
Idee forti
Leone XIV e l’eredità della Rerum Novarum: la destra sociale ritrova le sue radici in un nome che è già un programma
Nel solco della tradizione, il nuovo Papa raccoglie la sfida dell'epoca digitale riscoprendo la centralità del lavoro, della proprietà privata e della dignità umana. Un messaggio che parla tanto alla Curia quanto alla destra mondiale
Robert Francis Prevost avrebbe potuto prendere il nome di Francesco II, Benedetto XVII, Paolo VII. Oppure avrebbe potuto decidere per Giovanni XXIV, assecondando una battuta che aveva fatto capolino più volte nelle uscite giornalistiche del suo predecessore, Jorge Mario Bergoglio. Il primo papa statunitense di sempre ha fatto però di testa sua, lanciando un nome che è allo stesso tempo un programma sia pastorale che politico. Il riferimento è certamente a Leone XIII, il pontefice della Rerum novarum (1891), la storica enciclica che ha inaugurato il magistero sociale della Chiesa romana.
Papa Leone XIV: un nome che dice tutto
A quanto pare, sarebbe stato lo stesso Prevost a chiarire agli ormai ex colleghi cardinali il valore di un nome che viene da lontano e che pesa come un macigno. E lo ha fatto durante la prima cena dopo il voto della Sistina. Nello scegliere come chiamarsi, il neoeletto Leone XIV ha pensato ai tanti lavoratori che rischiano di rimanere a casa a causa della rivoluzione «digitale» e all’irrompere dell’intelligenza artificiale nel tessuto economico globale. Uno scenario che inquieta e fa tremare le vene e i polsi.
Le analogie con la Seconda rivoluzione industriale e con la massa di sfruttati prodotta potrebbero non risultare forzate. Papa Gioacchino Pecci, allora, seppe mettersi in ascolto delle sofferenze del proletariato sia europeo che americano. E seppe reagire, pur rimanendo fedele a un profilo dottrinario granitico e alla scelta, inaugurata da Pio IX, di autoesiliarsi in Vaticano come protesta nei confronti del Regno d’Italia, che aveva messo fine al potere temporale della Chiesa.
Un’eredità scomoda per la sinistra
Una parte dell’intellighenzia di sinistra non ha ancora perdonato a Leone XIII di aver interrotto il monopolio socialista sulle masse popolari, arginando il dilagare dell’ateismo politico tra i più poveri. Una scelta profetica che ha spalancato le porte a un nuovo modo di intendere l’impegno dei cattolici in politica, inaugurando una «terza via» tra il capitalismo e quel comunismo che di lì a breve avrebbe dilagato in Russia.
Una lezione che parla alla destra
Sarebbe un buon auspicio se, sulla scorta dell’elezione di Leone XIV, quella primissima enciclica venisse presa in mano e riletta. Fuori dalla dialettica sterile se Prevost sarà o no il contraltare di Donald Trump, anche la destra dovrebbe riscoprire una lezione che è nel suo dna. Nazzareno Mollicone e Francesco Carlesi lo hanno spiegato con una puntualità disarmante: la Dottrina sociale è una delle fonti del sindacalismo nazionale.
Giano Accame, storico direttore di questo giornale, era convinto che la destra o è sociale o non è. Sin dalla sua fondazione, l’Msi fece la scelta storica di puntare allo Stato nazionale del lavoro, di parlare di socializzazione, uguaglianza, giusto salario, rifiutando nettamente – come già aveva fatto Papa Pecci – qualsiasi formula che intendesse abolire la proprietà privata o generare conflitti fratricidi all’interno delle Nazioni.
Il Movimento sociale italiano, inoltre, ha mantenuto costantemente la barra dritta sul tema della partecipazione dei lavoratori nelle scelte delle imprese e sulla necessità di dare attuazione all’articolo 46 della Costituzione. Una battaglia che da sempre è terreno comune con il mondo cattolico.
La destra sociale è una postura
Destra sociale non è da derubricare tra gli ossimori della politica novecentesca. È qualcosa di più: una postura preideologica, un modo di declinare il presente rimanendo ben saldi sul principio che l’Uomo è superiore ai sistemi economici e che, tra individuo e comunità, vada sempre scelta quest’ultima.
Di recente, Marcello Veneziani ha spiegato come la simpatia umana tra Papa Francesco e il presidente del Consiglio Giorgia Meloni avesse come punto di convergenza la medesima sensibilità sociale. Una sensibilità ancorata nell’idem sentire patriottico e nella medesima apertura – ma declinata a partire da differenti ed evidenti responsabilità – al trascendente.
Servono leader connessi con questo tempo storico
Il retroterra peronista di Bergoglio è uno dei tratti meno esplorati del pontefice argentino. Eppure, soprattutto la primissima ondata giustizialista ebbe nella Dottrina sociale della Chiesa una bussola imprescindibile. Talvolta, nel linguaggio del pontefice appena scomparso, quella frequenza è emersa con forza, fino a ingenerare incomprensioni circa un suo inesistente marxismo. E non è stato certamente un caso se papa Francesco abbia deciso di accettare l’invito del premier Meloni a partecipare al G7 di Borgo Egnazia, il 14 giugno 2024, e parlare ai principali leader mondiali di intelligenza artificiale. È stata la prima volta per un pontefice. Forse non sarà neanche l’ultima.
La preoccupazione di Leone XIV per i rischi connessi alla rivoluzione digitale chiama in causa tutti coloro che hanno il retroterra per raccogliere l’allarme sociale in corso. I processi, in fondo, devono essere governati. E la rivoluzione digitale segnerà decisamente un’epoca. Per questo servono leader connessi con questo tempo storico.