
Trilogia di Deirdre McCloskey
La “vecchia” borghesia sembra destinata ad affondare. Come scommettere sulle nuove aspettative
Dall’alto di tre poderosi volumi, ora editi, in Italia, da Silvio Berlusconi Editore (“Etica per l’età del commercio”, “Dignità Borghese. Perché l’economia non può spiegare il mondo moderno”, “Eguaglianza borghese. Come le idee, non il capitale o le istituzioni, hanno arricchito il mondo”), Deirdre Nansen McCloskey, 82 anni, una delle figure più in vista del mondo accademico americano, prova a riportare la borghesia al centro dell’agone culturale, rivendicandone ragioni, principi e potenzialità.
La sfida non è facile. Per un secolo e mezzo, la borghesia è stata disprezzata da élite e intellettuali: i valori borghesi e il capitalismo sono stati inquadrati come responsabili della povertà economica fino a quella morale, dalle guerre mondiali allo spaesamento spirituale. McCloskey si impegna, al contrario, a dimostrare che il capitalismo è un fenomeno positivo dell’epoca moderna e contemporanea, al di là delle false interpretazioni dell’analisi storica, filosofica ed economica. Per l’autrice, il concetto di “borghesia” non esclude a priori quello di “virtù”, data la connaturalità tra valori borghesi e comportamenti virtuosi.
In sintesi: secondo l’autrice va riconosciuto al capitalismo di avere contribuito ad un progresso non solo materiale ma soprattutto etico e valoriale. Nel libro “Dignità borghese”, la studiosa si interroga sulle origini della rivoluzione industriale e dell’ascesa del capitalismo. Secondo McCloskey, le vere cause di tale trasformazione socioeconomica non sono da ricercare nell’ambito di fattori economici, bensì nel cambio di prospettiva assunto dalla retorica dell’epoca: un modo di “raccontare” in positivo tematiche come proprietà privata, commercio e borghesia si è sostituito a quello denigratorio tipico della tradizione.
Sotto un’altra prospettiva sono analizzate le origini della borghesia in “Eguaglianza borghese”, libro conclusivo della trilogia. Qui, McCloskey va al fondo delle teorie più diffuse tra i maggiori economisti, che pongono alla base dello sviluppo economico moderno l’accumulo di capitali dal Settecento in poi.
Per l’autrice fu la circolazione di idee come la pari dignità e la libertà a stravolgere un assetto secolare delle gerarchie al potere, favorendo la crescita dell’economia moderna. I nuovi valori hanno collocato sullo stesso piano delle virtù il desiderio di migliorare, attraverso il commercio, le proprie condizioni di vita. Un mutamento culturale così radicale ha permesso la trasformazione socio-economica contemporanea.
Detta così il quadro pare idillico. Alla base lo sviluppo di idee ed innovazioni che hanno cambiato tutto. La vera svolta sarebbe che negli ultimi due secoli gli esseri umani hanno “inventato il metodo per inventare”. A rendere possibile questa rivoluzione sarebbe stata una nuova libertà. Le idee e le invenzioni si sono diffuse grazie alla nuova dignità riconosciuta alle persone comuni, a quell’”eguaglianza” di cui la tanto bistrattata classe borghese e il liberalismo europeo si sono fatti portatori. Tutto bene, dunque ? Lungi da noi il pensare di potere “confutare” le entusiastiche e debordanti analisi della McCloskey, in quattro righe. Altri ci hanno provato e con risultati non del tutto disprezzabili. A noi preme evidenziare l’affievolirsi della “spinta propulsiva”, teorica e pratica, della borghesia e delle oggettive debolezze di un Sistema alimentato dalle macchine da profitto di marca borghese.
Già Joseph de Maistre, nel vivo della polemica antiborghese, più di duecento anni fa, denunciava i pericoli dell’individualismo, sottolineando come “ovunque domini la ragione individuale, non può esistere niente di grande, perché tutto quanto è grande riposa su una fede e lo choc delle opinioni particolari abbandonate a loro stesse, produce solo uno scetticismo che distrugge tutto”. Secondo McCloskey per i borghesi non conta solo l’interesse economico. In realtà – usiamo l’immagine di Georges Sorel – la borghesia ha due facce.
