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Tsunami nel Pd, riformisti contro Elly: sul lavoro voteremo tre no, non serve agitare vecchi simulacri

Referendum

Tsunami nel Pd, riformisti contro Elly: sul lavoro voteremo tre no, non serve agitare vecchi simulacri

La lettera della minoranza interna su Repubblica è una doccia fredda per la segretaria. All'appuntamento referendario opposizioni in ordine sparso e dem spaccati: altro che testardamente unitari. Si preannuncia una Caporetto

Politica - di Stefania Campitelli - 13 Maggio 2025 alle 14:15

Sono usciti allo scoperto e hanno scatenato uno tsunami. Europarlamentari e deputati dell’area riformista del Pd prendono carta e penna e dalle colonne di Repubblica spiegano perché scaricheranno Elly Schlein sull’appuntamento referendario. La segretaria c’ha messo la faccia, convertita sulla via di Landini, e ora si trova alle prese con l’ammutinamento di mezzo partito deciso a non votare i quesiti sul lavoro.

Referendum, i riformisti scaricano Schlein sul Jobs Act

“L’8 e il 9 giugno andremo a votare. Non solo perché è un diritto/dovere costituzionale, ma perché la partecipazione è il cuore di una democrazia. Voteremo sì al referendum sulla cittadinanza, che risponde alle attese di milioni di persone, discriminate nei loro diritti. E sì al quesito sulle imprese appaltanti, in un paese con una intollerabile strage quotidiana di morti sul lavoro”. Così su Repubblica  il presidente del Copasir Lorenzo Guerini, la vicepresidente dell’Europarlamento Pina Picierno, l’europarlamentare Giorgio Gori, le deputate Marianna Madia e Lia Quartapelle e il senatore Filippo Sensi.

“Non voteremo i 3 quesiti sul lavoro”

“Ma – e qui viene il bello – non voteremo gli altri 3 quesiti, perché la condizione del lavoro in Italia passa dal futuro. Non da una sterile resa dei conti con il passato”. Insomma il progetto di demolire il Jobs Act non passa. Gli ex renziani del Nazareno non ci stanno e voteranno no. Dopo la defezione della segretaria nazionale della Cisl e la libertà di voto della Uil arriva la spallata interna del Nazareno. Anche sui referendum le opposizione procedono in ordine sparso: il Pd arriva all’appuntamento spaccato a metà come una mela, Calenda voterà no, Bonelli e Fratoianni vanno per conto proprio votando 5 sì, Conte è per 4 sì e un no. Altro che testardamente unitari, come vorrebbe Elly Schlein. La madre di tutte le battaglie per dare la spallata al governo Meloni si rivela una Caporetto annunciata.

Per il lavoro non serve un simulacro fuori tempo

Sul lavoro la posizione della minoranza interna è netta, i disobbedienti non esitano a parlare di “simulacro fuori tempo”. “Servirebbe – dicono – la legge sul salario minimo, negata dalla destra, a tutela della fascia più bassa delle retribuzioni. Ciò che non serve è invece agitare un simulacro fuori dal tempo. Con un dibattito che distrarrà l’attenzione dai veri problemi. Oltre a creare divisioni in campo progressista e sindacale”. Mentre Matteo Renzi se la ride parlando di ‘autogol di Landini’,  i riformisti dem ricordano agli smemorati del partito che il Jobs Act è una “misura introdotta 10 anni fa proprio dal Partito democratico. Oggi è lo stesso Pd che, rispondendo alla sollecitazione della Cgil, sconfessa invitando a votare ‘sì’ ai quesiti”. La sfida alla segretaria è lanciata: “La condizione del lavoro in Italia passa dal futuro, non da una sterile resa dei conti col passato”. Più chiaro di così. E chissà quale sarà la vendetta di Elly alla quale spetta la compilazione delle liste delle politiche 2027.

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di Stefania Campitelli - 13 Maggio 2025