
Vino nuovo in otri vecchi
Giusto cambiare la Costituzione sui referendum: nel 2025 di firme ne servono 2 milioni, altro che 500mila
Le cose cambiano e la Carta non è una tavola divina, ma un testo scritto dagli uomini in un tempo preciso: le indicazioni sui quesiti sono solo l'ultimo esempio di un aggiornamento necessario. Serve il coraggio delle riforme
Accenno, a mo’ di esempio, ai recenti falliti referendum. È stato già detto tutto, e voglio solo aggiungere che quando nel 1948 si stabilì la raccolta di 500.000 firme, era ancora una cifra notevole e per l’analfabetismo e per difficoltà di comunicazioni. Oggi si raccolgono in pochi giorni, perciò occorre che un referendum sia presentato da almeno… secondo me, due milioni; fermo restando il quorum del 50%+1. Niente di straordinario: 2.000.000 è un numero da 2025, e non più da 1948.
Vino nuovo in otri vecchi è un aforisma evangelico, ma, come molti insegnamenti di Gesù, trova applicazione sia nell’eternamente stabile Regno di Dio, sia nel continuamente mutevole dominio di Cesare, e nella vita quotidiana. Gli otri, strumento ormai disusato e che si ricavava da pelle di capra, prima o poi invecchiavano, e con loro si guastava il vino. Metafora chiarissima della vita umana sia individuale sia comunitaria e politica: e aiuta anche a distinguere tra la Tradizione, che è senza tempo, e la conservazione del desueto, spesso ostinata e insensata. Insomma, quando l’otre non funziona, lo si getta via e se ne piglia un altro, magari migliore.
Vale anche per le umane istituzioni, che spesso restano mentre le cose cambiano; e non va bene. Accade a volte che se ne pensino e attuino altre; però tra le istituzioni X e quelle Y possono trascorrere anni ambigui, in cui quelle X restano sulla carta, e nemmeno si lasciano facilmente modificare, mentre le cose effettuali mutano, senza tuttavia ancora diventare definitivamente Y. In questo lasso di tempo e di nebbiose circostanze, l’otre invecchia, però nessuno si decide a sostituirlo. Non sono mai avvenute, del resto, riforme radicali senza qualcosa di traumatico. Lasciatemelo dire che, senza la guerra o vincendola, oggi saremmo nell’anno CIII del fascismo e anno 164 della monarchia; ed è banalissimo che sarebbe tutt’un altro fascismo, e non parliamo di chi farebbe oggi il re imperatore… Oppure, esempio stavolta non immaginario, l’Urss era già morente ai tempi dei vegliardi tipo Andropov (1982-4), però Andropov ufficialmente era considerato un severissimo e saldissimo dittatore come fosse Stalin. Eccetera.
Le cose cambiano. Nel 2025, se io invio una Pec, vale Raccomandata con ricevuta di ritorno, e posso trattare affari anche molto impegnativi. Perché non posso votare da casa, s’intende via Pec o altro modo certificato? Un bel risparmio, tra l’altro, di tempo e di soldi. E si possono argomentare tante altre logiche riforme. La Carta del 1948 non è i Dieci Comandamenti scesi dal Sinai o le Dodici Tavole… senza scordare che i Comandamenti sono stati trasmessi in copia, e le Tavole in un latino di almeno due secoli dopo.
Qualcuno parla della Carta del 1948 come fosse stata dettata dalla ninfa Egeria a Numa Pompilio (con americanismo di “Padri Costituenti”, poi anche “Madri”), e come contasse millenni, quando fu un documento votato da esseri umani, ed esseri umani di quegli anni con mentalità e linguaggio dell’epoca, tra cui, verbigrazia, la parola “razza”, art. 3. Che fine hanno fatto gli articoli 39 e 40 rimasti sulla… carta? E l’art. 7, che, in evidente contraddizione con il 3, mette i Patti Lateranensi tra i Principi fondamentali, quando nel 1984 è stato modificato il Concordato del ’29, e quasi in silenzio? E quelli che pigliano alla lettera le prime cinque parole dell’art. 11 (“l’Italia ripudia la guerra”) ignorano che l’art. 11 di parole contiene una settantina, e, tra le righe, autorizza tranquillamente a inviare truppe combattenti persino a Timor Est: offro un caffè a chi sa dove sia. E, a proposito di combattenti, l’art. 52 non dico autorizza ma obbliga a strenuamente pugnare per “difesa della Patria sacro dovere”; obbliga tutti, però la leva è stata di fatto abolita; e tutti e tutte, ma il 52 era solo per i maschi, giacché nel 1948 le soldatesse non erano immaginabili, e oggi sono, e lodevolmente, in prima linea. Come cambiano le cose, anche per il sesso gentile!
Del resto, la Carta stessa (art. 138) prevede, con cautela, modifiche; e ne sono avvenute, e spesso a caso ed estemporaneamente. E c’è anche che nel frattempo tutti i partiti rappresentati il 2 giugno 1946 sono spariti anche dalla memoria; e non solo le loro sigle, ma interamente le loro ideologie: chi si ricorda del Pri che, con quattro voti, era presente in tutti i governi? Ed è facile costatare che tantissimi scolarizzati e laureati sconoscono, letteralmente, gli avvenimenti dal 1940 al ’46 (e anche dopo e prima); e magari… dove erano, prima del 1943, i suddetti Madri e Padri. Io lo so, e taccio per rispetto della morte. E diciamo anche piccolezze: vi ricordate quando hanno dovunque costruito costose e imponenti Preture e poi hanno abolito la Pretura con annessi palazzi? Ah, ci fu pure una commissione D’Alema, clamorosamente caduta nel vuoto più torricelliano, che doveva riformare anche la forma del quadrato, e non riformò manco il colore delle tendine!
Sed fugit interea, fugit irreparabile tempus… canta Virgilio; cioè il tempo passa, e le cose cambiano; e cambiano da sole, con o senza intervento consapevole. Meglio se con, penso, e trovando istituzioni e norme del vivere che siano del 2025, e funzionino a beneficio di tutti, o almeno dei più. Ogni riforma, come ogni novità, troverà mugugni quando non palesi opposizioni: non è certo una buona ragione per rinviarle; e il rinvio non risolve, ma accresce il danno e il pericolo.
Lo stesso per l’Europa poco Unita.