
Nel cuore delle istituzioni
Sergio Ramelli cinquant’anni dopo: una vita spezzata dall’odio e oggi restituita alla storia d’Italia. La Russa: “Un monito per tutti”
l volume "Uccidere un fascista" di Giuseppe Culicchia, presentato oggi nella Sala Koch del Senato su iniziativa del Gruppo Parlamentare di Fratelli d’Italia, porta la memoria del giovane militante nel cuore delle istituzioni
La Sala Koch di Palazzo Madama si è riempita di silenzio e memoria. Non una giornata ordinaria, ma un passaggio di testimone tra generazioni: nella voce dei politici, nei ricordi degli amici, e nel rigore di un libro che ha il coraggio di raccontare la vera storia: “Uccidere un fascista – Sergio Ramelli, una vita spezzata dall’odio“, scritto da Giuseppe Culicchia e presentato su iniziativa del Gruppo parlamentare di Fratelli d’Italia.
La Russa ricorda Sergio Ramelli: “Un monito per tutti, nessuno escluso”
Cinquant’anni dopo quell’agguato vigliacco, l’eco dell’odio ideologico non tace. «Ogni anno la memoria di Ramelli esce più nitida, più chiara, a dispetto di chi tenta di ricacciarlo nel ricordo identitario di una parte», ha dichiarato Ignazio La Russa, Presidente del Senato. «Ma oggi il ricordo di Sergio acquista sempre più il valore di un monito per tutti, nessuno escluso, affinché episodi di questo genere non si ripetano».
«Io non mi sono stancato di dire che occorreva fare eguale attenzione a tutti quelli che persero la vita in quegli anni drammatici», ha aggiunto, ricordando un clima da guerra civile mai dichiarata: «Milano era come Belfast», con «20.000 estremisti di sinistra e 1.000 di destra». Ma la differenza è che «noi non lo dicevamo. Nessuno lo diceva. Facevano finta di non vedere. Gli uomini di cultura, i giornali, il potere politico».
Il primo squarcio fu Montanelli
Il primo a rompere il silenzio fu Indro Montanelli. Lo sottolinea anche Riccardo De Corato: «Solo lui scrisse a difesa di quel ragazzo. Se lo Stato in quel momento avesse voluto veramente difendere quella realtà politica, molte cose forse sarebbero andate diversamente».
De Corato: “Quelli che colpivano sapevano come uccidere”
Riccardo De Corato ha offerto un racconto crudo e diretto. L’omicidio di Enrico Pedenovi, la telefonata improvvisa, l’obbitorio di via Gorini, il padre di Ramelli costretto a chiudere il bar, la madre Anita sempre pronta ad accogliere quei ragazzi con un unico avvertimento: «State attenti che non succeda più niente di simile a quello che è successo a mio figlio».
Poi l’ammonimento: «Quelli che maneggiavano le chiavi inglesi non erano ragazzini: erano medici al quarto anno, sapevano dove colpire. E questo ha un significato».
Un volto, un ricordo, una generazione: “Sergio Ramelli è figlio d’Italia”
«Io l’avevo visto tre giorni prima al cinema», ha ricordato La Russa. «Era seduto tre file dietro di me. Usciva prima, per non incontrare gruppetti di non ben intenzionati. Purtroppo, tre giorni dopo, all’uscita di casa, lo aspettavano».
Antonio Rapisarda, direttore del Secolo d’Italia e moderatore dell’incontro, ha sottolineato il valore simbolico della vicenda: «È una storia trasportata come una staffetta, da mano a mano, di testimonianza in testimonianza. Sergio Ramelli è figlio d’Italia, non solo della destra italiana».
Culicchia e il coraggio di un titolo
L’autore, Giuseppe Culicchia, lascia parlare il libro. E un titolo che scuote. Fabio Roscani lo ribadisce: «Ancora oggi, nelle piazze, si sente lo slogan “uccidere un fascista non è reato”. E quando qualcuno si arroga il diritto di decidere chi è fascista e chi no, questo è pericoloso». Poi aggiunge: «Per chi, come me, ha conosciuto Ramelli solo attraverso il racconto, è come se fosse ancora con noi. Un ragazzo normale, con il sorriso, i capelli lunghi, che ha pagato con la vita un’idea scritta in un tema».
Una memoria da restituire a tutta l’Italia
Alessandro Amorese, con voce ferma, ha puntato il dito sulla cultura dell’impunità: «Quel processo non è solo il processo agli assassini. È il processo a una cultura, a un sistema che applaudiva in consiglio comunale quando arrivò la notizia della morte di Ramelli. Un’infamia che non verrà mai dimenticata».
Alberto Balboni ha affermato con chiarezza: «Ci hanno costretto per anni a una memoria di parte, quando invece è una memoria che appartiene a tutta l’Italia».
Di Maggio: “Non si muore più per un tema, ma il prezzo da pagare esiste ancora”
«Siamo impegnati a raggiungere una pacificazione che ancora non si è compiuta fino in fondo», ha osservato la deputata Grazia Di Maggio. «Oggi possiamo scendere in piazza, professare le nostre idee, manifestare il nostro credo. E lo facciamo rendendo omaggio a tutti quei ragazzi che hanno pagato la libertà con il prezzo più alto, la propria vita». «Sia chiaro» – ha aggiunto – «anche oggi, se è vero che non si viene più uccisi per un tema, è pur vero che essere di destra e professare le proprie idee all’interno delle scuole o dell’università porta a conseguenze come la delegittimazione e l’isolamento. Per questo, anche se non si rischia più la vita, è necessario continuare a vigilare consegnando la memoria di Sergio alle generazioni future», ha concluso la Di Maggio.