28% per quelle appartenenti al quinto più alto”.

La crisi dello Stato sociale e l’emigrazione giovanile

Ora: produzione, welfare, reddito e lavoro sono fortemente interconnessi; ma lo Stato sociale in Europa ha subito un costante ridimensionamento, con riduzione delle tutele e aumento della precarietà, con un costante aumento di una emigrazione di giovani laureati verso realtà che appaiono più appetibili.

Tecnica, politica, Stato sociale e forme di rappresentanza “sono fortemente collegate”; occorre, pertanto, “una comune e unitaria volontà di potenza europea”, a fronte dell’aggressività di Usa e Cina per riacquistare autonomia, per riappropriarsi del controllo delle fonti di approvvigionamento, affrontare la transizione energetica con progetti, investimenti, finanziamenti, competenza.

Verso una Costituzione europea

Un’Europa dei fatti, quindi. Per reggere una rinnovata struttura produttiva, economica occorre una costituzione europea; ma, scrive Giuseppe Scalici, “il nostro continente è tuttora in balia dei due imperialismi della cosiddetta Guerra Fredda”, ma deve “trasformarsi in entità statuale a tutti gli effetti”, soprattutto considerando che il conflitto di Ucraina “è una guerra condotta contro l’Europa, una piccola Yalta, con i medesimi protagonisti”.

Il percorso è duro, come mostra la bocciatura della Costituzione del 2004: “A prevalere sono le logiche e gli interessi dei singoli Stati nazionali” che, non a caso, sono autori e padroni dei Trattati, compreso il cosiddetto Trattato Costituzionale del 2004. Non che non esistano le potenzialità di uno Stato europeo, manca il soggetto politico che porti le potenzialità a divenire realtà. Manca il soggetto politico che sia in grado di dare all’Europa la forma di Stato federale perché manca una opinione pubblica politica europea che si muova nella direzione della federalizzazione, della sua statualizzazione.

Non a caso, l’Autore cita un passo tratto da Genesi e struttura della società di Giovanni Gentile nel quale si legge: “La nazione non è data dal suolo, né dalla vita comune e conseguente comunanza di tradizioni, di costumi, di linguaggio, religione, ecc. Tutto ciò non è che la materia della nazione. La quale non sarà tale se non avrà la coscienza di tale materia e […] non ne farà oggetto della propria volontà. La quale volontà, nella sua concreta attualità è lo Stato”.

Politica energetica e sovranità strategica

Uno Stato si deve fondare su una politica energetica; Gian Piero Joime nell’intervento Energia: per una nuova visione europea scrive: “Il sistema energetico globale è caratterizzato da uno stato di oligopolio energetico, costituito dal controllo, dalla produzione alla logistica, di grandi quantità di fonti energetiche fossili (petrolio, gas, carbone) da parte di un numero ristretto di Paesi e di produttori e dal controllo delle catene del valore delle materie prime critiche e delle tecnologie per le energie rinnovabili, anche queste concentrate in un ristretto numero di produttori”.

Premesso che con l’espressione “catene del valore” si intende un modello che permette di descrivere la struttura di una organizzazione come un insieme limitato di processi, va precisato che il sistema energetico globale comporta il controllo delle materie prime critiche da parte della Cina. Di fronte a questa realtà gli Stati dovranno diversificare le fonti di approvvigionamento, “investire nella ricerca dell’indipendenza energetica e rafforzare la sicurezza delle infrastrutture per ridurre il rischio di dipendenze strategiche e di crisi energetiche”.

Si presentano, qui, il nodo delle fonti fossili e il nodo delle risorse minerarie critiche. Posto che le fonti fossili rappresentano l’80% del mix energetico globale e che la Cina contribuisce per il 66% del totale delle risorse minerarie critiche, entrambi i nodi impattano sulla competizione tra Stati e tra aziende e sulla delineazione di un possibile percorso dell’Unione europea.

La sfida della transizione energetica

Quanto alla transizione energetica – altro nodo decisivo dell’economia mondiale – l’Unione europea si è avviata su questo percorso da tempo e nel 2024 le fonti rinnovabili coprivano il 47 per cento della produzione totale di elettricità, anche se l’accelerazione “politica” del processo di decarbonizzazione dell’economia pone una serie di complessità sistemiche in tutti gli aspetti della società degli Stati membri dell’Unione europea.

Occorrerà ricercare un equilibrio tra la transizione ecologica e la tutela nazionale delle catene del valore. Il fondamentale carattere della transizione ecologica europea è il Green Deal; ma diversi standard ambientali europei “possono avere effetti distributivi regressivi e aumentare le diseguaglianze sociali”. Inoltre, per le imprese e le regioni dove la catena del valore di combustibili fossili contribuisce ancora alla sicurezza dell’approvvigionamento energetico, “la transizione ecologica appare […] particolarmente impegnativa”.

Occorre, dunque, una just transition, una transizione equa, elemento integrante del Green Deal europeo, coerente con le politiche europee di coesione. Ma “lo sviluppo dei settori strategici europei dipende […] dalle materie prime critiche” fornite dalla Cina (il 98 per cento delle terre rare, il 52 per cento delle materie lavorate per le batterie, il 41 per cento di quelle per le turbine eoliche e il 50 per cento delle materie per i pannelli solari).

