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La flottiglia della vanità: Greta Thunberg e Rima Hassan in crociera a Gaza tra kefiah al vento e storie su Instagram
Selfie, tuffi e retorica militante: la traversata delle compagne green verso Gaza somiglia più a un set social che a un’operazione umanitaria
In coperta si scattano selfie, sotto coperta si improvvisano tour guidati alle cabine: una ha perfino la «vista mare dal boccaporto», come annuncia con entusiasmo l’europarlamentare Rima Hassan sui social, mostrando la stanza che condivide con Greta Thunberg. Altro che missione umanitaria: a bordo del Madleen si gira una miniserie social in diretta dal Mediterraneo, con sceneggiatura da reality e colonna sonora, con chitarra, unplugged al tramonto. Doveva essere una spedizione verso la Striscia di Gaza per «denunciare il genocidio in corso» e chiedere un «corridoio umanitario». Invece, siamo davanti all’ennesimo episodio, stavolta in crociera però, della soap militante: “Flottiglia della libertà – episodio Instagram”.
Militanti in crociera: Greta Thunberg e Rima Hassan verso Gaza
La barca – diciamolo subito – è lunga appena 18 metri. Nessun container di aiuti, né attrezzature sanitarie degne di questo nome. A bordo: dodici attivisti, due giornalisti, una manciata di bandiere, kefiah svolazzanti e un succo d’ananas ben documentato. Tra i passeggeri: l’eurodeputata di La France Insoumise, vicinissima di a Jean-Luc Mélenchon, Rima Hassan, Greta Thunberg, l’attore Liam Cunningham – noto per Game of Thrones – e un gruppetto di militanti francesi della sinistra radicale. Le immagini postate sembrano uscite da un laboratorio teatrale sul mare più che da una missione d’urgenza. «Abbiamo fatto cinque ore di formazione per prepararci agli scenari possibili», dichiara Rima. Tre le ipotesi: arrivare a Gaza, essere fermati o venire attaccati. E in caso di attacco? «Affondiamo. Ma possiamo resistere sei-otto ore con i giubbotti».
Mini yacht, maxi messinscena
Chi volesse seguire l’impresa può scaricare un’app nautica per tracciare il Madleen. Rima lo definisce «coinvolgimento dei cittadini». In realtà è il lancio perfetto per un documentario o un aggiornamento live del feed Instagram. Le immagini mostrano pranzi condivisi, tuffi, e riflessioni “geostrategiche” tra una risata e un sorso di succo. E se la tragedia di Gaza è reale, l’operazione mediatica pure. Ma mentre la protezione civile palestinese recupera corpi sotto le macerie, sul veliero si fa storytelling.
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Eppure, non è la prima flottiglia per Gaza e non sarà l’ultima a non arrivarci. Nel 2010, dieci morti in un assalto israeliano. Da allora, l’evento si ripete. Il Madleen è salpato da Catania con un carico simbolico più che materiale. Gli stessi organizzatori lo definiscono infatti «un gesto simbolico». Nessuno, nemmeno tra i più speranzosi, crede che la barca raggiungerà Gaza. E se anche ci arrivasse, cambierebbe poco. L’unico traguardo concreto è la visibilità.
“Anche se l’entità sionista cerca di farci del male…”
Le dichiarazioni si susseguono. Il brasiliano Thiago Avila assicura: «Anche se l’entità sionista cerca di farci del male, faremo ciò per cui siamo venuti». Greta Thunberg proclama: «Non è mai troppo tardi per stare dalla parte giusta della Storia», e ammonisce: «I vostri fallimenti resteranno nella memoria e il mondo ne è testimone». Siamo a metà strada tra Che Guevara e Chiara Ferragni. Ma almeno Che non faceva i reels. L’umanitarismo da social non salva nessuno. Fa solo numeri… da circo.
Quando la scena prevale sulla sostanza
Nel frattempo, Israele recupera i corpi di due ostaggi: Judi Weinstein Haggai e Gadi Haggai, uccisi da Hamas il 7 ottobre. Sulla Striscia si continua a morire sotto le bombe e sotto Hamas. Ma delle milizie terroriste poco si parla. I loro crimini – l’uso dei civili come scudi umani, gli stupri, l’eliminazione degli oppositori – svaniscono tra le foto patinate sul ponte di comando.
Donald Trump, mentre i compagni vanno in gita, rilancia su Truth Social la testimonianza dell’ex ostaggio Omer Shem Tov: «I miei carcerieri avevano paura del ritorno di Trump e speravano nella Harris. Quando hanno saputo della sua vittoria, hanno smesso di insultarmi, mi davano più cibo». Parole che raccontano più di mille post in controluce.
Il nulla travestito da coraggio
Insomma, questa traversata non è un atto di coraggio, ma una messinscena. Non è una missione umanitaria, ma marketing politico travestito da attivismo. Il problema non è solo l’irrilevanza materiale. È la serietà tradita da chi trasforma la tragedia in palcoscenico. Gaza non è un set. La politica non è un filtro di Instagram. L’umanità non si misura in like.
Il Madleen non porterà aiuti. Ma intanto i suoi passeggeri torneranno con migliaia di nuovi follower.