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Intervista

“Il vice sceriffo” è già in sella: Bechis racconta J.D. Vance, il matador della nuova destra americana

Da Trump a Musk, dalla Rust Belt alle stanze del potere: il vicepresidente è il baricentro della destra che cambia. Franco Bechis lo spiega, prima in un libro e ora al Secolo d'Italia

Esteri - di Alice Carrazza - 8 Giugno 2025 alle 07:00

La destra americana non è in crisi. È in trasformazione. Lo scontro esploso giovedì tra Donald Trump ed Elon Musk ha evidenziato una divergenza crescente tra due visioni del futuro: da un lato il populismo sociale del mondo MAGA, dall’altro l’élite tecnologica e cattolica della Silicon Valley. In mezzo, a tenere insieme i pezzi, c’è lui: J.D. Vance, il vicepresidente degli Stati Uniti, cattolico convertito, ex senatore dell’Ohio, e volto nuovo della destra statunitense.

J.D. Vance: il vice sceriffo

Per capire cosa sta accadendo davvero, abbiamo intervistato Franco Bechis, autore del libro J.D. Vance. Il vice sceriffo, che ne ripercorre la parabola pubblica e personale: un’ascesa che affonda le radici in una storia dura, americana fino al midollo, dove povertà, fede, ambizione e strategie culturali si fondono in una figura destinata a segnare il dopo-Trump.

Trump e Musk, uno scontro inevitabile

«Lo scontro – tra il patron high tech e il tycoon – era nell’aria da tempo», spiega Bechis. «Trump vuole rilanciare l’industria tradizionale americana, quella dei motori e dell’acciaio. Musk, con Tesla e la sua idea di innovazione radicale, è in rotta di collisione con questa visione. Ma non si tratta solo di auto: è una frattura culturale. Trump parla al cuore della Rust Belt, Musk all’intelligenza selettiva della Silicon Valley».

Giovedì, in uno scambio infuocato su X, Musk ha sottolineato che, in caso di impeachment di Trump, la presidenza passerebbe a Vance. Una constatazione tecnica, certo. Ma per molti osservatori, è anche un segnale: il campo della destra è aperto. E Vance è al centro.

Vance non è subalterno. È il matador

Nelle celebre serie House of Cards, Frank Underwood diceva: “Ci sono due tipi di vicepresidenti: gli zerbini e i matador. Secondo te quale intendo essere?”. Una battuta che oggi sembra cucita addosso a J.D. Vance. E la risposta è chiara.

Lui non è un vice decorativo. È il matador silenzioso, che non urla ma incide. Non sfida Trump, ma ne rafforza la visione. Non contraddice Musk, ma lo interpreta. «È stato lui – osserva Bechis – a dare profondità strategica a molte intuizioni del trumpismo. È l’uomo che può garantire continuità senza scivolare nella caricatura».

Il figlio dell’America profonda

Il libro di Bechis parte da lontano. Non dai salotti di Washington, ma da Middletown, Ohio. Povertà, instabilità familiare, una madre tossicodipendente, una nonna “ruvida” ma salvifica che gli insegna a resistere. Da lì, un’ascesa fatta di studio feroce, autodisciplina e voglia di riscatto.

Vance non è nato con la cravatta. «È figlio dell’America – dice Bechis – quella che ha conosciuto la miseria e la rabbia. E quando parla di famiglia, di lavoro, di comunità».

Thiel, Narya e la tecnodestra

Una svolta arriva con l’incontro con Peter Thiel, il miliardario visionario cofondatore di PayPal, appassionato di Tolkien e convinto che la fine del mondo inizierà ovunque, tranne che in Nuova Zelanda, dove ha comprato perfino un bunker. Ma è anche l’uomo che ha visto in Vance del potenziale.

«È Thiel a finanziare Narya Capital, la venture capital di Vance – racconta Bechis – con 93 milioni di dollari. Ma non è solo finanza: è una strategia per ricostruire le fondamenta economiche e morali dell’America profonda».

Una fede letta, non predicata

Al centro del libro poi c’è la conversione al cattolicesimo di Vance. Non un fulmine spirituale, ma un cammino intellettuale. A segnare il punto di svolta sono le letture suggerite da sacerdoti amici, in particolare quelle su Sant’Agostino.

«Vance – spiega l’autore – non è un cattolico agostiniano. La sua visione del potere, della comunità, della fragilità umana, è profondamente radicata in quell’universo. È uno che pensa la politica in termini di ordine e responsabilità».

Da qui il paragone con Papa Leone XIV, anch’egli agostiniano, guardato con sospetto dal mondo Maga e invece ben visto nella Silicon Valley cattolica. Un equilibrio, quello tra radicamento e visione, che Vance incarna meglio di chiunque altro oggi nella destra americana.

Ma non tutto è armonia tra Vance e la Chiesa. Già con Papa Francesco le divergenze erano nette, e con Papa Leone potrebbero riemergere: il punto critico è l’immigrazione.

Immigrazione e lavoro: le vere fratture

La visione di Vance su questo tema non è quella della destra identitaria, ma è chiara. «Dice: “Non metto in dubbio che siano brave persone. Ma quando metti insieme povertà interna e povertà importata, a perdere sono sempre gli ultimi americani”. Il nodo è quello della globalizzazione».

È qui che la sua visione sociale entra potenzialmente in rotta di collisione con la dottrina più universalista della Chiesa. Vance parla da economista del territorio, da figlio del Midwest, da politico che ha visto intere comunità scomparire sotto il peso di una globalizzazione senza freni.

«È la stessa critica al sistema globalista– osserva Bechis – che portò Trump al potere. Vance la traduce in termini più sistemici: non più solo muri, ma rigenerazione economica e culturale».

Ocasio-Cortez, carisma senza struttura?

L’unica figura nella sinistra americana in grado di catalizzare entusiasmo e attenzione generazionale pare essere Alexandria Ocasio-Cortez. Ma può davvero reggere il confronto con Vance? È una sfidante all’altezza o solo un’icona di superficie? «Il punto è che lei, come tutti i democratici, appare ancora legata a un linguaggio incentrato solo ed esclusivamente sui diritti civili».

È qui che la sinistra americana si mostra in affanno. «Ha smesso di parlare di lavoro, famiglia, coesione». E sommando minoranze non si costruisce una maggioranza. «Spesso le istanze di quelle minoranze non convergono nemmeno tra loro. Oggi, chi si occupa del destino della maggioranza è la destra».

E l’Europa guarda, ma non comprende

Se la sinistra americana arranca, quella europea fatica persino a leggere ciò che accade Oltreoceano. «Crede ancora che Trump sia un folle – commenta Bechis – Non hanno capito che, per quanto possa sembra inusuale, quella del presidente è una tattica per portare a casa i risultati».

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di Alice Carrazza - 8 Giugno 2025