
Elio Germano nei salotti
Make cinema great again. Per la fine della narrazione ombelicale sui grandi schermi
Nel cinema italiano c'è un problema di distanza tra narrazione e realtà. Il racconto che viene fatto nelle pellicole italiane sembra un gioco di specchi. Un labirinto ideologico dove a riconoscersi sono in pochi, dando per scontato che tutti gli italiani la pensino allo stesso modo.
Al termine di una cerimonia al Quirinale per i David di Donatello, Elio Germano ha rilasciato pesanti dichiarazioni contro l’esecutivo Meloni e il Ministro Giuli. L’eco delle parole dell’attore romano, che ha accusato il Governo di “piazzare uomini nei posti chiave come nei clan” ha acuito il contrasto tra una parte del mondo del cinema e l’attuale amministrazione di Via del Collegio romano. Un’occasione utile per tornare a parlare dei problemi che sta affrontato il cinema italiano.
Gli investimenti superano gli incassi
Ad essere criticata da Germano & Co è la tax credit, un intervento pensato dall’ex Ministro Sangiuliano e ora ridefinito dal Ministro Giuli (proprio insieme al mondo dei professionisti del settore audiovisivo) per limare alcune parti critiche. Ma si sa, le polemiche politiche restano tali anche quando vengono a mancare le ragioni per alimentarle. In ogni caso, in questi giorni sono stati nuovamente pubblicati i dati sui fondi al cinema italiano e, quasi sempre, gli investimenti dello Stato doppiano, triplicano o decuplicano gli incassi ottenuti nei botteghini.
Le ragioni di un fallimento
Quali sono i fattori che determinano la distanza tra investimenti e incassi? Diversi. Se da una parte c’è l’allontanamento endemico delle persone dalle sale, dall’altra c’è un problema di distanza tra narrazione e realtà. Il racconto che talvolta viene fatto nelle pellicole italiane sembra un gioco di specchi. Un labirinto ideologico dove a riconoscersi sono in pochi, dando per scontato che tutti gli italiani la pensino allo stesso modo. È l’eterno complesso di superiorità dell’intellettualismo italiano riprodotto sugli schermi. Quello che Elio Germano finge di non vedere e che determina la distanza tra cinema e persone.
Film di sinistra per la sinistra
Non è un problema di qualità bensì di rappresentazione distorta della realtà. Parte del cinema, avendo seguito i passi della cultura mainstream, si è reso megafono dei salotti anziché strumento divulgativo capace di dare voce ai vari volti del mondo. Scorrendo tre le pellicole degli ultimi anni, brulicano narrazioni ombelicali in stile morettiano che appassionano probabilmente Elly Schlein e Massimo D’Alema ma meno le persone del mondo reale. Perché lo Stato spende soldi per un film sulle paranoie in pensione della sinistra? Si chiedono in molti. Come si chiedono perché i loro soldi debbano essere utilizzati per un film adulatorio su Berlinguer, per Il sol dell’avvenire, per le languide storie di Walter Veltroni che nel suo Quando parla della nostalgia del PCI.
Non mancano gli esempi positivi
Eppure negli ultimi anni abbiamo assistito alle indubbie ed elevate capacità artistiche di alcuni protagonisti del cinema nostrano. Le opere di Sorrentino, Rovere e Garrone sono sicuramente tra queste. Il racconto capace di intrecciare storia, uomini e luoghi per esaltare anima o radici ha portato spesso a risultati felici. È stata la mano di Dio, il discusso Partenope, Il Primo Re, Comandante ne sono eclatanti esempi. Come lo sono anche i sottovalutati film della Rohrwacher, vere immersioni nell’immaginario popolare, interpreti di un realismo magico ambientato nelle campagne italiane come nei consigliatissimi Lazzaro felice e La Chimera. Ma per un cinema capace di leggere la realtà, è giusto raccontare anche il presente come fatto in Io capitano parlando della drammaticità dello sradicamento e della tratta dei migranti.
Il cinema deve supportare se stesso
Insomma a mancare non sono le alternative né le capacità artistiche e tecniche presenti nel settore. A mancare è stata la sensibilità a non sperperare soldi per pellicole che poi, nelle sale, sono state viste da pochi. Citiamo due eclatanti esempi: Uomo di fumo e Prima di andare via che hanno ricevuto 2 milioni di euro dallo Stato e hanno avuto un pubblico di 128 e 27 spettatori. Evidentemente qualcosa non ha funzionato. Se da una parte è giusto che lo Stato supporti il cinema, dall’altra è giusto che il cinema supporti se stesso, scendendo dal predellino e abbandonando i facili cliché con cui ha raccontato la realtà degli ultimi anni. Continuare a guardarla coi paraocchi con montatura spessa e rossa induce a dannosi strabismi per le tasche degli italiani.