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«Attrazione di cervelli e di talenti? L’Italia c’è. Ed è un bene per tutta Europa». Parla Anna Maria Bernini

L'intervista

«Attrazione di cervelli e di talenti? L’Italia c’è. Ed è un bene per tutta Europa». Parla Anna Maria Bernini

Il ministro dell'Università Anna Maria Bernini spiega al Secolo d'Italia come e perché l'accademia italiana è pronta a diventare il vero catalizzatore per scienziati e ricercatori provenienti da tutte le parti del mondo

Interviste - di Annamaria Gravino - 2 Giugno 2025 alle 07:00

Un governo al servizio, come mai prima d’ora, dell’eccellenza delle università italiane: pronte ad attrarre a loro volta il meglio della ricerca internazionale e a recitare un ruolo da protagonista nella diplomazia culturale del Piano Mattei. Anna Maria Bernini, ministro dell’Università e della Ricerca, affronta con il Secolo d’Italia i nodi principali che legano il mondo accademico e scientifico a tutte le principali sfide che l’Italia sta affrontando.

Ministro, una sua valutazione su quello che sta accadendo negli Usa e l’atteggiamento di Donald Trump nei confronti degli atenei?

«Per quel che ci riguarda le università rappresentano spazi di libertà, cultura, spirito critico, cosmopolitismo. Insomma, luoghi dove non si acquisiscono solo nozioni ma, proprio nella libertà e nel confronto, si rafforzano le fondamenta della democrazia e della convivenza. Sono i valori dell’Europa e della Repubblica italiana, la cui festa abbiamo celebrato proprio il 2 giugno».

Negli Usa si registra anche un taglio ai fondi per la ricerca. Come giudica questa tendenza?

«I tagli alla ricerca non sono mai un bene, ovunque si facciano, perché sono tagli al futuro delle nostre società. Soprattutto in un mondo così complesso  e, al tempo stesso, interconnesso, la ricerca è un pilastro per reggere alle sfide che le democrazie occidentali hanno di fronte. E in un mondo segnato dalla competizione occorre rafforzare i terreni di cooperazione: la ricerca ne è uno dei principali per eccellenza».

A fronte di questa situazione c’è la possibilità che i ricercatori ora negli Usa si trasferiscano su questa sponda dell’Oceano. L’Italia è pronta?

«La mia risposta è un sì convinto. L’Italia c’è. E non lo dico sulla base dei fatti recenti, ma per una decisione strategica del Governo e del mio ministero intrapresa già negli anni scorsi. La scelta è stata di dare un impulso ai centri e alle infrastrutture di ricerca come mai fatto prima; questi sono il vero catalizzatore per scienziati e ricercatori».

Come si declina tutto ciò nel concreto?

«Parlano i fatti. Un investimento di 11 miliardi grazie al quale abbiamo dato vita a 5 centri nazionali su temi sfidanti, come l’agritech, il supercalcolo, la mobilità sostenibile, il contrasto alla perdita di biodiversità e terapie geniche. Ma non solo».

Cosa c’è di altro?

«Il Mur finanzia una serie di iniziative strategiche come il Tecnopolo di Taranto, Ai4Industry a Torino, la Fondazione Chip.IT di Pavia. Abbiamo avviato con successo il Biotecnopolo di Siena su biotecnologie, scienze della vita e contrasto alle pandemie. Solo il mio ministero ha investito oltre 700 milioni di euro sul supercalcolo negli ultimi anni. A Bologna abbiamo Leonardo, al momento nella top ten dei calcolatori più potenti al mondo e grazie all’upgrade che abbiamo finanziato sarà il primo in Europa per applicazioni di intelligenza artificiale».

Sta dicendo che l’Italia è pronta a lanciare il suo “Choose Italy for Science” come voleva fare la Francia con un proprio programma nazionale?

«Grazie all’azione di questo Governo, godiamo di una nuova credibilità internazionale anche sul piano della ricerca. Il Fondo italiano per la scienza è aumentato di 150 milioni rispetto alla precedente edizione. Oggi ha una dotazione di 475 milioni di euro ed è aperto un bando con altri 50 milioni destinati a ricercatori, italiani e stranieri, ora all’estero. Ma mi sono opposta a format nazionali perché non funzionano: l’Europa è più forte dei singoli Stati».

