
La storia, oltre le cronache
Gli anni del terrorismo e la loro fine: cercasi storici disponibili alla nuda verità. Ora è compito loro, non dei giudici o dei politici
Le domande fondamentali su quella stagione restano ancora oggi inevase: come hanno potuto bande di terroristi agire così a lungo? Erano in qualche modo eterodirette? Hanno avuto protezioni? Le risposte richiedono il coraggio di non nascondere nulla e, soprattutto, di non cedere alla propaganda
Quando viene commesso un delitto, la magistratura ha il compito di indagare, e, scoperto il colpevole, condannarlo; se il colpevole è un mero esecutore, deve anche ricercare e condannare il mandante. Il magistrato non ha altro dovere, e quindi non deve perdersi in analisi sociologiche, e tanto meno in ricerche e tesi storiografiche, e non possiede, in quanto magistrato, nemmeno gli strumenti metodologici; quelli che eventualmente possegga come privato, deve lasciarli a casa. Se applichiamo questo principio alla cronaca degli anni cosiddetti di piombo, diciamolo in senso lato, 1970-90, troviamo che sono stati individuati e condannati alcuni, anche molti colpevoli di singoli crimini e reati.
Se erano esecutori, esecutori di qualsiasi cosa se ne trovano a iosa: esecutori entusiasti per qualsiasi motivo ideologico, a volte con passaggio da un’ideologia all’altra e ritorno; esecutori balordi; esecutori disperati; esecutori fanatici; e anche esecutori professionali, i quali non vogliono essere informati più dell’indispensabile… e, com’è facile dedurre, sono quelli che, anche abilmente e pressantemente interrogati, non avrebbero nulla da rivelare, da professionisti quali sono, e non le intenzioni dei mandanti, che non si sono mai premurati di farsi spiegare, anzi…
Sta bene, però le indagini e condanne non sono riuscite – e, ribadisco, non era compito loro – a rispondere a domande di fondo, le quali sono: 1. Come sia stato possibile che bande di terroristi agissero indisturbate, e per decenni, e agevolmente commettendo ogni genere di furti, rapine, delitti, assassini e stragi. 2. Se tali bande si siano formate spontaneamente, o siano state in vario modo eterodirette e da qualcuno organizzate. 3. Se abbiano usufruito di fattive protezioni interne e internazionali; o, come dicono, “deviate”, non si sa deviate da che, e un “che” il quale sarebbe stato invece sulla diritta via: omissis.
La risposta ufficiale degli anni in parola fu, ed è, fossero schegge impazzite del Sessantotto passate di loro iniziativa e spontaneisticamente alla lotta armata. Chi però il Sessantotto l’ha fatto davvero, sa che le velleità rivoluzionarie erano sì argomento quotidiano tra i gruppi giovanili di ogni segno; però altro era immaginare avventure, altro – ben altro – era dotarsi davvero di armi e di logistica e abitazioni e di lauti mezzi di sussistenza; e, considerazione banale, le armi non erano, e non sono difficilissime da procurarsi, tuttavia bisogna saperle adoperare; tanto più gli esplosivi, che se non gestiti bene hanno il vizietto di esplodere come pare a loro. E, confessiamolo, i sessantottini autentici appartenevamo a due umane categorie (concomitanti nelle stesse persone): fummo poco più che adolescenti (io contavo anni 18), e più o meno intellettuali; categorie entrambe per loro natura pochissimo pragmatiche e operative. No, davvero non lo vedo, l’utopista medio, a compiere azioni che, orrende quanto si vuole, erano però anche di una sorprendente efficacia. Faccio alcuni esempi abbastanza noti, e mi affido anche alla personale memoria di chi legge.
Ricordo il caso Moro: nel pieno centro di Roma, azione di due minuti; cinque uccisi; il rapito, perfettamente indenne; due mesi di detenzione non in forre del Gennargentu ma in zone urbanizzatissime dell’Urbe; facilità di comunicazione cartacea (allora non c’erano cellulari e pc); assassinio; trasporto del cadavere sempre in pienissimo centro; processo, è vero, e condanne ma senza chiedere, e sentirsi rispondere, quello che si chiedeva tutta Italia in mezzo alla piazza: perché proprio Aldo Moro e non un altro; e se quindi c’era un movente specifico e non generico. Riaffermo che non è compito dei magistrati fare domande di natura politica e storiografica; e si formularono varie ipotesi, che però, ancora nel 2025, non meritano nemmeno il nome d’ipotesi, solo di emozionanti illazioni. Ovvio che non spiegano niente le chilometriche “risoluzioni strategiche” delle Br, diluvi di termini ideologici.
