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Integrazione tecnologica e sicurezza energetica per non finire al buio: la lezione del blackout spagnolo

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Integrazione tecnologica e sicurezza energetica per non finire al buio: la lezione del blackout spagnolo

La complessità degli attuali sistemi elettrici, oggi sempre più interconnessi, rende infatti  indispensabile poter contare, in caso di emergenza, su una adeguata capacità di produzione da fonte programmabile

Scienza - di Gian Piero Joime - 4 Maggio 2025 alle 07:00

Nello scenario della transizione energetica, le  reti hanno un ruolo fondamentale per l’elettrificazione  dei consumi e per la crescita della generazione rinnovabile: le reti di trasmissione per integrare l’eolico e gli impianti solari fotovoltaici su scala utility; le reti di distribuzione per integrare le risorse energetiche distribuite (rinnovabili, veicoli elettrici, batterie), per realizzare l’elettrificazione e gestire l’aumento dei flussi bidirezionali, anche per la presenza crescente dei cosiddetti prosumer, cioè consumatori che agiscono anche come produttori.

Dalle  poche centrali di grandi dimensioni sotto il pieno controllo degli operatori di rete, si è giunti in breve tempo alla presenza di milioni di dispositivi in grado di produrre energia rinnovabile,  non programmabile e non direttamente controllabile  dagli operatori di rete.  Questo cambiamento è stato ed è trainato dalle politiche volte sia a contrastare i cambiamenti climatici che  a mitigare le contingenze legate alle vulnerabilità degli approvvigionamenti delle fonti fossili e alle crisi energetiche, e dall’accelerazione competitiva dell’industria delle Clean technologies.

Integrazione tecnologica e sicurezza energetica: modi per evitare il blackout

Già nel  2024, il 46,9% dell’elettricità netta generata nell’Ue proveniva da fonti rinnovabili, con la Danimarca che ha raggiunto una quota dell’88,4% . In Europa, gli scenari Net zero ipotizzano un tasso di elettrificazione del sistema elettrico europeo di oltre il 30% entro il  2030, che deve superare il 60% entro il  2050, dal 23% del 2024,  e prevedono una capacità rinnovabile in forte crescita,  che andrà a coprire circa il 70% della generazione elettrica nel  2030,  e circa il 90% nel  2050.  Le reti di distribuzione dovranno nei prossimi anni sostenere l’elettrificazione degli usi energetici e l’integrazione di 700-800 GW di nuova capacità rinnovabile non programmabile, di cui il 70% connessa alle reti di distribuzione.

Una sfida imponente che richiede il rafforzamento, l’ammodernamento e la digitalizzazione delle infrastrutture di rete europee e un nuovo e più sfidante ruolo dei Distribution System Operators. In questo turbolento e accelerato scenario, le reti rischiano di diventare l’anello debole della transizione verso l’energia pulita.  La natura variabile delle fonti rinnovabili e il loro crescente utilizzo nella produzione di elettricità, richiedono l’ammodernamento, il rinforzo, l’espansione e lo sviluppo intelligente delle reti elettriche che dovranno progressivamente convertirsi in un sistema più decentralizzato, digitalizzato e flessibile. E soprattutto più sicuro. Il notevole aumento della produzione elettrica da fonti rinnovabili da un lato e la maggiore diffusione di tecnologie pulite dall’altro, hanno iniziato a confrontarsi con una capacità delle reti che appare limitata, come nel caso del black out spagnolo.

L’emblematico caso del blackout spagnolo oltre la sicurezza energetica

Il 28 aprile, intorno alle 12.30, in Spagna, Portogallo e in alcune città del sud della Francia è letteralmente saltata  la rete elettrica. Anche se i dettagli sull’accaduto sono ancora in corso di ricostruzione per accertarne con precisione  le cause, diverse autorevoli fonti ipotizzano che l’incidente si e’  verificato sulla rete di trasmissione  per poi propagarsi sull’intero sistema. Si è verificato un fenomeno di oscillazione di frequenza e sembra siano da escludere cause legate a eventi climatici estremi o a intrusioni informatiche.
Secondo le prime analisi sono state rilevate due perdite di generazione di corrente di pochi secondi, che il sistema non è stato in grado di assorbire, provocando così  il black-out generalizzato.  Due eventi a distanza di qualche secondo, il  primo per  un’improvvisa diminuzione della produzione fotovoltaica seguito dalla disconnessione di una linea elettrica con la Francia.
Questa doppia perturbazione avrebbe causato poi una disconnessione ancora più massiccia della produzione di energia solare, che ha portato al collasso della frequenza e infine ha causato il blackout. L’oscillazione della frequenza dovuta al massiccio distacco di generazione (sembra  che in 6 secondi la frequenza sia scesa  da 50 Hz a 47 Hz)  ha dunque probabilmente determinato il blackout,  mentre i tempi lunghi di risoluzione del problema dipendono dall’assenza di adeguati e operativi impianti di riserva (impianti termici, nucleari ecc. spenti e quindi impossibili da riaccendere in tempi brevi) nel sistema elettrico spagnolo.

