
La proposta
Orgoglio per la riscossa della cultura di destra, silenziata dai “comunicatori” di sinistra. Dieci priorità, a cominciare dalla lingua italiana
Il recente convegno “Spazio Cultura. Valorizzare il passato, immaginare il futuro”, che Fratelli d’Italia ha organizzato a Firenze, non è stata solo l’occasione per mostrare i risultati del governo in questa prima parte della legislatura. Come ha opportunamente specificato Federico Mollicone, presidente della commissione Cultura alla Camera, “la visione culturale di Fratelli d’Italia non si esaurisce di certo con due anni di governo della nazione”, né può essere vista quale espressione della volontà di “creare nuove egemonie”.
Il richiamo ad una cultura libera e plurale, cioè antiegemonica, non esaurisce tuttavia i compiti di chi – e non da oggi – si sente portatore di visioni ed impegni “di valore”, particolarmente significativi nel tempo della “cancel culture” e dell’ intolleranza woke, incarnata, in Italia, dal battutismo di qualche cabarettista. Nella misura in cui – usiamo le parole di Mollicone – “La civiltà occidentale può ancora difendere i valori che la definiscono, essere orgogliosa di sé stessa e consapevole del suo ruolo”, non ci si può allora limitare ad una gestione di “routine”, puramente amministrativa. Dire cultura vuole dire esprimere anche una scelta “di campo”, capace di fissare dei discrimini “di valore”, intorno a cui sviluppare un organico progetto di sviluppo.
La cultura come risorsa dunque, ma anche, aspetto non meno importante, la cultura quale elemento simbolico-identitario della comunità, locale e nazionale.
La prospettiva di lavoro, dopo la crisi delle vecchie scuole materialistiche, è di attivare un processo ricostruttivo profondo, in grado di “liberare”, insieme alle coscienze creative, le aspettative e le speranze di un’intera comunità.
Rispetto a questo quadro d’assieme occorre – a nostro parere – articolare una politica d’intervento, partendo da alcune considerazioni “di valore” per poi definire delle linee generali d’intervento, rispetto alle quali “ordinare” l’intera materia. Vediamole in sintesi.
Il decalogo per interventi sulla cultura nel segno della destra
1. Se da un lato compito delle istituzioni politiche, a cominciare dall’ambito culturale, è quello di riconoscere e garantire la “buona amministrazione” ed il pluralismo delle voci, dall’altro non può essere negata una lettura critica della realtà, su cui intervenire per orientare, sollecitare, valorizzare. In anni di cancel culture la difesa e la promozione dei simboli, materiali ed immateriali, della nostra identità nazionale deve essere la strada per sconfiggere l’omologazione culturale e l’indifferentismo spirituale. Rientrano in questo ambito la difesa della lingua italiana, le tradizioni popolari (in quanto espressione di un processo culturale che appartiene alla consapevolezza di una tradizione), la centralità della Scuola rispetto al valore della memoria e dell’identità nazionale, la difesa ed il rilancio delle identità locali.
2. I beni culturali rappresentano un’espressione della civiltà, costituendo la viva testimonianza spirituale di un processo collettivo attraversato e vissuto dai popoli. Prima ancora di essere visti come un investimento o un percorso produttivo, essi incarnano la trasmissione autentica di una tradizione che ha definito l’identità, l’anima e lo sviluppo di una comunità. La loro tutela richiede una solida politica basata sulla conoscenza, sostenuta da un progetto educativo mirato a promuoverne una fruizione consapevole e accessibile. Indipendentemente dal settore a cui appartengono, i beni culturali devono essere considerati come uno strumento fondamentale per un’educazione continua e permanente.
3. La cultura e le tradizioni popolari, con le loro radici antropologiche, esprimono una fonte di conoscenza fondamentale delle civiltà e dei popoli. È essenziale recuperarle e proporle non solo come processi storici, ma anche come fenomeni umani. Il folclore stesso si inserisce in un contesto culturale che appartiene al popolo nella sua interezza, non a una sola classe sociale, e racchiude la consapevolezza di una tradizione che non deve essere sfruttata per fini ideologici. La nazione e il popolo costituiscono elementi essenziali di un’identità comunitaria.