Cosa serve allora?

«L’Italia ha aderito convintamente a “Choose Europe for science” lanciato dal Consiglio Ue Competitività e ricerca per aumentare l’attrattività dei cervelli in Europa. Ma in quella stessa sede ho detto che serve un’azione più incisiva: più risorse, meno burocrazia».

Parliamo di Università. Cosa le rende o può renderle più competitive a livello europeo e globale?

«Gli atenei italiani traggono la loro forza da una tradizione senza uguali, visto che abbiano le più antiche Università del mondo, e da una straordinaria capacità di innovazione. Sono eccellenze riconosciute a livello internazionale ma devono essere all’altezza delle sfide della contemporaneità».

Quali sono le sfide che vede?

«L’interesse nazionale oggi si gioca soprattutto fuori dai confini nazionali. L’Italia, che ne è consapevole, è tornata protagonista anche grazie alla eccezionale intuizione del Piano Mattei, attraverso cui rafforzare il ruolo del Paese nel Mediterraneo allargato. Le Università sono potenti strumenti di dialogo e di cooperazione e dunque di pace. La realtà che si presenta sotto i nostri occhi, a partire dal Medio Oriente, ci dice quanto tutto questo sia cruciale. Per questo, l’internazionalizzazione e la diplomazia scientifica sono due asset attraverso cui si gioca il futuro del sistema accademico e quindi del sistema Italia nel mondo».

Nell’ultimo anno abbiamo assistito a un confronto, a tratti acceso, con i rettori per i tagli ai fondi agli atenei. Il Fondo di finanziamento è in arrivo. Cosa dobbiamo aspettarci?

«Sui fondi, il dibattito è stato francamente surreale e, da parte di alcuni rettori, al limite della propaganda. Il Fondo di finanziamento ordinario è passato dai 7,4 miliardi del 2019 agli oltre 9 dello scorso anno, a cui si sono aggiunti i fiumi di finanziamento del Pnrr. Per il 2025 ci sarà un aumento di 336 milioni arrivando alla cifra record di 9,4 miliardi».

Si confronterà con i rettori?

«Solo partendo dal riconoscimento della verità si può aprire una nuova fase di confronto per capire il parere dei rettori su come distribuire al meglio queste risorse. Finora sono arrivate più pregiudizievoli proteste che utili proposte. Non apro tavoli per ascoltare o fare comizi, i miei tavoli servono a governare e migliorare l’Università».

Una delle riforme cruciali del suo ministero è l’accesso a Medicina. Cosa l’ha spinta a una scelta così delicata?

«Quando sono arrivata c’era una situazione da un lato surreale, dall’altra tragica. Surreali erano i test dove un povero studente che voleva fare il medico si trovava domande sul volo della gazza o su Corrado II il Salico; di tragico c’era la compravendita delle domande su Telegram e i costosissimi corsi di preparazione privati che sfruttavano le inefficienze per lucrare sugli studenti. E ancora, un numero chiuso così rigido da costringere molti ragazzi ad andare a studiare all’estero, a proposito di fuga dei cervelli. Da qui la nostra scelta di abolire questo sistema orribile e truffaldino e superare il numero chiuso. Una scelta, direi, democratica».

In molti stanno aspettando i decreti attuativi. A che punto siamo?

«In settimana firmerò il decreto che stabilisce le regole per i primi tre esami, in Chimica, Fisica e Biologia che riconosceranno crediti formativi eventualmente spendibili anche in altri corsi. È questa la svolta. Basta inutili test, ma veri esami; stop preparazione inutile erogata da costosi corsi privati, ma studio universitario in aula. E chiederò alle Università di aumentare i posti disponibili. Abbiamo bisogno di medici e i nostri ragazzi meritano di studiare in Italia, dove la qualità della didattica è altissima».

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di Annamaria Gravino - 2 Giugno 2025