
Il tycoon rompe il tabù
Trump, l'”agguato” e la realtà: quando alzare i toni serve a mostrare i fatti, soprattutto se si tratta del genocidio in Sudafrica
La strategia comunicativa del tycoon che costringe i leader e i media mainstream a confrontarsi con le ferite e le paure del popolo reale, quelle che la sinistra da salotto ha ignorato per decenni
C’è chi lo ha definito un agguato diplomatico. Ma Donald Trump non agisce mai per caso. Quando ha messo alle strette il presidente sudafricano Cyril Ramaphosa durante la sua visita alla Casa Bianca, sollevando la questione dei contadini bianchi – gli afrikaner – perseguitati e dimenticati, ha fatto esattamente ciò che fa da sempre: ha scavalcato il bon ton per costringere i leader e le opinioni pubbliche di mezzo mondo a guardare in faccia la realtà.
I sudafricani bianchi chiedono asilo in America: “Grazie presidente Trump”
Era febbraio quando, a Pretoria, centinaia di manifestanti afrikaner si sono radunati davanti all’ambasciata americana sventolando cartelli: «Grazie a Dio per il presidente Trump». Chiedevano asilo. Non perché poveri o migranti economici. Ma perché si dichiaravano perseguitati, discriminati, spaventati. E, per la prima volta, il presidente degli Stati Uniti ha ascoltato davvero. Era il 7 febbraio 2025, quando Trump ha firmato un ordine esecutivo che tagliava gli aiuti americani al Sudafrica, accusando il governo di confisca razziale delle proprietà e di «scioccante mancanza di rispetto per i diritti dei suoi cittadini» vittime di ingiustizia xenofoba.
La narrazione come arma politica
La forza di The Donald non è nei dossier: è nella narrazione. Il tycoon sa trasformare un fatto ignorato in un dibattito planetario. Sa creare uno spartiacque mediatico dove altri vedono solo dati grigi. È successo con le spese per la difesa, con il Canale di Panama, con la Groenlandia lze ora con il Sudafrica. La sinistra internazionale si indigna, ma intanto si parla del tema. Dunque, missione compiuta.
Nessuna fake news: “Kill the Boer” è diventato uno slogan elettorale
Il presidente americano non ha fabbricato fake news, semmai ha ripreso notizie già emerse sui giornali. Ma il punto non sono i dettagli, il punto è che i canti “Kill the Boer”, letteralmente “Uccidi il boero” – l’agricoltore bianco – esistono eccome. Sono stati intonati pubblicamente da Julius Malema – leader della sinistra radicale sudafricana – in uno stadio gremito, con le dita alzate come pistole. E se qualcuno non dovesse crederci, può verificare sul New York Times. Non è un caso, se Elon Musk – bianco, sudafricano, nato a Pretoria – abbia definito il video “inquietante”, con il volto visibilmente provato mentre lo rivedeva nello Studio Ovale. Per cui, è sono i fatti a parlare prima ancora di Trump.
Razzismo anti-bianchi, non solo in Sudafrica…si guardi alla Francia
Che poi certi ambienti rossi neghino tutto, parlando di “equità post-apartheid”, conta poco. La paura, quella autentica, non si misura a parole, si misura in esodi. E se quasi 30 mila afrikaner hanno contattato l’Afriforum per capire come ottenere asilo negli Stati Uniti, significa che il problema esiste eccome. Parlare di razzismo contro i bianchi non deve più essere un tabù: non accade solo in Africa. Basta guardare nel nostro giardino europeo — in Francia è ormai ordinaria amministrazione.
Una strategia da imprenditore applicata alla geopolitica
C’è da ammettere che Donald Trump non è un presidente convenzionale. È un negoziatore. Un uomo d’affari che porta sul tavolo della politica le logiche del business: alzare la posta, creare pressione, costringere l’interlocutore a cedere qualcosa. Anche a costo di passare per rozzo. Anche a costo di sembrare eccessivo. È successo con la Nato (“pagate o vi lasciamo soli”), con il Canada (“il 51esimo Stato), e ora con il Sudafrica (“aiuti sì, ma non a chi discrimina”).
La diplomazia di sinistra, che per anni lo ha preceduto, si è sempre retta sull’omertà reciproca. Trump invece rompe il silenzio. E lo fa per dare voce a chi non ne ha: i boeri delle campagne sudafricane, i dimenticati delle periferie americane, gli operai messi in ginocchio dalla globalizzazione. Il suo linguaggio è brutale, sì. Ma è l’unico capace di riuscire.
L’obiettivo di Trump è distruggere i tabù
Parlare di “genocidio bianco” in Sudafrica è sbagliato. Lo dicono i numeri: i bianchi sono il 7,3% della popolazione e rappresentano meno del 2% delle vittime di omicidio. Ma ridurre tutto a una questione statistica è un’altra forma di cinismo. Le violenze esistono. Le confische esistono. Il timore, anche. E la politica non può ignorarla solo perché riguarda una minoranza percepita dai progressisti come “privilegiata”.