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Un giorno credi, anzi credevi: l’utopia dei “compagni” diventa musica e ricordi ne “L’ideale” di Patrizio Trampetti

Musica

Un giorno credi, anzi credevi: l’utopia dei “compagni” diventa musica e ricordi ne “L’ideale” di Patrizio Trampetti

Cultura - di Luca Maurelli - 18 Maggio 2025 alle 16:01

In copertina c’è una foto storica che sembra uscita da un film di Bernardo Bertolucci e che invece era in un cassetto polveroso di un uomo che custodisce la memoria con molta più attenzione dei soldi e dei complimenti. Per il suo ultimo album, “L’ideale“, Patrizio Trampetti –  paroliere, musicista e attore che ha attraversato gli ultimi cinquant’anni della canzone napoletana tradizionale, folk e rock da protagonista discreto e timido – ha voluto un’immagine vera della contestazione sessantottina che andava in scena nelle strade di Parigi quando lui quella rivolta se la gustava su un divanetto di via Belvedere, nel quartiere borghese del Vomero, a Napoli, con mamma Gertrude che lo incoraggiava a cantare, più che a menare.
Oggi quell’ex ragazzino ha ancora qualcosa da dire. Dopo aver scritto canzoni leggendarie per Edoardo Bennato, dopo aver partecipato alla nascita e al successo della Nuova Compagnia di Canto Popolare, all’ascesa del mito della “Gatta Cenerentola” di Roberto De Simone, dopo aver collaborato con artisti internazionali, incrociato lo sguardo e l’amicizia con personaggi del calibro di Federico Fellini e solcato i teatri e i palchi di tutta Italia con la sua chitarra e il suo spirito da alternativo al business della musica, torna alla sua musica e ai suoi testi, leggeri e pesanti, allo stesso tempo. “Compagno” sì, soldatino della musica al servizio della politica no, mai. Neanche oggi che guarda con distacco alle sue stesse utopie giovanili, fatti di sì “ricacciati dentro” con violenza in un tempo lontano  ma che oggi diventano “preferenze di no” solo sussurrate.

L’ultimo disco di Patrizio Trampetti, “L’ideale”

L’ultimo disco di Trampetti è una sorta di simposio di ricordi, speranze, delusioni e scoperte di un uomo cresciuto in quell’agorà di sinistra che si era illuso di poter cambiare il mondo anche con le canzoni. In uno dei suoi pezzi più “freudiani”, qualche anno fa, Trampetti narrava il meraviglioso e tristissimo mondo delle Feste dell’Unità, quelle dove, una volta, da artista dovevi andare per “esistere” e come cittadino non potevi mancare per essere “notato” da chi c’era. Quel posto dove la gente “applaudiva nervosamente per mascherare un po’ di delusione”, dove il candidato in lista doveva gridare che “è ora di finirla adesso basta”, ma non si sa bene cosa, però: quel recinto dell’anima di sinistra nel quale, a fine serata, restavano sparsi, “disordinatamente, i vuoti a perdere mentali, abbandonati dalla gente…”. Aveva avuto una visione sui grandi bluff della politica e gli inganni del potere, Trampetti, negli anni Ottanta, e li aveva consegnati alle musiche e ai successi di Edoardo Bennato, che oggi – chissà perché – non canta i brani da lui scritti nei suoi concerti. Come quel famosissimo “Un giorno credi“, inno generazionale di chi, a prescindere dalle ideologia, cresceva cavalcando il cavallo imbizzarrito degli stimoli, del talento, della voglia di fare destinata, prima a poi, a infrangersi sui “falsi incidenti”, gli alibi autoconsolatori che accompagnano inevitabilmente gli esseri umani fino alla fine dei propri giorni.

Oggi Trampetti è un uomo che non vuole chiedere, mai. Neanche di essere ascoltato. E’ in pace con la sua bella carriera ma coltiva ancora “L’ideale” che è in sé, raccontandolo senza pentimenti, senza darsi del “rinnegato”, come Bennato lo aveva definito in un suo pezzo. “Patrizio dice che bisogna sempre dire, a tutti i costi quello che ti pare. Gli ho chiesto, fammi un testo per una canzone. L’ha fatto e adesso so che è pazzo da legare…”. A sentirlo oggi, non si direbbe.

Un viaggio tra e con gli artisti che lo hanno ispirato

Il suo ultimo album è un agorà di ricordi e sentimenti, come se Trampetti avesse incontrato tutti i suoi amici, veri o immaginari, ma solo nella sua testa, come Kurt Cobain in “Lithium”  (I‘m so happy ‘cause today/I found my friends /They’re in my head…).
Tutti nella sua testa e nella sua musica. Il disco è bello, ma non facile. E’ pop, ma non rock. E’ folk, ma non vecchio. E’ serio, ma non si prende sul serio. Nella band immaginaria di Trampetti c’è forse il richiamo al De Gregori, patriota amaro, di “Viva l’Italia”, riproposto in “L’Italia è qua”, scritta da Tricarico, altra scheggia impazzita e discreta della musica italiana, c’è il “capellone” militante comunista che in “L’ideale” fa rivivere gli storici “pasionari” della musica miltante, gli Inti-illimani del “pueblo unido jamàs serà vencido” in un pezzo che racconta del “compagno” che voleva cambiare il mondo e che oggi si nega ai “compagni” da direttore di banca, dando l’immagine della resa a fronte della resistenza descritta di Venditti in “Sotto il segno dei pesci” che invece raccontava di un Giovanni l’ingegnere “che lavora in una radio e vive solo di parole” ma non ha mollato ancora. Il “capellone” di Trampetti sì, s’è arreso al mondo cinico e baro, e senza rimpianti. Poi c’è la “Lotta di classe” che in Trampetti è amore puro, non molotov, ma condivisione, c’è la voce da ferodo incandescente come quella di una moto che frena su un precipizio, stridula e potente, di Pietra Montecorvino di “A‘ vita po’ cagnà“, dove la coppia si mischia alla colpa del fallimento esistenziale.
Ed ancora, c’è la leggendaria Isa Danieli che si prende la scena illuminandoci su “Comme va a fernì“, si vola con la fantasia immaginando atmosfere sulfuree di un Niccolò Fabi forse a ispirare “Lampo e ammore” strimpellate come in “Vento d’estate”, il Pino Daniele di “Lazzari felici” che riemerge da “Natu suonne” con Jennà Romano, il fantasma di Franco Battiato che spunta dall’elettronica mefistofelica di “Avrei preferenza di no“, nel solco di “Shockin in my town”, quindi Luigi Tenco che rivive con la voce bella e struggente di Claudia Gerini in “Cià Luì“, nel  pezzo centrale di un disco che si chiude con una liturgia laica di “Simme rre” che rievoca lo spirito di Roberto De Simone in un disco dove nulla è mai come prima. Nessun brano somiglia al precedente, nessun suono celebra funerali di ideali ma ne esalta l’orgoglio e, chissà, perfino la prospettiva.

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di Luca Maurelli - 18 Maggio 2025