
Il senso del tax credit
I film e i soldi: è vero, è una questione politica. Ma non nel senso che intendono i petulanti e i filosofi della domenica
Il caso Kaufmann ha fatto cadere l'ultimo velo sul perverso meccanismo dei finanziamenti a pioggia al cinema, che per decenni è stato asservito a logiche che non c'entravano nulla con la creatività. Ora si può ripartire dal coraggio di dare davvero sostegno al merito, anche nella settima arte
Per mettere assieme una pellicola cinematografica, vulgo film, occorrono: un’idea; un soggetto; una sceneggiatura; un regista; degli attori; dei tecnici specializzati; delle sale cinematografiche e del pubblico. Per ognuna di queste operazioni, occorre il vil denaro, ovvero stercor Satanae, ma senza il quale l’ideatore dell’idea non mangia e non scrive, la pellicola non si gira… eccetera… e alla fine il pubblico non riempie le sale.
E attenti a cosette che spesso non vengono insegnate a scuola: l’allestimento di una tragedia greca era compito di un arconte, il quale imponeva una tassa (liturgia) a un riccone come ad altri omologhi il varo di una nave da guerra; e nella storia ci furono poeti benestanti e altri meno, però solo nella “Bohème” ce n’è uno alla fame. Il mecenatismo, quale che fossero le motivazioni e le finalità, fu sempre un fatto politico nel senso più nobile del termine… e qualche volta nel senso meno nobile e peggio.
C’è voluto il caso di uno sbandato e sfaldato, e (presunto) assassino perché sapessimo ufficialmente che a tipi come Kaufmann (presunto!) hanno elargito 860.000 euro per un film che non solo non è mai stato girato, ma se lo fosse stato, avrebbe fatto sussultare i fratelli Lumière nella tomba, e un secolo e mezzo di glorioso cinema. Eppure quei soldi sono stati stanziati e… e qui mi fermo, sperando in inchieste rapidissime, immediate, e che individuino le personali responsabilità, badando bene alle date di concessione e di materiale rimessa; e accertando dove sono finiti quei soldi, se solo quel losco figuro ne ha fruito, o altri.
Detto questo per fare il politicamente corretto, è ora di parlare di un sistema che ha sicuramente tra i colpevoli i politici, ma che non potrebbe esistere e prosperare senza una rete di connivenze o di esplicite complicità tra burocrati eccetera. Anzi, paradossalmente, sono più colpevoli i passacarte che preparano le pratiche e le consegnano, magari formalmente regolari, al politico di precario turno. Gli inquirenti e i giudici facciano nomi e, possibilmente, condannino; e, cosa cui terrei di più, recuperino i denari; e se sono andati in malora, sequestrino ai condannati anche le scarpe.
Detto anche questo, veniamo all’ideologia che per decenni ha ispirato e sostenuto e quasi legittimato il perverso meccanismo. Si sa che moltissimi film, robustamente sostenuti, o non hanno mai avuto inizio, o, se usciti, non hanno mai avuto uno spettatore… a parte qualche semiclandestino festival e cineforum fantozziani. E non lo hanno perché grondanti di impataccate filosofie della domenica, però privi di idee, soggetti, sceneggiature, dialoghi, attori, scenografie… Il teatro, e la sua forma moderna del cinema e della tv, non devono essere noiosi predicozzi buonisti, ma trasmettere emozioni e affermare l’universalità di alcune particolari condizioni umane. Siamo tutti Amleto, prima o poi!
È una questione di creatività, perciò non basterebbe eliminare la semisecolare zavorra gramsciana di sinistra o di qualcosa di simile. Però mi si lasci affermare che se al posto di film di sinistra mettessimo film di destra o di centro o un po’ di tutto per tutti accontentare, il risultato, passati epidermici fugaci entusiasmi, non sarebbe migliore sotto l’aspetto dell’arte. Se c’è una soluzione, è semplicemente favorire un film, quindi un’idea, una sceneggiatura, una regia, degli attori… attori, mica facce inespressive e belline. Che film? Beh, la storia italiana offre argomenti a milioni e almeno dai tempi del bisnonno del re Italo e fino ai più recenti.
Il tutto, senza preoccuparsi di essere politicamente corretti: una situazione da lasciare ai rapidi momenti delle cerimonie ufficiali. Volete un esempio? Il lavoro del compianto Pasquale Squitieri “E li chiamarono briganti” sul 1860, che ha subito una censura non a 360, a 720 gradi e oltre; giacché ne ha per tutti: Borbone e Savoia, Cialdini e Antonelli, briganti e militari, borghesi e contadini e zona grigia… con qualche gradita licenza poetica, se no era un documentario. Non si può fare lo stesso con qualsiasi altro argomento storico, per dirne una, sul 1945?
Interessante è anche la sociologia italiana, non di meno, anche senza scivolare sempre sulla commedia; e che dire degli innumerevoli e intriganti misteri d’Italia? Ci saranno, spero, proposte da parte della cultura italiana. E chi le dovrebbe giudicare? Certo non quelli che danno soldi ai passanti con faccia patibolare, carta d’identità fasulla e basisti locali… Non basta, ripeto, ripulire; bisogna rinfrescare l’ambiente davvero nei metodi e nella mentalità e nei criteri di scelta.
E qui interviene la politica nel senso più alto; e che, alla fine di ogni procedura, sappia decidere. Decidere significa, letteralmente, tagliare; ma si tagliano i rami secchi e marci, non quelli buoni. C’è anche un cinema indipendente e di piccole case di produzione oneste, che può riservare utili e vantaggiose sorprese. E ci sono autori e registi che meritano attenzione. E ci vogliano soldi, ovvio; soldi ben spesi, non sperperati né lasciati cadere a pioggia per tacitare i petulanti.