La prima è quella della stanchezza e della decadenza, priva di slanci, appagata nell’ avere esaurito il suo ruolo storico. L’altra è quella vigorosa e ricca di volontà, “razza dei capi audaci” infiammati dalla passione del successo. Le sorti del mondo, assediato dalla decadenza, si giocano dalla possibilità che le forze in campo (il proletariato e la borghesia) dispieghino il loro spirito combattivo. Da “Réflexions sur la violence” (1908) di tempo ne è passato. I contesti sono mutati e così i rapporti tra le forze sociali. A cercare ragioni suggestive per misurarsi adeguatamente rispetto alla crisi contemporanea certi guizzi soreliani continuano tuttavia a mantenere invariato il loro fascino, soprattutto laddove invitano ad incalzare la borghesia, a richiamarla ai propri doveri, ad essere meno “vigliacca” rispetto alle emergenze dell’ora presente e a non considerarsi immune rispetto alla crisi contemporanea.
Nei Miserabili , Victor Hugo definiva i borghesi come la “parte del popolo soddisfatta”: una definizione suggestiva ed efficace, che ha avuto diverse declinazioni, ben oltre l’idea marx-engelsiana, secondo cui “per borghesia si intende la classe dei capitalisti moderni che sono proprietari dei mezzi della produzione sociale e impiegano lavoro salariato”. La declinazione più immediata è stata quella economica, legata al potere del denaro, all’acquisto di beni, all’ostentazione del lusso. Unita ad essa quella culturale, determinata dalla trionfante visione della vita e del mondo, di marca utilitaristica. Poi, ancora, la faccia politica, segnata dal formalismo democratico, a base egalitaria, e dallo status.
La “soddisfazione borghese” ha permeato di sé gli Stati, le idee, gli apparati, i modelli comportamentali. Si è fatta sistema complesso e onnicomprensivo, in grado di travolgere e metabolizzare vecchie appartenenze ed identità radicate. Tutto questo fino a quando la borghesia non è stata costretta a misurarsi con le sue intime contraddizioni, con il suo “appagamento”, vedendo sfarinarsi certezze che parevano immutabili, destini storicamente segnati, perfino la sua stessa esistenza.
L’ideologia del futuro, del progresso infinito (soprattutto nella produzione e nei profitti), a cui la borghesia ha legato i propri storici destini, oggi è morta. E’ morta in quell’Occidente che è stato il bacino naturale di vita della borghesia, dopo essersi trasferita all’interno di culture e realtà socio-economiche ben lontane dai naturali bacini d’incubazione e di crescita del produttivismo occidentale. E’ emigrata in quelli che un tempo si definivano “Paesi in via di sviluppo”. Ha decentrato nei loro grandi spazi le produzioni sporche e a basse tutele sociali, ivi trovando bacini adeguati alle nuove domande energetiche e di consumo. Ma ha anche incontrato nazioni giovani e vitali, fortemente motivate, avviate sulla strada dell’affrancamento sociale e dell’orgoglio nazionale, dopo avere patito, per secoli, il servaggio della carestia.
Senza un’idea di Patria, ma neppure senza un’idea europeista ed internazionalista, in grado di comprendere e ricomprendere i nuovi scenari mondiali, la borghesia, dopo avere galleggiato, per decenni, nei suoi piccoli, melmosi interessi, pare destinata ad affondare. Fino a ieri l’ha salvata, a fasi alterne, la propria autostima, fondata sul benessere domestico e sull’idea che questo fosse sufficiente non solo a legittimarla, ma a garantirle anche una visione universale. All’interno di un sistema chiuso, autoreferenziale, a base professionale, la borghesia si è difesa alzando i ponti levatoi del proprio egoismo, incapace però di guardare che cosa si profilava all’orizzonte, quali scenari nuovi venivano a delinearsi, quali rischi per la sua sopravvivenza.
Priva di idee in grado di contenere le mutazioni socio-economiche ed antropologiche del tempo della post modernità, la borghesia si è illusa che l’enunciazione dei vecchi principi potesse essere sufficiente a rilegittimare il suo potere. Con il risultato di subire la crisi della modernità, piuttosto che “cavalcarla” e superarla, ripensando un modello di sviluppo, oggi slegato da ogni base nazionale; ridiscutendo l’utilitarismo, che ha legittimato la sua ragione d’essere, per guardare ad una visione solidale del Sistema Paese; ritrovando l’ idea di Stato, troppo rapidamente messa in archivio; guardando alle inadeguatezze del modello di rappresentanza politica, oggi che sono le competenze a dettare legge e la decisione a rimarcare i tempi della politica. Nuove aspettative sono all’ordine del giorno della Nazione. Farsene carico sarà la sfida del domani delle classi dirigenti. Andare oltre la vecchia cultura borghese sarà la vera scommessa del domani.