Sicurezza energetica, Cos’è accaduto prima del “Grande blackout” in Europa?

Nei giorni precedenti si stavano già verificando  forti oscillazioni di frequenza e il 28 aprile la situazione in entrata della rete spagnola era costituita da un totale di 32mila megawatt: 18.000 che provenivano da impianti fotovoltaici, 3.500 dall’eolico, 3.000 dall’idroelettrico, 3.000 dal nucleare, 2.000 da autoproduzione, 1.500 dal termico e 1.000 dal gas. I consumi, invece, erano concentrati per 25.000 megawatt in Spagna, mentre venivano esportati 3.000 in Portogallo, 2.000 in Francia, 1.000 tra Baleari e Marocco e il restante per il pompaggio dell’idroelettrico. Il  28 aprile le fonti rinnovabili pesavano  per il 79,6% della produzione spagnola di energia, certo una grande quantità di energia rinnovabile e non programmabile, ma forse sostenibile se il sistema avesse avuto a disposizione un’architettura di rete capace di gestire le oscillazioni di frequenza.
Nel momento in cui l’oscillazione non è stata più gestita, è arrivato il blackout, perché gli impianti si sono staccati autonomamente dalla rete per evitare danni. Si sono scollegati 15mila MW prodotti da impianti fotovoltaici e le stesse centrali nucleari hanno attivato le procedure di emergenza, lasciando il Paese senza elettricità. La ripartenza poi è stata lenta, perché riavviare le centrali nucleari o le rinnovabili che non ripartono a comando è più complesso  rispetto a riaccendere le centrali a gas, che possono essere riattivate in tempi brevi se sono ‘calde’ (quindi accese anche se non a pieno regime). In questo caso sembra che rifossero  addirittura ‘fredde’ e quindi con tempi di reazione lunghi.

Cosa fare per evitare problemi nei sistemi elettrici, mantenendo la sicurezza energetica

La complessità degli attuali sistemi elettrici, oggi sempre più interconnessi, rende infatti  indispensabile poter contare, in caso di emergenza, su una adeguata capacità di produzione (cosiddetta di riserva”) da fonte programmabile – termoelettrico, nucleare,  idroelettrico, pompaggi, sistemi di stoccaggio –  che intervengono in caso di emergenza, aprendo  gli interruttori mentre  la generazione scende,  in maniera da cercare di ripristinare un corretto bilancio tra generazione e carico. In questo caso  nel modello spagnolo, ed è  una  causa del black out, la riserva di energia non ha risposto.

Il sistema elettrico iberico, spesso da diverse parti preso ad esempio per i bassi costi energetici e per l’attrativita’  degli investimenti, è infatti basato sulla  forte e centrale produzione rinnovabile: questo determina l’effetto positivo della riduzione del prezzo dell’energia, ma deve essere necessariamente supportato da una capacità cosiddetta “di riserva”, che viene da fonti programmabili, specialmente idro e termo-elettrico, che deve poter intervenire per garantire la tenuta e la sicurezza. E che in questo soleggiato finale d’aprile,  evidentemente si è inceppato.  In quei  giorni di forte produzione di energia solare   in Spagna i prezzi dell’energia erano bassissimi, con la conseguenza di spiazzare le fonti di produzione programmabile (appunto necessarie come riserva) che semplicemente non hanno avuto la convenienza ad avviare gli impianti, non riuscendo a coprire nemmeno i costi di produzione.

Come è strutturato il sistema spagnolo e quali sono le cause del “buio”

Il sistema spagnolo prevede che le energie rinnovabili debbano essere messe a ogni costo nel sistema perché per il consumatore finale comportano una riduzione notevole del prezzo. E in un sistema così fortemente centrato sulla leadership di costo, può accadere che si possa preferire tenere  spente le centrali a gas piuttosto che farle lavorare in perdita. Il risultato è che senza le centrali di regolazione (a gas, idroelettriche, ecc.) che garantiscono un apporto costante – e di emergenza – e senza una rete adeguata per gestire le oscillazioni, per esempio attraverso i compensatori capaci di regolare la frequenza, può succedere quello che è accaduto il 28 aprile, ovvero che il sistema salti. Serve quindi un mercato della capacità che garantisca un intervento di questi impianti nei momenti critici.
Sembra poi, secondo diverse fonti,  che un’altra  causa del black out sia la debolezza dei sistemi di controllo e di regolazione. Le fonti rinnovabili in generale sono molto sensibili alle perturbazioni, quindi appena la rete manifesta una perturbazione, gli inverter, ovvero gli apparecchi che collegano le fonti rinnovabili alla rete, si spengono, e rendono del tutto inutilizzabile la produzione. Esistono  normative tecniche, come in Italia, che già da anni hanno previsto questa possibilità e impongono agli inverter di non disconnettersi in queste condizioni. Evidentemente questa normativa in Spagna non è applicata, per cui è possibile che una perturbazione di rete, in più estremamente rapida,  abbia di fatto causato lo spegnimento di molti inverter e quindi lo sbilanciamento della rete che ha visto un carico elevato e troppo poca generazione di riserva.

