
L'intervista
Lollobrigida: “La fauna verrà protetta, non sarà il Far west”. Smentite le accuse degli ambientalisti sulla caccia
Il ministro spiega che le modifiche alla legge sulla tutela del patrimonio faunistico e l'attività venatoria sono mirate a una pianificazione corretta del territorio. "La situazione di caos e di incertezza attuale non dà le giuste garanzie a nessuno"
Sul web e sui social, da qualche giorno a questa parte, ambientalisti e animalisti postano contenuti allarmistici rappresentando l’Italia come un enorme poligono di tiro. Bracconaggio, battute di caccia sulle spiagge, in altre parole caccia senza limiti di spazio e di tempo. Ad alimentare questa falsa rappresentazione personaggi dello spettacolo e influencer che – insieme alle associazioni – fanno riferimento alla volontà di modificare la legge che regola la salvaguardia ambientale e l’attività venatoria: la 157 del 1992. Peccato che questi riferimenti semplicemente non sono veri: «Quando si lavora a una legge girano molte bozze e in alcuni casi anche veline strumentali create ad arte», spiega al Secolo d’Italia il ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida. «L’intervento – assicura – sarà equilibrato e in Italia ovviamente non ci sarà mai alcun Far West. Il tema è molto sensibile e il Parlamento ascolterà tutti le parti in causa. Ma chi governa ha il dovere di fare anche cose difficili nell’interesse di tutti».
Ministro, da dove sorge la necessità di cambiare questa legge?
«Le cose sono molto semplici, in realtà. Il Parlamento italiano ha chiesto con più atti di indirizzo al governo di promuovere una revisione della legge a garanzia della fauna selvatica e dell’attività venatoria. Molto spesso, anche con altre maggioranze gli atti di indirizzo sono stati approvati con voto bipartisan e nessun voto contrario. Un governo che resta inerte di fronte ad atti di indirizzo parlamentare non fa bene il proprio lavoro».
A quali atti di indirizzo fa riferimento?
«Le cito l’ultimo della commissione Agricoltura che riporta un chiaro indirizzo e ripeto è stato approvato senza voti contrari. Quello che si sta facendo è quanto ci è “imposto” di fare dalla nostra Costituzione che vede il Parlamento rappresentativo della volontà popolare».
Allora, entriamo nel merito allora. Perché potrebbe essere su questo che si giustificano le polemiche. Chi denuncia questa modifica di legge come dannosa per l’ambiente cita in particolare alcune cose: caccia in spiaggia, aumento della possibilità di utilizzare richiami vivi e aumento indiscriminato delle zone dove si può cacciare. E’ vero?
«Semplicemente, non è vero. E dimostra come la maggior parte delle critiche, anche di autorevoli commentatori e di qualche personaggio dello spettacolo, parlano senza cognizione di causa, raggirando di fatto i cittadini. Nel testo che si intende proporre, l’attività venatoria non solo non è autorizzata nelle aree demaniali marittime, ma esplicitamente vietata. Non vi è alcuna modifica sulla gestione dei richiami vivi. Non c’è alcun ampliamento o riduzione obbligatoria delle aree dove l’attività venatoria è autorizzata. L’intervento è considerato dal Parlamento una necessità, e io condivido, perché oggi la legge 157 del ’92 non è più in grado di rispondere interamente alle esigenze per cui fu pensata. Il nuovo procedimento su questo tema è più chiaro e coinvolgerà le istituzioni politiche, come la conferenza Stato Regioni, e quelle scientifiche, come l’ISPRA, e consentirà di definire le aree e i limiti per una corretta chiara pianificazione del territorio. La situazione di caos e di incertezza attuale non dà le giuste garanzie a nessuno».
E da dove nascono allora queste notizie?
«Nella predisposizione dei testi di legge girano bozze, proposte frutto di posizioni differenti e anche veline strumentali. Invece di valutare un testo, si gioca a chi urla di più».
Come nasce la proposta su cui lavora?
«È frutto di una sintesi delle proposte di alcune associazioni agricole, venatorie e ambientaliste, come anche atti di indirizzo parlamentari. A queste segue un confronto tra i ministeri competenti: Ambiente, Agricoltura, Interno, Giustizia e Salute. E ancora un coordinamento con le direttive europee a cominciare da quella “Habitat e uccelli”.
