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Musk Trump genocidio dei bianchi

Davanti ai fatti

Fuoco e fiamme nello Studio Ovale. Il padre di Musk: “Elon e Trump hanno ragione sul genocidio dei bianchi in Sudafrica”

Esteri - di Alice Carrazza - 23 Maggio 2025 alle 09:04

Donald Trump non ha mai amato le mezze misure. Neanche quando si tratta di ospiti di Stato. Ieri, nello Studio Ovale, il presidente degli Stati Uniti ha infatti spento le luci e acceso il proiettore: Cyril Ramaphosa, leader sudafricano, si è trovato costretto a guardare un breve filmato che mostrava contadini bianchi massacrati e politici dell’Anc, principale forza del nazionalismo nero, intonare cori come «Kill the Boer» — letteralmente “Uccidi il boero”, dove boer è il termine afrikaans per indicare i coloni di origine olandese, in particolare i contadini—. In silenzio, poco distante, Elon Musk osservava. Non una parola. Ma, secondo suo padre, non ce n’era bisogno.

Errol Musk: “Elon informa Trump sul genocidio dei bianchi”

«Parlo con Elon e gli racconto com’è la situazione in Sudafrica, e lui lo riferisce a Trump» ha dichiarato Errol Musk in un’intervista esclusiva allo Spectator. «Elon è fuori dal Paese da 35 anni, quindi gli spiego le cose e lui le trasmette al presidente e agli altri. Ma non è stupido, sa benissimo cosa succede qui»

A detta del padre, il patron di Tesla e SpaceX e il tycoon condividono una convinzione: in Sudafrica è da anni in atto un eccidio xenofobo. «Migliaia e migliaia sono morti, uccisi nei modi più orribili. In termini proporzionali, si tratta di genocidio,» afferma senza esitare Errol Musk dalla sua casa a Langebaan.

Il partito al potere in Sud Africa è complice

Per Errol, la colpa è tutta del partito di governo: «I neri incitano a tutto ciò negli stadi da centomila persone. Non esiste più una forza di polizia nel Paese. L’African national congress ha sperperato tutto e se lo sono spartiti. Di certo non si curano dei neri comuni»

Poi affonda: «Il signor Ramaphosa pensa di avere a che fare con “altri politici”. Sediamoci attorno a un tavolo e parliamone. Non preoccupiamoci dei bianchi assassinati. Non preoccupiamoci dei contadini uccisi. Parliamone e basta. Ma con persone come Elon e Trump questo non funziona. Mai».

In quel «mai» si condensa l’anatomia dello scontro: da un lato la politica del silenzio complice, la denuncia frontale dall’altro.

Il fallimento del multiculturalismo secondo Errol Musk

Il padre del beniamino high-tech del presidente non si ferma qui. Boccia senza esitazioni la società plurietnica, definendola un’utopia fallita. «Sembra bello avere un Paese multiculturale e tutto il resto, ma alla fine non funziona. Lo si vede in tutto il mondo».

“Il signor Ramaphosa pensa di avere a che fare con altri politici. Sediamoci attorno a un tavolo e parliamone. Non preoccupiamoci dei bianchi assassinati. Non preoccupiamoci dei contadini uccisi. Parliamone e basta. Ma con persone come Elon e Trump questo non funziona. Mai.”

Errol sostiene che il multiculturalismo abbia fallito in Sudafrica. “I due tipi di popolazione non si mescolano bene. Sembra bello avere un Paese multiculturale e tutto il resto, ma alla fine non funziona. Lo si vede in tutto il mondo.”

Errol vive in una lussuosa villa a due piani sulla costa di Langebaan, a due ore da Città del Capo. Ha due figli piccoli – Elliot, 8 anni, ed Elias, 6. Anche se dice di sentirsi al sicuro lì, i suoi figli maggiori – Elon e Kimbal – vogliono che trasferisca la famiglia in America.

“Ho una casa ad Austin, in Texas, da cui sono appena tornato due o tre settimane fa, e ci tornerò presto. Ma vivo qui e ho due bambini piccoli in Sudafrica di otto e sei anni. E il resto della mia famiglia è tutta in America, in Texas.

“Crescendo in Sudafrica, sono cresciuto molto povero, quindi non ho tratto alcun vantaggio dall’Apartheid. Ma da ragazzo, almeno, c’era una buona polizia. Potevi andare a scuola in bicicletta senza paura, e adesso non si può più.

“Per quanto riguarda la mia famiglia, loro vogliono che i due piccoli vengano portati in America il prima possibile. Kimbal ed Elon dicono che dobbiamo portarli qui. Sono loro a dirlo, non io.”

La sua voce è quella di un uomo che ha vissuto l’Apartheid senza beneficiarne, ma che oggi guarda al presente con amarezza. «Da ragazzo, almeno, c’era una buona polizia. Potevi andare a scuola in bicicletta senza paura, e adesso non si può più».

Pressing sui figli per portarli via dal Paese africano

Due figli piccoli lo legano ancora al Sudafrica, ma Elon e Kimbal – afferma – vogliono portare tutta la famiglia negli Stati Uniti. «Per quanto riguarda la mia famiglia, loro vogliono che i due piccoli vengano portati in America il prima possibile. Kimbal ed Elon dicono che dobbiamo portarli qui. Sono loro a dirlo, non io»

Nel frattempo, il figlio maggiore è impegnato su più fronti. Dopo aver guidato il Doge, Elon ha annunciato che si dedicherà di nuovo a Tesla, lasciando parzialmente il governo. E nonostante le critiche, suo padre lo difende senza esitazioni: «Ha avuto molto successo al Doge. Il suo periodo contrattuale è finito, ma il team che ha costruito è composto da veri dipendenti federali. Quindi stanno proseguendo con la pulizia dei vari dipartimenti, in particolare quello che sta per arrivare è il Dipartimento della Difesa, il Pentagono. Quello è un grosso lavoro, ci vorrà un anno per sistemarlo». E rincara: «Come ha detto Elon, il risparmio finale per i contribuenti americani dovrebbe superare il trilione di dollari».

“I giornalisti mainstream cercano di infangare Musk”

I giornalisti mainstream, secondo lui, sono l’autentico problema. Non le critiche politiche, ma gli attacchi personali. «Quelli hanno un problema al cervello. Forse viene dall’iniezione contro il Covid, magari dei frammenti di alluminio gli sono finiti in testa o qualcosa del genere».

E sul Wall Street Journal, che ha scavato nella vita privata di Elon? Nessuna indulgenza. «È una questione personale. Non riguarda l’opinione pubblica. Cercano di infangare il suo carattere, suppongo. Ma non funziona».

Una questione personale

Dunque, per Errol il punto non è ideologico: è proporzionale, demografico, viscerale. E per suo figlio, che sogna Marte ma non dimentica Pretoria, resta una ferita personale. Come lo è, oggi, per The Donald.

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di Alice Carrazza - 23 Maggio 2025