4. La Scuola deve avere una funzione prioritaria non solo nel campo formativo, ma soprattutto come modello primario di un’agenzia educativa che ponga quale dato valoriale la memoria e l’identità nazionale. È sempre più urgente recuperare il ruolo e la capacità della famiglia attraverso una stretta collaborazione con i docenti. Il punto fondamentale deve rimanere l’educazione che crea modelli formativi, e non il contrario.
5. I giovani sono la sfida del domani, perciò debbono diventare i soggetti privilegiati dei nuovi investimenti culturali, al fine di sanare distanze spirituali e sociali immotivate (pensiamo al Teatro, alla Musica classica, alla conoscenza del nostro patrimonio culturale). Per questo occorrono però nuove metodologie comunicative, un nuovo dinamismo in grado di favorire suggestive contaminazioni culturali e politiche coinvolgenti.
6. Una letteratura libera dalle teorie della critica militante di stampo gramsciano, deve essere capace di mettere al centro non soltanto i valori spirituali, ma anche l’espressività non più legata agli ambienti, bensì ai personaggi, valorizzando il ruolo metafisico del linguaggio. Un linguaggio inteso non solo come ricerca, ma come espressione esistenziale e sentimentale, in cui il sentimento della memoria sia intriso di significati vivi, radicati nella Tradizione. Difendere questa cultura significa, inoltre, consolidare i valori classici ed i linguaggi che essi ispirano.
7. Il cinema deve essere in grado di affermare i grandi temi della testimonianza umana, dando senso a quell’identità storica che ha caratterizzato l’esperienza cinematografica e culturale italiana, la quale deve portare dentro di sé elementi creativi e pedagogici alti.
8. A differenza di quanto non credano gli apostoli dell’egualitarismo, il talento non è un limite alla creatività. Nella crisi del bello, la sterilità creativa ha trovato nella negazione delle competenze il proprio alibi. Portare al centro della produzione artistica i fattori formali e sostanziali che stanno alla base di compiuti percorsi formativi, significa dare nuova dignità e nuova consapevolezza a quanti in essa e per essa di trovano ad operare. E significa, nel contempo, ricollegare contemporaneità e tradizione, ricucire antistorici strappi, ritrovare la grandiosità di una Storia, la sua complessità, la sua capacità stupefacente.
9. La lingua italiana, la sua difesa, è parte integrante di una strategia culturale che permetta la conoscenza e la non dispersione dei linguaggi e delle forme identitarie della comunità, diventando, nel contempo, “ambasciatrice” dell’Italia nel mondo.
10. L’artista non può rispondere solo a se stesso. Né l’architetto progettare per il suo piacere estetico. Né l’urbanista inventare dissociandosi dalla realtà. Il talento non può non coniugarsi con l’identità. Anche qui non si tratta di ricapitolare, magari elencando stancamente scelte valoriali. I discrimini debbono nascere da un confronto dialettico con la realtà contemporanea: radicamento vs. spaesamento, pathos vs. disincanto, partecipazione vs. egoismo, comunità vs. burocrazia, sacro vs. materialismo, merito vs. egualitarismo, bellezza vs. degrado e così via.
Sulla base di questa visione d’assieme bisogna chiedersi : che cosa è mancato per affrontare ad armi pari la sfida dell’egemonia culturale di sinistra ? In primo luogo la capacità di comunicare – a livello di massa – una grande tradizione culturale, mettendo al centro un’idea di Cultura che non si adatta alle rigidità ideologiche, ma che vuole essere scuola di libertà, di creatività, di suggestioni diverse, che richiedono di essere “rappresentate”. A chi di dovere fare la propria parte: dalle istituzioni al mondo culturale al grande pubblico. Essenziale è non abbassare la guardia.