Il testo verrà illustrato al Cdm e verrà discusso in Parlamento. dove le commissioni competenti procederanno alle audizioni dei soggetti coinvolti, dando la possibilità di audire tutte le associazioni ambientaliste, animaliste, agricole e scientifiche. Si forniranno al Parlamento i contributi utili a maturare un convincimento, per approvare, modificare o addirittura respinger il testo. Mi sembra che sia un processo non solo equilibrato, ma anche molto coerente con le regole della nostra democrazia».
Alcuni giornali e gruppi politici hanno sostenuto che lei avrebbe come consulente Gennaro Barra a cui sarebbe stata sospesa la licenza di caccia e che addirittura avrebbe redatto la legge. Vero?
«Come ho già annunciato, ho dato mandato ai legali perché garantiscano l’immagine mia e del Masaf. Questo signore non ha alcun rapporto di consulenza con il Ministero ed escludo conosca il testo che verrà predisposto».
Ma possibile che lei per rispondere ad un indirizzo parlamentare si trova in mezzo a questo vespaio?
«Fare, scontenta alcuni. Non fare, scontenta tutti. Per me vivacchiare per tenersi la poltrona è un atto di codardia. So bene che l’argomento è delicato e interviene in termini emotivi su cittadini molto sensibili al tema. Rispetto la diversità di opinioni. Qualcuno dice addirittura che bisognerebbe abolire la caccia anche perché riguarda una minoranza di cittadini. Rigetto questo approccio. La tutela della fauna selvatica riguarda tutti e il legislatore della 157/92 ha coordinato questo obbiettivo con la regolamentazione della attività venatoria. Basta leggere il titolo. Ma se anche riguardasse una minoranza si dovrebbe fare, proprio perché lo Stato ha il dovere di occuparsi di tutti, anche delle minoranze».
Il problema è allora un altro?
«Certo, e bisogna evitare ipocrisie. Molti pensano, e sono chiaramente liberi di farlo, nel rispetto di chi non la pensa come loro, che bisognerebbe vietare la caccia. Nel 1990 fu proposto anche un referendum in tal senso. L’Italia sarebbe stata l’unica nazione europea a vietarla, ma l’esito non fu favorevole. In trent’anni tutte le forze politiche presenti in Parlamento sono state più volte al Governo, ma mai nessuno ha inteso proibire l’attività venatoria come dicono di voler fare ora dall’opposizione. Semplicemente e in qualche modo, vigliaccamente, tutti preferivano il caos alle polemiche, con danni conseguenti».
A cosa fa riferimento?
«Tribunali intasati da ricorsi e controricorsi. Regioni di centrodestra come di centrosinistra con uffici impegnati per mesi a seguire contenziosi evitabili con regole chiare. Forze dell’ordine spesso lasciate senza strumenti normativi utili a effettuare controlli efficaci, anche contro il bracconaggio e altri illeciti. Oggi la programmazione del ripopolamento è caotica e spesso dannosa nella sua attuazione, come anche esiste il rischio di elusione fiscale di imprese collegate al settore. C’è bisogno di adottare criteri scientifici per regolare la presenza di alcune specie al fine di non danneggiarne altre. Di arginare prontamente problemi sanitari che portano alla diffusione di zoonosi come la Peste Suina Africana, mettendo a rischio l’esistenza di altre specie. Ci sono anche problemi dovuti a modifiche istituzionali, come l’indebolimento delle Provincie, di cui l’attuale normativa non tiene conto, lasciando lacune nei controlli. Abbiamo danni all’agricoltura e al mondo produttivo, come anche veri e propri pericoli per l’uomo derivanti dalla fauna selvatica in eccesso. Nel 2024 ci sono stati oltre 193 incidenti gravi che hanno coinvolto animali selvatici e provocato 11 morti e centinaia di feriti».
Quindi lei fa una cosa che andava fatta?
«Credo che il governo attuale si caratterizzi per un cambio di passo. Se le cose andavano lasciate com’erano bastavano quelli che ci hanno preceduti. Ma se la Nazione con le più grandi potenzialità del pianeta per biodiversità commisurata al territorio, per tradizioni, storia e cultura è stata lasciata al governo Meloni in queste condizioni è perché in troppi pensavano a restare incollati alle poltrone più che a fare le cose che andavano fatte».