
Il ribaltone di Bucarest
Simion e il vento di destra dalla Romania: “Mi consulto spesso con Meloni e sostengo Trump. Putin? Un criminale”
Nel quartier generale di Aur, tra messaggi WhatsApp e benedizioni trumpiane, George si prepara al ballottaggio. E l’Europa dei Conservatori guarda sempre più a Est
«Anche Giorgia Meloni si è complimentata su WhatsApp». George Simion lo rivela con la calma di chi sa di avere Roma dalla sua parte: «Mi consulto spesso con lei sulle nostre strategie politiche a livello di Ecr». Con il 40,9% raccolto al primo turno delle presidenziali romene, il leader del partito Aur ha sparigliato i giochi. La notte dello spoglio l’ha passata a Bucarest, insieme anche a Carlo Fidanza, capodelegazione di Fratelli d’Italia al Parlamento europeo nonché storico amico e alleato politico. Non una visita casuale: è lì, a Est, che si decide un pezzo d’Europa. E Meloni, pur restando silenziosa pubblicamente, ha fatto sapere di osservare con grande attenzione.
Gli equilibri nel Consiglio Ue
Se Simion dovesse vincere al ballottaggio del 18 maggio, il gruppo dei Conservatori e riformisti europei metterebbe a segno un colpo da novanta: quattro capi di governo nel Consiglio dell’Unione, contro i tre dei Socialisti. Oltre a Meloni, Petr Fiala per la Repubblica Ceca, Bart De Wever per il Belgio e, appunto, Simion per la Romania. «In Europa si parla di “Melonisation“, noi speriamo in una “Simionisation” del continente», dichiara ai microfoni del Secolo con una punta di ironia il candidato. Ma la strategia è tutt’altro che ironica.
Verso Est: Romania, Polonia e oltre
Il nuovo blocco dell’Est – Romania, Polonia, Stati baltici – si presenta come l’anello conservatore della catena transatlantica. Anche a Varsavia, lo stesso giorno del ballottaggio rumeno, si andrà al voto. Karol Nawrocki, candidato di Diritto e giustizia (Pis), è dato al 42,6% e si prepara a una finale all’ultimo voto con il centrista Rafał Trzaskowski. Due facce dell’Europa, Nawrocki e Simion hanno in comune un legame stretto con il trumpismo e una visione muscolare dell’Europa: identitaria, conservatrice e inflessibile con Mosca.
Il sostegno americano
Non un è un dettaglio da poco se Matt Schlapp, ex direttore politico della Casa Bianca, James E. Trainor III, commissario della Commissione elettorale federale Usa, siano sbarcati in Romania proprio in questi giorni proprio per mostrare la loro vicinanza al leader rumeno.
Simion: “Con Meloni siamo sulla stessa lunghezza d’onda”
Le accuse di filo-putinismo, che i media progressisti gli rinfacciano a ogni occasione, vengono liquidate come tentativi maldestri di delegittimazione. «Siamo sulla stessa lunghezza d’onda di Giorgia Meloni nel condannare la guerra di aggressione russa contro l’Ucraina. Sosteniamo una Nato forte e un’alleanza forte con l’amministrazione di Trump», risponde a tono al Corriere della Sera. Poi aggiunge: «Il nostro obiettivo è mantenere unito il mondo libero, mantenere le relazioni transatlantiche». E a chi insiste, ribatte secco: «Ho ricevuto un messaggio dal Dipartimento Usa della Sicurezza interna. Non ho rapporti con Mosca e non voglio averli. Li considero dei criminali».
Posizione su Kiev: “Siamo sulla stessa linea dell’Italia”
Nessuna retorica, nessun proclama roboante. Il suo è un discorso resta pragmatico, fatto di obiettivi concreti e riferimenti chiari. Sì alla Nato, sì all’Europa delle Nazioni, sì a un’alleanza organica con l’Italia di Meloni. «La Nato è vitale per la Romania, per la Polonia, per i Paesi baltici, per via della Russia», scandisce Simion. E su Kiev, striglia le orecchie a chi ancora non avesse capito: «Siamo sulla stessa linea dell’Italia», ma ricorda che anche «gli ucraini devono rispettare i diritti delle minoranze». Perché «in Ucraina vivono mezzo milione di romeni. Non vengono rispettati nei loro diritti religiosi, educativi. Lo faremo pesare».
Lo accusano di attrarre estremisti, ma lo ha votato il popolo
Alle domande dei cronisti stranieri risponde con pazienza e lucidità, anche quando sembrano fatte più per accusare che per cercare la verità. Quando gli ricordano che anche i “negazionisti” hanno votato per lui, come affermato da Sorin Dinka a Costanza, scuote la testa: «Penso che sia imbarazzante e folle l’idea di non riconoscere ciò che è successo. L’Olocausto è stata una delle più grandi tragedie della storia mondiale».
Secondo quanto riferito al Secolo d’Italia, per conquistare il ballottaggio George Simion punta ora a intercettare anche l’elettorato liberale che al primo turno aveva scelto Antonescu. Più incerto, invece, l’appoggio dei sostenitori del social-populista Victor Ponta, che – pur non essendo formalmente proprietario di alcuna emittente – ha intrattenuto relazioni strette con România Tv, canale controllato dal suo storico alleato Sebastian Ghiță e ribattezzato da molti “Ponta Tv”. Convertitosi al trumpismo dopo l’avvicendamento alla Casa Bianca, Ponta tenta ora un nuovo posizionamento internazionale. Peccato che, da Washington, gli occhi siano sempre stati puntati solo su Simion.
La leader del partito rumeno Pot: “Simion non è solo, siamo con lui”
Intanto, Anamaria Gavrilă, leader del partito Pot, ha già annunciato il suo pieno sostegno in esclusiva al Secolo. «I rumeni hanno finalmente trovato il coraggio di credere che il cambiamento è possibile. Per anni hanno atteso questo momento, oggi lo stanno costruendo con il voto. George Simion non è solo. Siamo con lui. Siamo tutti insieme», ha dichiarato in un video registrato nel pomeriggio di ieri dal suo ufficio in Parlamento.
Rendere la Romania di nuovo grande
E alla fine, c’è quella frase che suona come un programma in tre parole: “Rendere la Romania di nuovo grande“. Come? «Investendo sulla nostra economia. Dobbiamo creare posti di lavoro ben retribuiti sfruttando le risorse che abbiamo. E dobbiamo farlo ora».
Il lunedì mattina successivo al voto infatti Simion era già tra gli operai di una fabbrica in Transilvania. «Non c’è tempo per festeggiare. Lo faremo quando la Romania eviterà la bancarotta e tornerà alla normalità», dichiara al Corriere della Sera. Una normalità che per lui, da buon conservatore, significa prima di tutto tutelare le famiglie rumene. La moglie Iliaca e il piccolo Radu di appena un anno non sono solo affetti privati, ma il simbolo di un modello sociale da difendere. A questo si affianca un’agenda economica netta: taglio delle tasse, burocrazia snella, reindustrializzazione. «Dobbiamo ridurre il numero dei municipi. Oggi ne abbiamo 1.300. Vogliamo tagliarli di due terzi. E dobbiamo iniziare a produrre di più qui. Abbiamo oro, rame, gas nel Mar Nero. Abbiamo tutti gli elementi della tavola di Mendeleev. Perfino le terre rare. Ma oggi non li usiamo».