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Gaza, uccisi per raccontare: 225 giornalisti caduti sotto le bombe. Mattarella: “Sempre più conflitti senza regole né misura”

Mentre Israele intensifica le operazioni militari nella Striscia e sigla con la Germania il più grande accordo di difesa della sua storia, Gaza si trasforma nel cimitero della stampa mondiale, tra giornalisti uccisi, ospedali colpiti e bambini piegati dalla fame

Esteri - di Alice Carrazza - 5 Giugno 2025 alle 19:47

La guerra a Gaza non è solo un inferno per civili, soldati e miliziani. È diventata, dati alla mano, il più vasto cimitero per la stampa mondiale. Dal 7 ottobre 2023, giorno dell’attacco di Hamas in Israele, sono 225 i giornalisti uccisi nella Striscia, secondo quanto denunciato dal Sindacato dei giornalisti palestinesi. A cadere, nell’ultimo attacco contro l’ospedale al-Ahli di Gaza City, sono stati tre operatori dei media. Uno di loro, Ismail Badr, lavorava per Palestine Today, rete affiliata alla Jihad islamica. Un secondo, Suleiman Hajaj, è stato identificato da Al Jazeera tra le vittime. La terza, secondo fonti locali, era anch’essa impegnata nella copertura dell’assedio.

Giornalismo sotto tiro sulla Striscia di Gaza

«È una guerra più ampia contro il giornalismo e un tentativo di sopprimere la verità», afferma la nota del sindacato palestinese, che denuncia la distruzione di 115 strutture mediatiche, comprese agenzie stampa, stazioni radio e sedi di televisioni locali. Gaza, da mesi, è priva di qualsiasi zona franca: l’informazione indipendente diventa una pratica eroica, in mezzo a bombe e detriti.

Dall’Italia si leva così anche la voce del presidente della Repubblica Sergio Mattarella che, pur senza menzionare apertamente Gaza, lancia il messaggio: «Gravi attacchi in atto in tante parti del pianeta colpiscono, in modo drammatico, diritti umani fondamentali. Sempre più si ripropone la forza come misura dei rapporti tra gli Stati, anziché il diritto. Le popolazioni civili sono vittime di conflitti armati senza regole e senza misura». Parole che, tradotte dal lessico quirinalizio, sono condanna netta a una risposta considerata sproporzionata.

Le cifre della guerra, le verità opache

Oltre 54.000 i morti palestinesi secondo il Ministero della sanità di Gaza — controllato da Hamas. Di questi, almeno la metà sarebbero donne e bambini. Cifre inverificabili ma ripetute da giorni senza smentite efficaci. Nell’ultima settimana, solo giovedì, almeno 23 persone sono state uccise da raid israeliani, tra cui i tre giornalisti.

L’Idf insiste comunque sulla legittimità dei bersagli: «Nel cortile dell’ospedale al-Ahli era attivo un centro operativo della Jihad islamica», hanno ribadito dopo l’attacco, «veniva utilizzato per pianificare attacchi contro truppe e civili israeliani». Le immagini satellitari mostrano presidi armati e movimenti di uomini, ma l’opinione pubblica internazionale, più che ai dettagli strategici, guarda oggi ai volti sfigurati dei piccoli feriti.

Secondo un nuovo rapporto pubblicato dalle Nazioni unite poi, il numero di bambini colpiti da malnutrizione acuta a Gaza è quasi triplicato da febbraio. Il 5,8% dei circa 50.000 sotto i cinque anni esaminati nella seconda metà di maggio soffre la fame, con un incremento anche dei casi gravi.

La guerra parallela degli aiuti: la GHF e le milizie sponsorizzate

In parallelo alla guerra convenzionale, si combatte un conflitto logistico per la gestione degli aiuti. La Gaza humanitarian foundation (Ghf), sostenuta dagli Stati Uniti e operante con il benestare di Israele, ha riaperto due centri di distribuzione dopo una giornata di chiusura dovuta a «interventi di manutenzione e riparazione». In realtà, la manutenzione era dettata anche dai fucili: martedì nella zona di Deir al-Balah diversi autisti di camion umanitari sono stati uccisi, altri feriti o rapiti.

Proprio qui entra in scena una nuova milizia, quella guidata da Yasser Abu Shabab, un nome che circola sempre più spesso nei bollettini riservati. Secondo Haaretz e Times of Israel, si tratta di un gruppo armato composto da circa 100 uomini, attivo nel sud della Striscia e armato direttamente dall’esercito israeliano con armi sequestrate ad Hamas. Abu Shabab, noto per traffici e razzie, ora distribuisce aiuti con giubbetto antiproiettile e bandiera palestinese, spalleggiato però dallo Stato ebraico. L’ex ministro della Difesa israeliano Avigdor Lieberman lo definisce addirittura «vicino all’Isis» e accusa Benjamin Netanyahu di complicità «con il gruppo di criminali».

Ostaggi e messaggi: il linguaggio delle trincee

Sul fronte degli ostaggi, l’ultimo aggiornamento riporta che 56 sono ancora nelle mani di Hamas, ma solo 23 si presume siano in vita. Due corpi — Judith Weinstein e Gad Haggai — sono stati restituiti. «Continueremo a fare tutto ciò che è in nostro potere per riportare indietro dall’inferno i nostri fratelli e sorelle», ha scritto il presidente israeliano Isaac Herzog su X.

Il veto americano e la paralisi all’Onu

Mercoledì, inoltre, al Consiglio di sicurezza dell’Onu, gli Stati Uniti hanno posto il veto sull’unica parola che per molti ha ancora senso: «cessate il fuoco». I restanti 14 membri hanno votato a favore. L’ambasciatrice americana Dorothy Shea ha spiegato: «Non sosterremo alcuna misura che non condanni Hamas e non ne chieda il disarmo e il ritiro da Gaza».

Un no secco. Motivato, sì, ma che spezza l’illusione di un consenso globale a deporre le armi. «Basta con la sofferenza dei civili», ha tuonato il rappresentante sloveno Samuel Žbogar.

Berlino, il più grande accordo militare mai siglato

È notizia recente l’avvio delle fasi preparatorie tra lo Stato di Israele e la Germania per la consegna del sistema di difesa aerea Arrow 3 — da quattro miliardi di dollari — nell’ambito del più grande accordo militare mai siglato tra i due Paesi. Una sessione preliminare si è tenuta a Berlino, con la partecipazione di Moshe Patel, capo dell’Organizzazione israeliana per la difesa missilistica. Le aziende tedesche Iabg e Mbda lavoreranno all’integrazione e all’infrastruttura operativa.

Durante una conferenza con il ministro israeliano Gideon Saar, il ministro degli Esteri tedesco Johann Wadephul ha criticato duramente le operazioni israeliane su Gaza e la decisione di autorizzare nuovi insediamenti in Cisgiordania. «È anche quanto stabilito dal diritto internazionale vigente», ha dichiarato, aggiungendo che la prospettiva dei due Stati appare sempre più remota. Tuttavia, Wadephul ha confermato che la Germania continuerà a fornire armi a Israele, sottolineando il diritto del Paese alla propria autodifesa.

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di Alice Carrazza - 5 Giugno 2025