Ricordo Ustica, dove ora si suppone sia avvenuta un’azione di guerra; però non sappiamo di chi contro chi: lo immaginiamo, ma tutto qui. Ricordo uccisioni e “gambizzazioni” di persone scelte a caso e come obiettivi simbolici. Ricordo la stagione di quando la mafia entrò in guerra contro lo Stato… dopo il mezzo secolo di cordialissima tregua 1943-1990. E che dire di Falcone, Borsellino, e della strana vicenda di Dalla Chiesa? Ricordo altra fattispecie: gli scontri tra opposte fazioni, iniziati con le banali risse e non raramente spinti fino alle uccisioni. Chi scrive sospetta, anche con i suoi personali ricordi, che lo scontro ebbe l’effetto di impedire, contro il sistema, l’incontro generazionale, che stava iniziando: di ciò, qualche altra volta, e con testimonianza personale.
Quanto sopra, e quant’altro, si lascia interpretare in un duplice senso, duplice e a volte intrecciato: una componente di entusiasmo delle intenzioni; e una, o più d’una, di mano occulta e regia. Se, infatti, lo scopo dei terroristi è, tautologicamente, diffondere il terrore; è altrettanto vero che il timore giova spesso al potere. Deduciamo che l’ondata di terrorismo 1970-90 oggettivamente contribuì a prolungare la cachettica vita dei partiti del sistema della cosiddetta Prima Repubblica, già in crisi e gravida di sospetti; e che molta parte dell’opinione pubblica continuò a sopportare per paura dell’ignoto.
Si aggiunga un fattore che troppo spesso la storiografia di matrice razionalistica e idealistica tende a trascurare nella narrazione dei fatti umano, andando sempre in cerca di spiegazioni intellettuali anche dei terremoti; e, come gli storici francesi su Waterloo, qualcuno persino chiama in ballo il fato. Dico il caso ed errore, che invece è sempre latente nelle azioni umane, anche individuali. Gli anni del terrorismo, ricordiamo, coincidono, in Italia, con un lungo periodo della più desolante inefficienza di tutti i servizi: poste, treni, scuola, inflazione alle stelle, scioperi, scarsa produzione, governicchi balneari… e non si vede perché, in un’Italia in cui niente funzionava, dovessero essere efficientissime le forze dell’ordine. Se mai, il disordine colpì anche quelle; e ne approfittarono sia i terroristi (pure quelli solitari) sia i delinquenti comuni.
La vulgata dei politici e dei giornali politicamente corretti è che, alla fine, lo Stato ha vinto. E risponde alle cronache che, improvvisamente, vennero arrestati e processati molti terroristi. Improvvisamente, dopo che avevano fatto il loro comodo per due decenni. Come mai? Non possiamo che concludere con una voluta insinuazione e con una data: il 28 gennaio 1982, la liberazione armata del generale americano Dozier. Da allora sparirono le Brigate Rosse e cose simili. In latino: “Utrum post hoc an propter hoc?”; per i diversamente latinisti: dopo Dozier, o per aver rapito Dozier? Non ce lo riveleranno mai, o se si saprà, sarà quando di tutto ciò non si curerà nessuno, più di quanto oggi delle bombe del lontanissimo 14 gennaio 1858, che mai fu certo se tirate per follia o per un piano preciso d’intimidazione del Bonaparte cui si attentò. E già che se chiedete in giro chi era Napoleone III, tantissimi cadranno dal pero; e figuratevi Felice Orsini.
Tra qualche anno, chi avrà memoria dei fatti di piombo d’Italia, a parte qualche libro impolverato? Secondo chi scrive, gli anni del terrorismo è meglio se li studiamo oggi; e ottimo se cerchiamo e raccontiamo la verità nuda e cruda, senza nascondere niente e senza approfittarne per far propaganda oggi su acqua da tanto tempo passata. È compito degli storici, non dei giudici o dei politici.