L’Europa fragile nel contesto globale

L’Unione europea, con il Green Deal Industrial Plan, ha risposto al predominio cinese, cercando di creare condizioni più favorevoli per progetti e investimenti nella transizione energetica (Next-Zero Industry Act), cercando di adeguare le norme sugli aiuti di Stato per velocizzarle e semplificarle, con aiuti mirati a impianti di produzione nelle catene di valore strategiche delle tecnologie pulite degli Stati membri, innescando una risposta “debole rispetto alle aggressive strategie commerciali cinesi e al nuovo protezionismo americano”. Il che implica che senza un esecutivo realmente statale sarà difficile realizzare una conveniente risposta su questo piano.

Il divario con gli Stati Uniti

L’Europa, oggi, è fragile, scrive Vittorio De Pedys. La distanza tra Europa e Stati Uniti “sta aumentando in maniera velocissima ed è in ulteriore accelerazione”. Come sintetizza l’Autore: “Noi regoliamo e gli altri fanno. Male o bene non importa, ma fanno”.

Un esempio: “Il totale del Venture Capital relativo ad operazioni riguardanti nuove iniziative è del 57% negli Stati Uniti e solo del 16% in Europa; all’interno di questa macroarea il venture capital relativo a finanziamenti per nuove iniziative nella intelligenza artificiale rappresenta il 74% negli Stati Uniti, mentre è il 9% in Europa”.

Disparità fiscali e mercantili

Per quanto concerne i dazi, “i dazi all’importazione alla frontiera americana sono il 3%, nella U.E. sono il 5 e in Cina sono l’8; sulle automobili l’Unione europea ha un dazio del 10 per cento, gli Stati Uniti il 2,5%, quindi è certamente difficile andare a dare lezioni di libero mercato su questi argomenti”.

Per quanto concerne le politiche fiscali, “tra il 2009 e il 2024 abbiamo immesso fiscalmente nell’economia 2500 miliardi, mentre gli Stati Uniti 14000”. I due capitalismi, quello europeo e quello statunitense non funzionano allo stesso modo: per certi aspetti, infatti, negli States esiste una economia sociale “in cui tutti i lavoratori possono essere azionisti delle aziende, sia le loro che quelle concorrenti, con tutte le opportunità che questo particolare scenario può aprire”.

Ma l’attuale congiuntura “sta acuendo ulteriormente le distanze tra i vari Paesi dell’Unione, soprattutto all’interno degli stessi la spaccatura è molto chiara tra le categorie protette e quelle non protette, cioè quelle esposte alla concorrenza”. Va osservato, inoltre, che “il Pil europeo rispetto al Pil mondiale nel 2005 rappresentava il 35 per cento del totale: oggi è il 15 per cento, quindi è evidente che si è fermato tutto”.

Verso un’integrazione politica

Ma la pressione per cambiare le cose è molto forte, sia dal punto di vista del business, sia dal punto di vista industriale, rispetto al lato politico. L’integrazione europea va perseguita perché esercito europeo, investimenti sull’intelligenza artificiale non possono essere fatti se non al livello di una integrazione forte, cioè politica. Un’area che potrebbe essere comune è la tassazione, sulla quale i governi possono intervenire; andrebbero, inoltre, armonizzate le normative relative ai capitali e al sistema bancario.

Occorre che gli investitori investano in Europa, per l’Europa; ma questo è possibile soltanto se il sistema di investimento è garantito, nel suo funzionamento, da uno Stato federale europeo.

Il soggetto politico necessario

Qual è il soggetto politico che tende alla realizzazione delle condizioni per una Europa-Stato? A questa domanda è dedicato l’intervento di Marco Scatarzi e Giancarlo Ferrara Quale soggetto politico per l’Europa di domani?.

Occorre immaginare “un soggetto politico in perenne trasformazione, che sia al tempo stesso presupposto e veicolo, mezzo e principio, motore e fondamento del cambiamento in atto”. Il problema è il passaggio dal burocratismo alla politica, a una “tensione emotiva e delle idee-forza che mobilitano”. Questo soggetto politico dovrà passare dall’amministrazione delle cose al governo delle persone; ma la governance europea è nata per controllare uno spazio commerciale; questo spazio deve essere politicizzato, vale a dire un rapido ritorno alla decisione, alla sovranità effettiva e alla volontà di potenza.

Europa-Stato federale

La sovranità va introdotta in ambito energetico, alimentare, infrastrutturale, commerciale, monetario, militare e via dicendo, creando un “nazionalismo europeo”. Quello che serve “è uno spazio geografico e politico insieme, che pensi e lavori come un corpo unico, capace di trattare sui mercati da soggetto unitario, di difendere i propri confini con azioni trasversali, di produrre piani industriali coordinati, di approcciarsi al dominio della tecnica in virtù di una strategia di lungo corso, di armarsi per operare una deterrenza attiva, di prosperare nell’edificazione di infrastrutture condivise, di bastare a sé stesso laddove possibile, di operare percorsi di suasione ed affermazione in ogni campo dell’esistente”. Come forma politica esso sarà “espressione di una chiara visione del mondo” sulla base della quale “fare grande l’Europa”, metterla in condizione di decidere del proprio futuro.

Con le parole di Olivier Eichenlaub: “Ciò che intendiamo per Europa potenza non si fonda soltanto su dei criteri diplomatici classici come la forza, il confronto, la coercizione o la capacità di imporre e di distruggere per riprendere la formula di Raymond Aron. […] Questa potenza, in definitiva, è semplicemente la capacità di vivere, da popoli liberi e di fare collettivamente del nostro destino ciò che vogliamo”.

Dunque, a una voce: “Europa-Stato federale“!

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di Francesco Ingravalle - 22 Giugno 2025