La mancata sicurezza energetica: Il piano di difesa del sistema elettrico spagnolo non ha tenuto

Il piano di difesa del sistema elettrico spagnolo non ha tenuto nel suo complesso. Rinnovabili e anche impianti convenzionali si sono staccati per la repentina oscillazione di frequenza, troppo poca rotante in servizio che poteva rispondere automaticamente, alleggeritori di carico e risorse interrompibili che invece non si sono staccate. La situazione di fragilità del sistema spagnolo è poi acuita dal fatto che le interconnessioni elettriche tra la penisola e il resto d’Europa sono estremamente limitate, con evidenti ripercussioni per la sicurezza della rete, in caso di crisi come questo black out del 28 aprile.
Il modello spagnolo,  almeno in questo caso di improvvisa crisi,  ha dimostrato di non saper disporre  dei sistemi per gestire il paracadute offerto dalla riserva delle centrali a gas, idroelettriche e tutte quelle fonti programmabili necessarie a intervenire in caso di crisi; e di  avere una rete che probabilmente necessita sia  di grandi investimenti,  che la rendano più moderna ed adeguata alle fonti intermittenti, sia  di interventi  tecnico-normativi diretti a mitigare i rischi delle oscillazioni di rete.
Un modello molto orientato alla leadership di costo, economicamente vantaggioso per molti, ma imprevedibile, e  che per essere gestito ha bisogno di un sistema di rete  che sappia attutire gli sbalzi delle fonti rinnovabili non programmabili. Vantaggioso per molti, ma qualche domanda sulla stabilità di lungo termine del sistema e sulla sostenibilità per le future generazioni, e dunque in linea, non solo ideologica e commerciale con la teoria dello sviluppo sostenibile, occorre porsela, e in profondità.

La prima lezione e la seconda lezione su integrazione e sicurezza energetica

La prima lezione è che il sistema elettrico, il complesso sistema elettrico, e’ un patrimonio strategico nazionale,  e come tale non può essere definito dalle sole leggi del mercato e deve essere tutelato da ogni forma di fanatismo, tanto ideologico quanto commerciale. E deve avere un respiro di lungo termine. La seconda lezione è che la strada dell’integrazione tecnologica è la strada corretta. La scelta  del mix energetico deve essere calibrata in funzione della sostenibilità ambientale, ma anche e in egual misura, della sostenibilità economica e sociale, e deve dunque essere misurata  sia in termini di sostenibilità che in termini di equilibrio. Alla variabilità delle fonti rinnovabili si deve rispondere con un equilibrato mix delle fonti energetiche: se  nella rete entra troppa energia rinnovabile, la rete scoppia; se ne entra poca, cede.
A differenza delle centrali a gas che possono essere accese e spente come un fornello, l’energia che arriva dal fotovoltaico e dall’eolico non è regolabile e dipende dalle condizioni atmosferiche. Ma l’energia deve  essere regolata. Non c’è dubbio che la transizione verso le fonti rinnovabili debba procedere spedita, ma va gestita nel solco dell’integrazione tecnologica e nell’ambito della sicurezza e della tenuta generale del sistema. Non si può ancora fare a meno – solo per motivi ideologici e commerciali – della duttile produzione a gas, rimanendo senza un paracadute in caso di criticità. E allo stesso tempo non si può prescindere, nel medio termine,  dall’ opzione nucleare. La strada per una equilibrata transizione energetica  è la strada dell’integrazione delle fonti rinnovabili con il gas e con il nucleare, e della costante ricerca di innovazioni incrementali e dirompenti, in particolare rivolte al per troppo tempo trascurato settore dello stoccaggio.

La terza lezione sulla sicurezza energetica

La terza lezione è la centralità delle reti di trasmissione e di distribuzione, che determinano la sicurezza energetica, che attraversano tutto il Paese, entrano in tutte le case e in tutte le imprese, e che permettono di accendere l’energia italiana. Questo evento evidenzia come la rete sia strategica per la sicurezza e la tenuta del sistema elettrico. E ribadisce la necessità di ingenti investimenti per fare in modo che l’infrastruttura sia sempre più moderna e  flessibile,  visti i consumi in costante crescita, l’aumento delle rinnovabili e la sempre maggiore frequenza degli eventi meteo estremi. L’ammodernamento della rete passa dagli investimenti,  che nel settore elettrico sono remunerati in bolletta. L’evidente sfida della politica energetica consiste nella ricerca dell’equilibrio tra gli investimenti per la modernizzazione delle infrastrutture strategiche di rete e gli oneri delle bollette, che pesano sui consumi delle famiglie e sugli investimenti delle imprese.

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di Gian Piero Joime - 4 Maggio 2025